Miles Davis: Bitches Brew (1969)

miles davis bitches brew 1969

SERIE: i preferiti di John


Ci sono due dischi che mi hanno cambiato la vita.

Il primo è stato "Electric Ladyland" di Jimi Hendrix e il secondo "Bitches Brew" di Miles Davis": due album uguali e diversi allo stesso tempo, ed entrambi capaci della stessa magia, quella di sconvolgere il mondo della musica.

Oggi vorrei parlarvi di "Bitches Brew".


La prima volta che lo ascoltai fu grazie ad un amico che me lo prestò, conoscendo il mio interesse per la fusion e le "cose strane": un bel disco doppio con un'inquietante copertina etnica e psichedelica.


Intendiamoci, non è che non conoscessi Miles.

Avevo già apprezzato "Kind of Blue", "Birth of the cool", "Walkin" e "Sketches of Spain", ma questa volta mi avvisarono che si trattava di un disco diverso e che probabilmente mi avrebbe lasciato un segno indelebile. Avevano ragione.

Quando lo misi per la prima volta sul piatto, ebbi subito l'impressione che il giradischi si fosse rotto, che il disco girasse al contrario o di aver sbagliato velocità ma, esattamente come accadde con Hendrix, non era così.

Quelle che uscivano dal mio Lenco L55S erano realmente, l'una dietro l'altra, le note di Miles.


miles davis bitches brew 01Al primo impatto, mi sembrò una musica disarticolata, non scritta e quasi innaturale: un impasto timbrico in cui ogni musicista faceva la sua parte senza alcuna limitazione.

Allo stesso tempo però, il lavoro appariva allo stesso tempo straordinariamente organico, innovativo e trasgressivo. Sicuramente stridente, ma colmo di indicazioni chiare, fruibili ed implementabili.


Ma cosa voleva dirci Miles, e come mai Bitches Brew è diventato uno dei più grandi album della storia della musica?


miles davis bitches brew 02Il segreto c'era, ma non risiedeva nel processo di composizione o nell'esecuzione dei brani (peraltro affidati a talenti di primissimo ordine), ma nel catturarne il loro percorso evolutivo.

Miles, insomma non si limitò solamente ad incidere una straordinaria session di jazz, ma volle restituirci l'essenza del processo di ricerca che stava alla sua base.

Si consideri persino che al momento di entrare in sala, nessuno dei musicisti aveva avuto indicazioni su cosa suonare eccetto alcuni accordi e qualche consiglio di massima sullo svolgimento.

Miles semplicemente osservava e se necessario, ogni tanto correggeva il tiro con pochi interventi.

Chick Corea si ricorda ancora oggi della personalissima scala che Miles gli consigliò su una progressione di 3 triadi (MI maggiore, DO maggiore, LA bemolle) e che diventò per lui un vero e proprio biglietto da visita del grande maestro.

É risaputo inoltre che la band non sapesse neppure quando i tecnici (guidati da Miles in persona) stessero registrando e quando no: il tutto per non disturbare l'evolversi dell'ispirazione.


Terminate le sessioni in soli tre giorni, Miles impiegò ancora diverso tempo per scremare i brani, assemblarli in collaborazione col geniale produttore Teo Macero (sembra che "Pharaoh's Dance" contenga oltre 35 edits ) , aggiungere l'effettistica e le sue parti mancanti che, a conti fatti, si manifestarono come un sublime capolavoro di sintesi.

Il risultato finale fu rivoluzionario.


miles davis bitches brew 03Ispirato fortemente allo stile di Hendrix, Bitches Brew si rivelò un album universale: da una parte marcatamente Jazz con gli strumenti che alternativamente "chiamavano e rispondevano" nella maniera del Rag, dall'altra, chiaramente Rock nella struttura e nell'impostazione generale.

In altre parole, era nato il Jazz-Rock e tutti i membri del gruppo lo implementarono successivamente nelle loro rispettive carriere.


Bitches Brew è dunque un lavoro che va ascoltato su due differenti piani di ascolto: uno prettamente strumentale in cui apprezzerete le qualità dei singoli orchestrali e l'altro più spirituale in cui verrete guidati da Miles nelle infinite potenzialità dell'anima e della ricerca interiore.


Più che di note infatti, Bitches Brew è una sintesi di sguardi, proposte, intese, visioni, sensazioni, direzioni, antitesi e dichiarazioni.

La capacità di Miles nel dirigere un gruppo e nell'astrarre dalle singole soggettività risultati così elevati ed omogenei, raggiunge con quest'album, uno dei suoi vertici più elevati.

11 commenti :

Giampaolo ha detto...

Ciao! l'album l'ho ascoltato per venti trenta minuti. sicuramente interessante, ti farò sapere fra qualche mese. E' il primo album di jazz-rock della storia, vero?
Ciao!

Anonimo ha detto...

Credo di si, ed è stato anche il primo disco Jazz in cui è stata fatta una massiccia opera di post- produzione in studio.

Giampaolo ha detto...

Cioè post-produzione? Gli stessi pezzi riarrangiati in mille modi diversi?
Ciao!

Anonimo ha detto...

Beh, quasi...
La post produzione musicale è tecnicamente la fase che intercorre tra le registrazioni e la pubblicazione: montaggio, aggiunta dell'effettistica, tagli delle parti superflue, doppiaggio degli strumenti, equalizzazione e via dicendo.
in effetti, in fase di post produzione si creano i "Remix" e si possono crare infinite versioni di un pezzo.

Anonimo ha detto...

Ciao ragazzi, scusate l'intrusione ma volevo precisare una cosa. Bitches Brew non è il primo caso di post-produzione della storia del jazz, ma vi sono due precedenti illustri: The Black Saint and The Sinner Lady di Mingus del 1963 e Conversations With Myself del pianista Bill Evans che sovraincise ben due pianoforti in aggiunta a quello principale generando un vero e proprio scandalo tra i puristi del jazz.

Detto questo, Bitches Brew oggi compie 40 anni!

Ciao!

Roberto ha detto...

Bitches Brew è stato un punto d'arrivo di un processo iniziato almeno due anni prima con Miles in the sky che vedeva Davis con il suo magnifico quintetto di metà '60 (Shorter, Hancock, Carter, Williams) e l'ospitata speciale di George Benson in un brano. Poi sono arrivati Filles de Kilimanjaro e soprattutto In a silent way prima di quel capolavoro che è Bitches Brew, peraltro seguito da alcuni splendidi album live incisi ai Fillmore di New York e San Francisco nel 1970.

J.J. JOHN ha detto...

Grazie Anonimo e Roberto per le vostre precisazioni.
In origine avevo fornito un link molto interessante sull'evoluzione di Miles in quegli anni (un PDF di circa 8 pagine), ma è scomparso.
Vi sono grato dunque per aver arricchito questo post, limitato a qualche mia timida e personale percezione.
"In a silent way" era davveso sublime.

taz ha detto...

...Ciao ...ri-parlare di un'autentico monumento della sperimentazione...leggevo che l'evoluzione musicale sua è dovuta alla sua prima moglie!!(dietro ogni grande uomo c'è una grandissima donna...)...che un giorno gli disse: ascolta un po' questi ellepi....MD:..belin(c'è lo metto io..) che roba mi stai facendo ascotare!!!!...sono grandiosi/unici/...voglio approfondire!!!...e sviluppare(trad. libera dal pensiero di Taz..)....I dischi?: i primi di Hendrix e i primi di Sly Stone( se qualcuno volesse approfondire la storia incredibile di Sly ne scoprirebbe delle belle, addirittura una volta mando' fan C...MD all'uscita del suo camerino dopo un concerto:...me lo levate di torno sto pz....se no m'inczzz...di brutto....) Ma MD nn mollo' un attimo...lo doveva conoscere!!!.....ciao

J.J. JOHN ha detto...

Fu anche Frances ad ispirarlo molto.
poi si lasciarono perchè Miles non riusciva proprio a star tranquillo.

Comunque, consiglio a tutti il DVD "The Miles Davis Story". Ha i sottotitoli anche in Italiano ed è un opera davvero completa. Una delle migliori che mi sia capitato di vedere.

roberto ha detto...

Si potrebbe dire che con questo disco, semplicemente, Miles Davis ha inventato le seconda metà degli anni '70...

Anonimo ha detto...

Per me il capolavoro assoluto di Miles Davis !

Straordinari anche Kind of blue e In a silent way

Michele D'Alvano