Nirvana: The story of Simon Simopath (1967)


I Nirvana si formano all’incirca nel 1965 dall’incontro del musicista irlandese Patrick Campbell Lions - già noto nel West End londinese per essere stato il fondatore di numerosi gruppi di R&B quali Second Thoughts e Hat and Tie - e il compositore greco Alex Spyropulos.

Appena formato il sodalizio, i due si mettono subito al lavoro scrivendo diversi pezzi e, pur senza aver ancora pubblicato nulla, suscitano immediatamente l’interesse degli addetti ai lavori per la curiosa mescolanza di stili che caratterizza le loro creazioni: pop, folk, jazz, musica barocca, musica da camera e persino ritmi latini pur se tutti imperniati su un sound rigorosamente sixties.

Tuttavia, contrariamente a tutte le coppie artistiche del periodo (Jagger-Richards, Lennon-McCartney ecc.) Alex e Patrick non si fossilizzarono su una formazione necessariamente fissa, ma preferirono reclutare turnisti diversi che valorizzassero di volta in volta i loro progetti.
Così, per mettere in piedi le prime canzoni, si avvalsero inizialmente soltanto di quattro elementi - che comunque costituirono sempre la base dei “Nirvana” - e successivamente, per il lancio del loro primo 45 giri “Tiny Goddess” (che arrivò al n°24 delle classifiche inglesi e fu lanciato in un memorabile concerto al Saville Theatre) iniziarono a circondarsi di più collaboratori.


Alché, quando nei primi mesi del 1967 fu pronto abbastanza materiale per il primo album sotto l’egida del produttore Chris Blackwell della Island, venne chiamato in studio un piccolo esercito di strumentisti tra cui almeno tre batteristi, una violoncellista, un suonatore di viola, uno di corno francese, un’arpista e a questo punto, anche un direttore d’orchestra.


Patrick Campbell Lions & Alex SpyropulosIl disco che vide la luce nell’ottobre del 1967 con il nome di “The story of Simon Simopathnon fu in realtà un gran successo commerciale, ma come era accaduto sino ad allora per tutte le composizioni dei Nirvana, suscitò un tale interesse presso la critica al punto da essere considerato ancora oggi una pietra miliare della musica inglese e soprattutto perfettamente calato nello spirito pre-progressivo di allora.

Pur nella sua brevità infatti (durava appena 25 minuti), “Simon Simopath” , non solo aveva in se tutti gli ingredienti musicali del “pre-prog”, ma storicamente si trattò del primo “album concept” della storia, ancor prima dell’esperimento di “Days of Future passed” dei Moody Blues (11/1967) e dei più maturi “S.F. Sorrow” dei Preety Things (12/1968) e “Tommy” degli Who (4/1969).


La vulcanica miscellanea di stili lo poneva avanti anni luce nella tecnica della composizione al punto da conferire a tutto il lavoro una fantasia narrativa mai sentita prima.

La narratio inoltre, non venne costruita con “fillers” rumoristici o orchestrali piazzati a posteriori tra un brano e l’altro come nel caso dei Beatles o dei Moodies, ma con un vero e proprio canovaccio che legava logicamente tutta la sequenza dei singoli brani.

In sintesi si trattava della vita di un tale Simon che per sua natura, desiderava possedere un paio d’ali. Diventato adulto nel 1999 venne impiegato in un’azienda ma ad un certo punto - per stress o per disadattamento questo non si sa - si sentì male davanti a un computer.
Non trovando alcuna struttura disposta a curarlo, alla fine si imbarca su un razzo dove troverà amicizia e amore della sua vita sposando Magdalena, la concierge di un hotel in stile freak chiamato “Pentecost Hotel”.


Nirvana(Uk)The story of Simon Simopath” insomma, non fu solo un album complesso e ben concepito, ma ebbe il pregio di riassumere in se anche tutto il suo tempo storico ammiccando alla cultura psichedelica, sottolineando il disagio giovanile, celebrando tra i suoi solchi quel desiderio di fuga per mezzo di un raffinato esotismo musicale e letterario e soprattutto, equilibrando gioie e malinconie in un cocktail sonoro decisamente avvincente.

Splendida in questo senso è la figura di Magdalena, la “dea magra”, che in "Pentecost Hotel" sorride a chiunque abbia un “passaporto di pazzia

Davvero conturbante poi, è il soft jazz di “I never had a love like this before” dove Simon si dichiara alla sua amata.

Rimarrà fuori dall’album la celebrazione del “jazzy wedding” tra Simon e Magdalena che però verrà fortunatamente recuperata sul lato B del 45 giri “Wings of love” del 1968.


Se dunque nella Londra del 1967 il rock progresssivo era ormai alle porte, i Nirvana dimostrarono pur nella loro raffinata marginalità che la “voglia di nuovo” non apparteneva soltanto a monoliti quali i Beatles o la Decca Records, ma era un profumo che si respirava nell’aria e che tutti i musicisti più sensibili avevano voglia di irradiare. Proprio come Patrick e Alex.


NOTA: NORMALMENTE IL GRUPPO DI ALEX SPYROPULOS E PATRICK CAMPBELL LIONS VIENE CHIAMATO "NIRVANA (UK)" PER DISTINGUERLO DA QUELLO OMONIMO DI COBAIN, NOVOSELIC E GROHL.

15 commenti :

aliante ha detto...

Accidenti John, questi proprio non li conosco, vedrò di rimediare al più presto,perchè mi intrigano parecchio.

Altro che festival di Sanremo...
finalmente si torna a fare sul serio...

Amo molto la scena British fine anni 60 e c'è una cosa che mi ha sempre affascinato dei dischi usciti nel periodo 66/69, ossia i loro suoni.

Magari mi sbaglio, ma secondo me, nonostante tecnologie in teoria inferiori a quelle dei 70, in alcuni casi suonavano meglio ( ho detto in alcuni casi, perchè è chiaro, se prendi album arrangiati che so da Eddie Offord nei 70 è goduria per le orecchie, con i suoni asciutti e quadrati tutti al posto giusto).

Per intenderci:

Aqualung dei Jethro Tull (1971)
suona peggio di This was (1968) o Stand up (1969), The piper and the gates of dawn dei Pink Floyd (1967) suona meglio di Animals uscito dieci anni dopo (1977).

Mi piacerebbe sapere qual'è la causa a volte di questa "involuzione" del suono.

Scusatemi, non è presunzione la mia, e soprattutto non è una critica al valore di questi capolavori, mi riferivo solo al lavoro in sala di registrazione.

Grazie John.

J.J. JOHN ha detto...

Non so. Qui bisognerebbe sentire un tecnico come il nostro Analoguesound che però latita da tempo...

Fatta salva la tecnologia, io credo che molto del sound di certe annate fosse dovuto anche alla totale libertà che veniva lasciata a produttori competenti ma soprattutto innovativi. Che so: Phil Spector per dirne uno.
Gente che "interagiva" con i musicisti e valorizzava al massimo i loro desideri.

Perchè Sgt Peppers fu un capolavoro? Perchè i Beatles "pretendevano" di far parte del processo creativo e produttivo.
E i Pink Floyd impararono da loro.

I musicisti non erano solo "pedine" o "immagini" come lo sono oggi tanti artisti pur di vendere una copia in più. Capisci?

"Simon Simopath" lo "devi" sentire!
E' qualcosa di favoloso.
Come aperitivo, "Pentecost Hotel" la trovi qui e sono sicuro che ne rimarrai estasiato:

http://www.youtube.com/watch?v=FG76ZDDoKXE&feature=fvst

... almeno finchè la CIA non chiuderà anche You Tube.

Marco Verpelli ha detto...

Per chi sia interessato alla storia di come sia stato costruito il suono dei Beatles, ed in particolare del "Pepper", mi permetto di segnalarvi il libro Here, There and Everywhere: My Life Recording the Music of The Beatles di Geoff Emerick.

Pietro ha detto...

Ciao! Da quello che finora ho capito, il '67 è stato davvero un grande anno..! Sono sempre stato attratto da questi processi storici che sembrano avvenire all'improvviso e in realtà derivano da tutta una serie di istanze precedenti che per un motivo o per un altro confluiscono in un unico momento.. Appena posso ascolto The story of Simon Simopath! Promette bene! L'avevo sentito nominare in relazione a Tommy, ma non l'ho mai preso in considerazione..

Riguardo il post di Aliante e i Pink Floyd, credo che in quel caso specifico abbia influito il cambiamento dello studio di registrazione.. Animals fu il loro primo album registrato ai Britannia Row invece che ad Abbey Road..
E questo mettersi in proprio da parte dei Floyd forse fu un esperimento che all'inizio non pagò..

Anonimo ha detto...

UN C A P O L A V O R O ! ! !
NON CREDEVO CHE ANCORA QUALCUNO SE NE RICORDASSE JENNY

aliante ha detto...

Ascoltato John!

Ottimo album.

Belle atmosfere ( quasi cinematografiche con parti orchestrali notevoli), batteria corposa con il suono tipico dei 60 (sicuramente una Ludwing come piace a me), momenti soffusi alternati ad altri più solari ( me lo aspettavo più oscuro), una "Satellite Jockey" che anticipa quasi i Nice.

Hai notato che nel brano finale "1999" la voce somiglia parecchio al più bistrattato dei Beatles, ossia Ringo Starr?

Che dire John,

grazie ancora per questa chicca veramente bella e di classe.

L'unico limite è la lunghezza del disco.

Un abbraccio.

V I K K ha detto...

Finalmente arrivano i Nirvana caro John, che se non sbaglio di consigliai mooolto caldamente qualche anno fa.

Personalmente lo ocnsidero parte integrante della mia personalissima tetralogia del rock barocco assieme a St.Pepper's, pet Sounds e End of The Century.

Da notare che la band negli anni '90 ha omaggiato i Nirvana che tutti noi conosciamo con al cover di "lithium" che purtroppo non sono mai riuscito a a recuperare, se qualcono ce l'avesse si faccia avanti!

Oggi la lussuosa ristampa rimasterizzata (mono e stereo) con tanto di splendido booklet si trova ad un prezzo miserabile, sarebbe un peccato lasciarsela scappare.

PS il resto della discografia dei Nirvana (UK) non è all'altezza

PPS per la precisione Patrick Campbell Lyons è irlandese

DogmaX ha detto...

VIKK mettiamoci in contatto :)

V I K K ha detto...

@Dogmax, puoi scrivermi qui vikk79 @ gmail .com

JJ John ha detto...

E' vero: quest'album me l'ha consigliato il mio brother Vikk tempo fa.
All'epoca fui scettico, ma poi ho approfondito la psichedelia inglese e mi è entrato nelle vene a partire da poche semplici parole:

"And in the lobby Magdalena is friendly / To all the people with a passport of insanity /And seven sirens are a-dancing to music / In Pentecost Hotel"

Il brano "I never had a love like this before" ha fatto il resto ed è diventato uno dei miei must (dopo i Tyrannosaurus Rex, ovviamente).

Una curiosità ce l'ho anch'io, almeno credo:
il secondo album dei Nirvana (UK)ha il titolo più lungo della storia del rock.
E se non è proprio il più lungo, poco ci manca.

Anonimo ha detto...

la cover di lithium è questa per caso?
http://www.youtube.com/watch?v=2SNhYrUnUCg
ciao
jeremy

DogmaX ha detto...

Io ho ascoltato i primi 2, e penso di preferire leggermente il secondo (quello dal titolo infinito) per varietà di suoni, e mi pare che, da quel che ho intuito, anche questo sia un concept come il primo.

DogmaX ha detto...

E anche Markos III è ottimo!! C'è la Love Suite con Leslie Duncan come special guest alla voce che è davvero simpatica, ma tutto l'album è molto Moody Blues, mi piace tantissimo!

E posso dire che addirittura questi Nirvana li preferisco a quelli di Cobain, ma penso che lì sia una questione di gusti, il Grunge non lo digerisco particolarmente.

DogmaX ha detto...

Se v'interessa ho scritto su DeBaser una recensione proprio di To Markos III, un album che ha avuto una gestazione molto difficile tra l'altro...

http://www.debaser.it/recensionidb/ID_36728/Nirvana_To_Markos_III.htm

Anonimo ha detto...

i veri nirvana.....