Agorà: Live in Montreux (1975)

Se è vero che con il 1974 iniziava a manifestarsi quella ramificazione del Prog che lo avrebbe portato alla sua dissoluzione nel giro di due anni, gli Agorà furono sicuramente una band complice di questo processo.

Nato nel 1974 nella zona di Ancona in parte (si dice) sulle ceneri degli “Oz Master Magnus Ltd”, questo quintetto marchigiano esordì lo stesso anno al Festival del Proletariato Giovanile di Milano e a Villa Pamphili.
Malgrado si narra che i primi concerti non fossero stati particolarmente coinvolgenti, l’eccellente livello tecnico del gruppo convinse pienamente gli organizzatori del Jazz Festival di Montreaux, ai quali nel frattempo era stata spedita una demo.
Ecco che così il 7 luglio del 1975, i nostri si ritrovarono nella terra del Gruyère, scritturati dalla Atlantic e sotto la produzione di Claudio Fabi, per esibirsi accanto a Van Morrison e alla Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin.
La location, ricordiamolo, era la succursale di quel leggendario Montreux Casinò che era stato distrutto da un incendio nel 1971 (ricordate “Smoke on the water” dei Deep Purple?) e che sarebbe tornato nella sua sede originale l’anno successivo.
Fortunatamente, in quell'occasione i musicisti diedero il meglio di se e la Atlantic ebbe talmente fretta di immortalarli su vinile, che pensò bene di pubblicare direttamente l’intero concerto.
Live in Montreux” diventò dunque il primo disco d’esordio di una band italiana ad essere registrato dal vivo.

Tuttavia, malgrado l’assoluta eccellenza tecnica di Ovidio Urbani e soci e la buona qualità della registrazione - effettuata dallo storico Mountain Mobile Recording Studio -, gli Agorà non finirono mai di convincere pienamente né gli addetti ai lavori, né tantomeno il movimento che ebbe per loro sempre parole poco lusinghiere.

Da un lato infatti, non vi fu critico che non sottolineò la derivatività delle loro composizioni che - è innegabile - si rifacevano piuttosto palesemente ai Weather Report e soprattutto al Perigeo (in questo senso, basti ascoltare la leading track “Penetrazione” per fugare ogni dubbio).

Sul versante movimentista invece, ai cinque venne imputata una “freddezza formale con reminescenze scolastiche(cfr: “Il libro bianco sul Pop in Italia” op.cit.), una scarsa immediatezza e un’assenza di freschezza che di solito “sopravviene a posizioni aristocratiche niente affatto giustificate”.
Peggio ancora li si accusò di “intendere la musica di Coltrane come una sequenza di note a cui attingere, senza aver capito bene il significato che esse potrebbero avere se eseguite da un estraneo”.

Insomma, diciamo pure che gli Agorà non furono molto graditi alle ali più antagoniste della Controcultura ma, mentre sulla loro “aristocrazia” si potrebbe al limite concordare - vista l'autoralità delle note di copertina -, sull’aspetto musicale potremmo anche dissentire da giudizi così severi.
Di fatto, anche se in un certo qual modo la somiglianza col Perigeo è a tratti imbarazzante, specie dopo il primo brano il gruppo ingrana un’altra marcia tirando fuori tutta la sua eleganza e raggiungendo livelli di grande fascino acustico (es: la parte centrale di “Serra San Quirico parte 1”) per nulla debitori a nessuno.

Raffinati, intimisti, tendenzialmente romantici e molto posati negli assoli, gli strumentisti lasciano sempre intendere un ottimo senso di coesione e pur nella sua brevità, il disco scivola compatto fino alla fine, laddove risulta chiaro che il cammino della band non terminerà con l’ultimo solco.

Non a caso, passerà appena un anno e dopo un minimo avvicendamento nella line-up, gli Agorà si troveranno in studio per dar vita al loro lavoro migliore “Agorà 2”, la cui “Cavalcata Solare” - edita anche su 45 giri - sarà uno dei brani più signficativi del Festival del Parco Lambro 1976.
Non a caso inoltre, quasi tutti i componenti delle band proseguiranno la loro carriera molto ben oltre lo scioglimento del gruppo avvenuto dopo la performance al Lambro.

Ultima nota: “Live in Montreaux” è diventato col tempo anche materia per collezionisti, ma non tanto perchè il disco in se sia poco reperibile, ma per la difficoltà di trovare intatto il fragilissimo alberello in copertina che in origine si poteva staccare e mettere in piedi grazie ad un altrettanto fragile appoggio di cartoncino.
Auguri ai collezionisti e “buon ascolto” agli amanti della jazz-fusion.

10 commenti :

lenz ha detto...

ciao jj, noto che ovunque nei blog si fa un gran parlare di come la musica dei gruppi sia derivata dai modelli anglosassoni famosi..
non potrebbe essere invece il contrario a volte? per esempio ascoltando Etna o Iceberg ho notato che spesso ci sono ispirazioni anche a gruppi come Return To Forever o Mahavishnu ma che poi la musicalità mediterranea di questi 2 gruppi è stata di forte ispirazione proprio a gente come McLauglin e DiMeola che in effetti non erano particolarmente melodici e solari in partenza ma piuttosto freddi direi.. per non parlare di chick corea il cui stile pare basato su cascate di note stordenti e senza senso apparente: pura tecnica senza arte alcuna.
non sarebbe quindi più giusto parlare di vicendevole e fruttuosa ispirazione?
nello specifico penso che dischi come Etna o Sentiments e Coses Nostres degli Iceberg (quest'ultima formazione la definirei sorprendente, potente e anche innovativa, c'è molto più del progressive e jazz dentro.. il loro primo disco a parer mio anticipa l'AOR che sarebbe poi stato ufficialmente lanciato l'anno dopo da gruppi come Boston e Journey) siano molto più belli e meritevoli di dischi forzatamente commerciali e senza "sugo" come Romantic Warrior o precedenti lavori dei RTF. e dopo innumerevoli ascolti, alla fine anche il bellissimo Birds of Fire dei Mahavishnu lo trovo un bel pò glaciale e senza anima rispetto al lavoro di questi 2 gruppi.
mi dai un tuo parere per favore?

Anonimo ha detto...

Come diceva Stratos:

"se credi che il mondo sia piatto....allora sei arrivato alla fine del mondo. Se credi che il mondo sia tondo.....allora sali, incomincia un girotondo".

E noi, siamo pronti a credere che il mondo sia tondo? Secondo me ciò che afferma Lenz, ha davvero un senso. Non dobbiamo svilirci solo perchè non abbiamo "inventato" il progressive. Abbiamo avuti grandi gruppi.....e secondo me il modo di pensare di Lenz è condivisibile in pieno. Grande Lenz

alex77

taz ha detto...

La cultura musicale masticata all'estero non è la stesa masticata dai nostri...ma non per colpa dei "nostri"...ma del sistema "indifferente" che vige in Italia sulla musica-impegnata, o meglio su certa musica che non sia "festivaliera"...al mio orecchio ci deve arrivare una mediterraneità che dall'estero (non sono mediterranei...)non mi arriva...Bel disco...il secondo sarà più rifinito...ma l'impatto di questi musicisti nel mondo-jazz-italiano è notevole...credo che Ovidio sia ancora oggi un ricercato sassofonista..ciao

J.J. JOHN ha detto...

Gianni Lucini dice che "la musica è frutto di osmosi progressive" e ha ragione.
Come dire: "ogni artista ha carpito "qualcosa" da qualcuno".
Miles quando era agli inizi trasse molta ispirazione da Louis Armstrong e successivamente dal Flamenco. Hedrix prese molto da Muddy Waters.
In età matura McLaughlin, Corea e Cobham hanno addolcito molto il loro sound così come del resto gli stessi Weather Report.
Io penso però che ci siano dei "livelli" da considerare che fanno si che il "flusso ispirativo" non sia quasi mai biunivoco.
Per esempio, i musicisti che ho citato hanno introiettato le indicazioni dei loro maestri con una personalità e una forza conflittuale così potente da farle completamente proprie e in molti casi da dotarle persino una nuova forza trasgressiva.
Un percorso questo, che credo non attenne alla fusion italiana degli anni '70 perchè, ad una eventuale autonomia di linguaggio (es: Perigeo), non corrispondeva quasi mai una sufficiente forza conflittuale.
Avvallerei quindi la "fruttosa ispirazione", ma non la "vicendevolezza".
Perlomeno negli anni '70.

Giampaolo ha detto...

John auguri per il tuo blog!!!!!!!
Ciao e abbraccio!!!!!

J.J. JOHN ha detto...

Abbraccio a te Giampa, storico lettore di Classic Rock!
Ne abbiamo fatta di strada, eh?

Anonimo ha detto...

jimi

Unknown ha detto...

"PENETRAZIONE" E' DIVINA!
WALTER

Anonimo ha detto...

Un bel disco di jazz-fusion .

Parimenti meritevole il lavoro in studio del 1976 .

Michele D'Alvano

Anonimo ha detto...

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