I Muri del Suono, I luoghi che hanno trasformato il rock
INDICE - INTERVISTE, RECENSIONI e VIDEO

NEWS: É IN RETE IL VIDEO DEL CAPITOLO N°15:
"
C'É DEL MARCIO IN DANIMARCA".
 
Ovvero, la storia di Denmark Street, detta la Tin Pan Alley londinese. La strada in cui, a partire dai primi del Novecento, si concentrarono tutte le attività musicali della capitale britannica e che, per oltre un secolo, ha svezzato e consegnato alla gloria migliaia di artisti e di capolavori senza tempo. Dal genio artistico di David Bowie a quello grafico di Storm Thorgerson. Dai Rolling Stones che vi registrarono il loro album d'esordio ad Elton John che vi scrisse i suoi primi capolavori, sino alla grande rivoluzione del Punk che vide i Sex Pistols, abitarci per qualche anno.
Un capitolo insomma, dedicato a una delle strade più rock del nostro pianeta, e che in buona compagnia con quello su Kings Road (capitolo n°13) vi farà rivivere la straordinaria era del grande rock europeo.

Banco Del Mutuo Soccorso: Darwin (1972)

banco darwin 1972

I MIGLIORI ALBUM DI ROCK PROGRESSIVO ITALIANO. N° 1


Esattamente come la Premiata Forneria Marconi, anche il Banco esordì discograficamente con due album nello stesso anno e pubblicati a breve distanza l'uno dall'altro.

Tuttavia, contrariamente ai cugini di Milano che con "
Per un amico" avevano subito una lieve flessione, il B.M.S. non solo bissò il successo ottenuto col primo Lp, ma sono in molti a ritenere che con "Darwin" fece ancora meglio.
 

Il disco è un album concept che affronta il tema dell'evoluzione umana teorizzata da Charles Darwin, traducendone in musica tutta la maturazione: dal caos primordiale, all'apparizione dell'uomo sulla terra con la conseguente assunzione di una propria coscienza e sensibilità.

Si toccano quindi aspetti prettamente tecnici quali "La conquista della posizione eretta", fino ad addentrarsi in quelli più squisitamente sociali: la collettività, l'amore, la morte, l'identità e la coscienza.
Rispetto al "salvadanaio", l'impatto grafico è meno attraente, ma i contenuti si rivelano più consapevoli sin dal primo lungo brano "L'Evoluzione" (13 minuti) dove, anche in questo caso, l'elettronica compare poco e il pathos è affidato principalmente alla ricchezza cromatica e alle straordinarie invenzioni armoniche.
Pur mantendo un groove sostenzialmente rock, che a tratti si fa molto pesante, "Darwin" suona più colorito e meglio arrangiato del precedente: i breaks ritmici risultano molto più funzionali alla struttura dell'intero lavoro e l'aulicità è limitata al minimo.

I musicisti danno il meglio di sé: le doppie tastiere dei fratelli Nocenzi trovano qui la loro definitiva omogeinizzazione, mentre la voce di Di Giacomo e la chitarra di Marcello Todaro risultano meno invasive e più funzionali al groove collettivo.

"La conquista della posizione eretta" raggiunge momenti di pura poesia musicale nel racconto di quel miracolo evolutivo, sottolineandolo prima con un raffinato duetto di tastiere e successivamente estroiettando le fatiche, l'incertezza e la gioia di quel fondamentale passo per l'umanità.
Da ora in poi: "lo sguardo dritto può guardare"

Dopo un breve "scherzo" strumentale ("Danza dei grandi rettili") che denota una simpatico senso di autoironia da parte della band, si accede alla seconda facciata dell'album in cui vengono analizzati singolarmente i nuovi problemi personali e collettivi dei nostri antenati.
L'unione quale rimedio alla forza e la scelta esistenziale tra fuga e socializzazione sono il leit-motiv di "Cento mani e cento occhi" ("La voglia di fuggire che mi porto dentro non mi salverà") che musicalmente è un capolavoro del Progressivo Italiano più raffinato.

banco del mutuo soccorso darwin 04Il desiderio sessuale, i dubbi dell'amore e le incertezze sulla propria bellezza estetica sono invece i temi dominanti di "750.000 anni fa… l'amore?", brano in cui la voce di Francesco Di Giacomo raggiunge una delle vette più alte della sua espressività e anche qui, la band ci fornisce una magnifica prova di coscienza e sensibilità.

Nei successivi cinque avvolgenti minuti di "Miserere alla storia", l'uomo si interroga invece sulla sua fine e sul senso della sua esistenza ("Quanta vita ha il tuo intelletto se dietro a te scompare la tua razza?") per poi sfociare in un finale di inquietante modernità.

L'interrogativo di "Ed ora io domando tempo al tempo…" infonde nell'ascoltatore gli stessi dubbi di quell'uomo primigenio che ora è cresciuto e si trova davanti ad una società matura, opprimente ed impietosa ("Ruota fatta di croci").

In sostanza: "a che serve vivere se tutto deve finire?" La risposta sta nella lotta quotidiana per l'evoluzione.

"Darwin" si chiude così, rivelandosi un album perfettamente in linea con il suo tempo: sensibile e impietoso, propositivo e coinvolgente, trasgressivo e conflittuale.
Molto vicino ad un'opera d'arte.

BANCO DELMUTUO SOCCORSO - Discografia 1972 - 1978:
1972: BANCO DELMUTUO SOCCORSO
1972: DARWIN
1973: IO SONO NATO LIBERO
1975: BANCO (english)
1976: GAROFANO ROSSO
1976: COME IN UN'ULTIMA CENA
1978: DI TERRA

Osanna: Palepoli (1973)


palepoliI MIGLIORI ALBUM DI ROCK PROGRESSIVO ITALIANO.  N° 2


Correva il 1973 e all'estero sono come al solito avanti anni luce: i Genesis pubblicano "Selling England by the pound", i King Crimson "Lark's tongue in aspic", gli Yes "Yessongs", i Pink Floyd "Dark side of the moon" e gli ELP "Brain salad surgery".

 In Italia, la lacerante frattura tra "underground" e "movimentismo" innesca uno dei periodi più intensi e sofferti della nostra nazione: il "personale" diventa "politico" e tutto deve essere vagliato nell'ottica dell'anticapitalismo.

Le avanguardie iniziano a sperimentare quel contropotere rivoluzionario che gli spetta di diritto
e i centri urbani di tutte le città, diventano i luoghi privilegiati di ostentazione delle merci, quindi, terreni di lotta, di espropriazione e di scontro.

Con il loro nuovo album, "Palepoli", gli "Osanna" si inseriscono con perfetta puntualità in questo angoscioso momento storico traducendo in arte la riscoperta dei valori popolari, da contrapporre all'urbanesimo, alla corruzione e alla freddezza della città moderna.
Il nuovo lavoro è disposto su due piani distinti: il primo è una rappresentazione teatrale scritta in collaborazione con Tony Newiller, sull'evoluzione della cultura popolare napoletana nel tempo, spettacolo che poi supporterà la tournèe di presentazione dell'LP.

osanna palepoliIl secondo è un per l'appunto un disco altrettanto complesso ed intenso dove nulla appare casuale o fuori luogo.

"Palepoli" è nelle intenzioni del gruppo un invito a rifiutare le ipocrisie della città moderna ("Neapolis"), per riscoprire i valori più autenticamente popolari dei borghi antichi ("Palepolis"). Dura 40 minuti che, anche col passare degli anni, si riveleranno indimenticabili.

In tre sole suite, il quintetto Napoletano da prova non solo di essere uno dei gruppi più validi e affiatati d'Italia, ma di potersi tranquillamente misurare per tecnica e consapevolezza sociale con la maggioranza dei suoi contemporanei.

"Oro caldo" apre l'album con una citazione "etnica" (voci di un mercato, una taranta...) per entrare immediatamente in una ballata piena di contrappunti di fiati, ampie aperture "crimsoniane" ed un finale mozzafiato hard blues. 


osanna palepoli"Stanza Città" dall'ouverture maestosa, si collega al movimento precedente aggiungendovi un break classicheggiante che sfocia in almeno 5 minuti prog puro.
Nella seconda facciata, "Animale senza respiro" è la naturale evoluzione delle due suite precedenti in cui ogni variazione ritmica e melodica risulta perfettamente funzionale al concetto del disco:
fuga, mutazione, riappropriazione.
Ad un'azzeccatissima veste grafica fa eco una produzione altrettanto riuscita.

Resta il rimpianto nel constatare che questo accorato appello alla pulizia morale ed urbana rimane lettera morta anche a oltre 40 anni dalla sua pubblicazione, come amaramente sottolineò anche lo stesso Vairetti in una recente intervista.
Ma dei nostri rifiuti, gli Osanna, non hanno colpa.

OSANNA - Discografia 1971 - 1978:
1971: L'UOMO
1972: PRELUDIO, TEMA, VARIAZIONI E CANZONA
1973: PALEPOLI
1974: LANDSCAPE OF LIFE
1978: SUDDANCE

Balletto di Bronzo: Ys (1972)

balletto di bronzo ys 1972I MIGLIORI ALBUM DI ROCK PROGRESSIVO ITALIANO.  N° 3.



A distanza di due anni dal disco d'esordio "Sirio 2222", i napoletani Balletto di Bronzo subiscono una vera e propria trasfigurazione fisica e stilistica.

Protagonista: il tastierista Gianni Leone, detto LeoNero proveniente dal primo nucleo dei dissolti Città Frontale.
La trasformazione è radicale, e accanto allo stesso Leone, subentra anche il bassista Vito Manzari (ex "Quelle strane cose che") al posto dei più discreti Michele Cupaiuolo e Marco Cecioni.

Leone ha le idee chiare, la strumentazione adeguata, e un carisma talmente preponderante da traghettare tutto il sound del gruppo dal post-beat psichedelico degli esordi al Prog più radicale.

Persino la primigenia discografica RCA, spaventata dal nuovo corso della band, la cede volentieri alla Polydor che nel frattempo si sta interessando sempre di più al nuovo Pop d'avanguardia (Latte e Miele, Mauro Pelosi, Bill Gray dei Trip) e non lesina nella produzione del quartetto napoletano: copertina sontuosa con tanto di libretto interno, mixaggio molto sofisticato ad opera del noto fonico Gaetano Ria, e collaboratori di prestigio tra cui il M° Mariano Detto del Clan Celentano.
 

Ttra le quattro coriste di studio, spicca anche una certa Giusy Romeo (poi Giuni Russo) destinata dieci anni più tardi a una brillante carriera solista.

balletto di bronzo ys 02 Il nuovo parto del Balletto s'intitola "Ys" e già dal concetto di base si intuisce che si tratta di un lavoro ambizioso e trascendentale.
Il racconto descrive gli incontri dell'ultimo uomo sopravvissuto sulla terra prima dell'apocalisse con tre personaggi: una figura straziata e agonizzante, il Cristo e probabilmente, la stessa figura della Morte.


Ad ispirare il tutto, la mitica città Bretone di Ys sulla baia di Finisterre, sommersa dall'Oceano Atlantico nel 444 a.C. per colpa, si dice, dell'imprudenza della giovane principessa Dahout che ne spalancò inopinatamente le chiuse esponendo la città alla marea devastatrice (una versione "ante litteram" del disastro di Chernobil, se vogliamo).


Al di la della teoria però, ciò che consegnò questo disco alla storia, fu la sua rivoluzionaria architettura musicale che, pur se omogenea e rigorosa in senso classico, presentava un groove talmente destrutturato da rendere tutta l'opera assolutamente esclusiva per l'Italia del 1972 .

L'assenza di melodia è totale. Le voci iniziali, da cupe e funeree, sfociano in complesse polifonie su un tappeto di tastiere dissonanti e preziose cesellature di chitarra che sembrano prese in prestito dal miglior Robert Fripp.
La ritmica è un incessante accavallarsi di sincopi e di tempi dispari.
Persino i cori, che nell'accezione classica dovrebbero armonizzare la melodia, vengono invece utilizzati per confonderla e disarticolarla.

Il disco alterna momenti elettronici ad atmosfere hard jazz in un continuum di evocazioni, allucinazioni armoniche, sequenze multiritmiche, citazioni barocche e narrazioni cantate. In altre parole: rock progressivo allo stato puro.
Ogni singolo movimento, viene frammentato in più passaggi (che si sviluppano anche nell'arco di pochi secondi) che denotano non solo un'impressionante fantasia compositiva, ma anche una straordinaria abilità di assemblaggio.

balletto di bronzo ys 03Le sonorità sono costantemente diversificate dall'artiglieria di tastiere di Gianni Leone.
L'epilogo che descrive l'apocalisse è un incrocio tra Bach e i Quartieri Spagnoli: quasi troppo bello per essere descritto, e forse altrettanto difficile per essere apprezzato. 


Purtroppo, Ys fu "apocalittico" non solo nella sua forma artistica, ma anche per lo stesso Balletto di Bronzo che cessò di esistere poco dopo: sopraffatto da dissidi interni, da una vita sregolata, e soprattutto, deluso dalla sostanziale incomprensione con cui venne accolto il loro capolavoro.

Personalmente non credo che "Ys" abbia influito più di tanto sul panorama Prog Italiano. Pur ammettendo che fu un'opera trasgressiva e unica nel suo genere, infatti, fu anche talmente magniloquente da risultare alfine più edonista che comunicativa.
Del resto,  la sola avanguardia, pur se spinta ai massimi livelli, non basta a restituire un percorso universalmente riconosciuto: ci vuole anche la comunicatività, e Ys, di sicuro, non ne aveva.


BALLETTO DI BRONZO - Discografia 1970 - 1972:
1970 - SIRIO 2222
1972: YS

Area: Arbeit macht frei (1973)

area arbeit macht freiI MIGLIORI ALBUM DI ROCK PROGRESSIVO ITALIANO N° 4


La prima formazione degli Area (Stratos, Capiozzo, Djivas, Lambizi, Gaetano e Busnello) nacque intorno al 1970 lasciando presagire qualcosa di straordinario e inedito nel mondo discografico Italiano.

Eustratios Demetriou (Eustratios di nome e Demetriou di cognome) era nato da genitori greci ad Alessandria d'Egitto dove aveva studiato pianoforte al prestigioso conservatorio locale. Dopo un periodo trascorso a Cipro, si trasferì a Milano per seguire gli studi di Architettura che però lasciò per entrare nel circuito musicale: prima con i Ribelli e poi da solo (il suo primo 45 giry "Daddy's Dream" del 1972 fu per la Numero Uno di Lucio Battisti) .

Giulio Capiozzo
studiò anch'egli al Cairo dove imparò le poliritmie: emiliano di lontane origini Turche passò anche molto tempo a Parigi dove conobbe Kenny Clarke e il Be Bop. Tornato a Milano nel 1969, conobbe Stratos.

 

L'eccellente fiatista Victor Edouard Busnello era invece un giramondo che si dice abbia conosciuto Miles Davis a Parigi e che sempre nella ville lumière incontrò Capiozzo mentre militava nell'orchestra dello stesso Kenny Clarke. 

Il bassista francese Yan Patrick Erard Djvas arrivò in Italia con il gruppo di Rocky Roberts e suonò per breve tempo nella band di Lucio Dalla insieme al tastierista Leandro Gaetano.
 
Johnny Lambizi era  un chitarrista ungherese su cui non si hanno molte notizie, ma che fece parte anche lui dei primissimi Area, dando un notevole contributo a tracciare gli abbozzi dei 

primi brani originali della band. 

area arbeit 02
Contattato dal manager Franco Mamone, il neonato gruppo "Area" iniziò una serie di concerti a stampo prevalentemente "free jazz": non molto riusciti da un punto di vista spettacolare, ma che diedero modo al quintetto di affiatarsi e di suonare sia "live" a fianco di stelle di prima grandezza quali Nucleus e Gentle Giant, sia in studio a fianco di Aberto Radius nel suo primo album solista.  

Nel 1972, Gaetano e Lambizzi abbandonano la formazione per problemi di compatibilità ed entrano il tastierista jazz Patrizio Fariselli (già sodale di Capiozzo) e il chitarrista Paolo Tofani che dopo un'intensissima esperienza inglese, conosce gli Area tramite Mamone e Gianni Sassi. 
Così definitivamente stabilizzato, il sestetto comincia a provare insieme, organizzando collettivamente del materiale già pronto, ma ancora frammentario.
 
La presentazione ufficiale di alcuni brani avviene nell'estate del 1973 durante una jam-session all'Altro Mondo di Rimini lasciando allibiti stampa e colleghi. Scritturati dalla Cramps di Gianni Sassi entrarono immediatamente in studio per esordire nel settembre del 1973 con il loro primo album: "Arbeit macht frei": un disco destinato a rivoluzionare la storia della musica Italiana.

Sin dal controverso titolo (riportante la celebre frase di Diefenbach mostrata all'ingresso di molti lager nazisti), dalla copertina raffigurante un'angosciante scultura di Edoardo Sivelli e dalla famosa pistola di cartone all'interno (che non è affatto una P38 come vorrebbe qualche critico), il long playing si rivela stridente e provocatorio e di fatto, l'ascolto è un vero shock.
 


Una voce femminile che recita una poesia pacifista e d'amore in dialetto egiziano ("abbandona le armi amore mio e vieni a vivere con me in pace") viene bilanciata improvvisamente dalla voce di Demetrio e dal VCS3 di Fariselli che attaccano uno dei più bei riffs della storia della musica Italiana: si tratta di "Luglio, Agosto, Settembre (nero)", sintesi suprema di tutta la loro filosofia 

area arbeit 03Qui viene denunciata la guerra, l'attacco contro il vissuto e la conoscenza popolare, contro l'azzeramento dell'esperienza sensoriale che spinge gli individui verso l'omologazione, contro la soppressione della dialettica e del confronto umano.
 
Un vero e proprio schiaffo in faccia all'ipocrisia borghese che caratterizzerà tutto il resto dell'album attraverso episodi violenti e soluzioni musicali nuove e straordinariamente trasgressive. Esempio pratico: la title track in cui l'evocazione dell'antisemitismo viene contrapposta alle stragi che gli stessi Ebrei stavano commettendo a danno dei Palestinesi.


 Il sound è violento e inusuale, sintesi di Jazz Rock, John Cage, Nucleus e Soft Machine miscelata al jazz di Derek Bayley, Cecil Taylor e Art ensemble of Chicago.
L'innesto anche simultaneo di poliritmie arabe e balcaniche, supportano con straordinaria compattezza un estroso e sperimentale uso della voce di Demetrio Stratos, cosa che valse al cantante ben più di un riconoscimento artistico, misto a notevoli attenzioni scientifiche (è comprovato che riuscì a emettere suoni prossimi ai 7.000 Hertz, nonché diplo e tetrafonie).
 
  
rock progressivo italianoMa non solo: dove presenti, i testi sono curati con una meticolosità e una attenzione sociologica al limite della militanza: diretti o allegorici che fossero, non furono mai banali e rasentarono spesso elevati livelli evocativi e di poetica. 
 
Onnipresenti a tutti i maggiori festival Pop gli Area svilupparono una conflittualità musicale e visiva che non solo li cementò all'allora nascente movimento della Controcultura, ma li portò rapidamente ad un enorme livello di popolarità.

Ora, non voglio dilungarmi in questa sede su argomenti già ampiamente trattati. Semmai, per i più curiosi consiglio "Il Libro sugli Area" di Domenico Coduto (Auditorium Edizioni, Milano, 2005).

 
So che su "Arbeit" si potrebbero scrivere ancora moltissime pagine, ma per il momento credo che il miglior modo di prendere coscienza di questo album sia di ascoltarlo e parlarne.


AREA - Discografia 1973 - 1978:
1973: ARBEIT MACHT FREI
1974: CAUTION
1975: CRAC
1975: ARE(A)ZIONE
1976: MALEDETTI
1978: GLI DEI SE NE VANNO, GLI ARRABBIATI RESTANO

Museo Rosenbach: Zarathustra (1973)

museo rosenbach zarathustra 1975I MIGLIORI ALBUM DI ROCK PROGRESSIVO ITALIANO.  N° 5


Non doveva essere piacevole in pieno clima Underground essere etichettati come "fascisti", anzi: sappiamo benissimo che chi lo era realmente, o solo sospettato di esserlo, veniva sistematicamente tagliato fuori da qualunque circuito artistico alternativo.

Il concetto di "Dio, patria e famiglia" infatti, mal si azzuppava con i dogmi rossi della conflittualità, della trasgressione e del "nuovo ad ogni costo" che albergavano nella musica Prog e nei suoi adepti.

 
Quindi, che piacesse o no, gli anni 70 furono un periodo in cui era meglio prestare attenzione non solo alla normale dialettica, ma soprattutto alla valenza delle proprie provocazioni. Una scelta poco azzeccata poteva condurre all'ostracismo e questo fu proprio ciò che accadde ad un quintetto di Bordighera: i Museo Rosenbach.

 
Nati nel 1971 dalla fusione della "Quinta Strada" e del "Sistema" (uno dei primissimi gruppi a suonare Prog in Italia che comprendeva anche il futuro Celeste Leonardo Lagorio), i cinque iniziarono subito le attività chiamandosi "Inaugurazione Museo Rosenbach", proponendo cover straniere e facendo da spalla a gruppi di una certa rilevanza quali Delirium e Ricchi e Poveri.
Il loro nome, scelto dal bassista Alberto Moreno, significava letteralmente "ruscello di rose" e pare fosse ispirato a quello di un non meglio precisato editore tedesco 

 
Nel 1972, la successiva scelta di comporre materiale originale, spinse la band a contrarre il nome in "Museo Rosenbach" e contemporaneamente provocò un contratto con la discografica Ricordi, già avvezza al Progressive per via del Banco, Hunka Munka e della Reale Accademia di Musica.


museo rosenbach zarathustra 1975 matia bazarIl risultato che vide la luce nel 1973 è considerato a tutt'oggi una della pietre miliari del Prog italiano, "Zarathustra": composto su musiche di Moreno, testi del collaboratore esterno Mauro La Luce (già paroliere per i Delirium), inciso presso i professionalissimi Studi Ricordi e orchestrato dallo stesso Museo.
Musicalmente il disco si divide tra una lunga suite omonima che occupava tutto il primo lato e tre brani anch'essi in puro stile Prog sulla facciata cadetta.

Come ormai tutti sappiamo, l'album era un capolavoro e avrebbe meritato una massiccia diffusione non solo nazionale ma planetaria, come dimostrano ancora oggi le numerose manifestazioni d'affetto da ogni dove.
Qualcosa però andò storto e qui mi ricollego all'inizio di questa scheda.
Di fatto, nella drammatica copertina di Wanda Spinello che ritraeva un collage dal volto umano in stile Arcimboldo, appariva chiaramente sulla mascella destra un busto di Mussolini.
Apriti cielo!
Il Museo Rosenbach era finito ancora prima di cominciare.


A nulla valsero le spiegazioni del celebre designer Cesare Monti che sosteneva la tesi della mera provocazione e che, in fondo, la figura di Zarathustra era intesa come "colui che anelava al bene attraverso la meditazione e la natura."

La sommatoria "Duce + Nietzsche" provocò l'immediato allontanamento della band non solo da tutto il nascente movimento Controculturale, ma persino dalla Rai che, a scanso di grane, rifiutò loro qualsiasi apparizione promozionale.
 


Dopo la partecipazione al Festival Nuove Tendenze di Napoli nel 1973 e comunque duramente pressato da un'opinione pubblica avversa, il Museo si sciolse durante la preparazione del secondo disco e dei Rosenbach anni ' 70 non rimarrà che un rarissimo album a cinque stelle e qualche raccolta postuma pubblicata negli anni '90.
Golzi intanto, sarebbe andato a formare i Matia Bazar con ben altro indotto economico. 

 
museo rosenbach zarathustra mussoliniA parte l'ineccepibile sound di "Zarathustra" di cui vi rimando alle numerose recensioni esistenti, questa volta mi premeva solo rimarcare come un tempo certi items extra-musicali fossero assolutamente fondamentali per le sorti di un gruppo, di un artista o di un qualsiasi autore. E lo zeitgeist, si sa, è uno dei valori necessari per comprendere anche il più piccolo parto dell'ingegno umano.
 

Il 1973, per intenderci, era un'epoca in cui solo girare per una strada "sbagliata" vestiti in maniera "inopportuna", o con sottobraccio un giornale "non allineato" (sia da una parte che dall'altra), voleva dire provocare un conflitto anche tragico.
Altro aspetto evidente è che, allora come oggi, i musicisti non avessero certamente il pieno controllo della propria opera. E purtroppo, non sapremo mai cosa sarebbe successo se qualcuno della band si fosse accorto di cosa conteneva quella dannata copertina.

GRAZIE ALL'AMICO ALBERTO MORENO PER LA STIMA E PER L'AMICIZIA

Battiato: Fetus (1972)

battiato fetus 1972I MIGLIORI ALBUM DI ROCK PROGRESSIVO ITALIANO.  N° 6 


Quando Francesco Battiato arrivò da Jonia a Milano nel 1965 con molte idee e pochi soldi, non era il distinto e posato signore che abbiamo conosciuto negli anni successivi, anzi, il perfetto contrario.
 Possedeva innanzitutto una determinazione fuori dal comune che lo portò non solo a superare le difficoltà di qualunque emigrato dell'epoca, ma a sopravvivere nel cinico mondo della musica leggera ed affermarsi come una delle principali realtà dell'avanguardia Italiana.

La prima fase di sostentamento si risolse già nel 1965 con la pubblicazione di due flexi disc per la NET (retribuzione: diecimila lire a disco) e nella costituzione del duo "Gli ambulanti" in coppia col pianista e compaesano Gregorio Alicata per cantare canzoni di protesta davanti alle scuole

Lo step successivo fu quando i due vennero notati da Giorgio Gaber che fece fare loro un provino. La cosa però non funzionò, e Battiato scelse di proseguire da solo senza Alicata, visto che nel frattempo Gaber gli aveva procurato un contratto con la discografica Jolly.
  Arrivano così altri due singoli ("La Torre" e "Triste come me", 1967) e infine il prestigioso passaggio alla Philips con la quale inciderà ben tre 45 giri tra il 1969 e il 1970: tutti di stampo romantico e tutti di un certo successo (si dice fossero quattro, ma l'ultimo non venne pubblicato), ma a
un certo punto qualcosa non va.

battiato fetus 02

Siamo al principio del 1971 e Battiato capisce che i tempi sono maturi per osare di più. Lui è un grande appassionato di biologia, esoterismo, letteratura tedesca e musica elettronica, e la fase romantica comincia a stargli stretta. Anzi, talmente stretta che più di una volta l'avrebbe rinnegata nel corso della sua carriera. Voleva invece "trovare una musica che fosse il corrispettivo letterario di ciò che lo interessava" e si diede da fare.

Si chiuse in un mutismo radicale rinunciando a molte serate e alle lusinghe delle majors, e iniziò a cambiare completamente frequentazioni avvicinandosi sempre di più al fervido ambiente dell'avanguardia milanese.
Intorno al 1970 si dota di un modernissimo sintetizzatore VCS3 e decide che da ora in poi inciderà qualcosa solo se ne avrà il pieno controllo.
Per realizzare i suoi piani, bussa alle porte della neonata etichetta Bla Bla di Pino Massara e lui lo accoglie a braccia aperte.
Risultato: il suo primo trentatrè giri "Fetus", concepito
nel 1971, registrato alla Sala Regson di Milano (la stessa di Celentano e Mina) e pubblicato nei primi mesi del 1972. 

battiato fetus 03battiato fetus 04Che Battiato abbia intenzione di scioccare, lo si capisce sin dalla celebre cover dell'A.l.s.a di Gianni Sassi raffigurante un feto maschile (presumibilmente morto), dall'esplicita foto pop al suo interno e dalla quarta di copertina che ritrae il nostro in una personalissima tenuta spaziale.

Concettualmente, il disco guida l'ascoltatore nel processo della genesi umana dal suo concepimento sino alla nascita, e musicalmente si rivela una novità assoluta per l'Italia: un misto tra elettronica e Bach, tra Oriente e Occidente, tra cantilene infantili e voci spaziali, tra melodia e rumoristica.
Ingenuità e aggressività si mescolano in un insieme omogeneo ed incalzante in cui Battiato sembra voler mettere a punto tutte le linee della sua filosofia artistica.


  Nell'incedere dell'ascolto non si trova nulla di scontato ed ogni nuovo movimento è una scoperta musicale e strumentale (con lui suonano sei musicisti) sempre funzionale al racconto. 
Si parte dalla descrizione del concepimento vista dalla parte del nascituro ("Non ero ancora nato che già sentivo il cuore […] M'incamminavo adagio per il corpo umano. Giù per le vene, verso il mio destino") per arrivare attraverso i vari processi biologici ("Cariocinesi", "Energia" "Mutazione" ecc…) alla luce della vita.

Dove non permeata da formule e citazioni scientifiche ("Fenomenologia"), la poetica di "Fetus" rivela una "pietas" straordinaria e una coscienza artistica che, pur se non ancora perfettamente sviluppata, è ormai solidamente parte di colui che diventerà uno dei più innovativi artisti del nostro secolo.

A dispetto di qualche polemica occasionale (la foto di copertina fu tra i bersagli favoriti della stampa borghese), "Fetus" otterrà un riscontro notevole che venne ulteriormente rafforzato da un 45 promozionale ("Energia" / "Una cellula") e da incessanti apparizioni dal vivo ai principali Festival Pop di cui fu sempre graditissimo ospite.

Il suo interesse all'Underground e alla Controcultura verrà favorevolmente ricambiato e, al di là di trascurabili contraddittori, porterà il ragazzo di Jonia ad una considerazione sempre più alta.
In questo senso, Fetus è da considerarsi tra i migliori album dell'avanguardia Italiana.

Ne esiste anche una versione in inglese mai pubblicata ufficialmente, ma infinitamente meno incisiva di quella originale.

FRANCO BATTIATO - Discografia 1972 - 1975:
1972: FETUS
1972/73: LA CONVENZIONE - PARANOIA (45 giri)
1973: POLLUTION
1973: SULLE CORDE DI ARIES
1974: CLIC
1975: M.ELLE LE GLADIATOR

Perigeo: Abbiamo tutti un blues da piangere (1973)

Perigeo Abbiamo tutti un blues da piangere

 I MIGLIORI ALBUM DI ROCK PROGRESSIVO ITALIANO.  N° 7


Nel 1973, l'avvento della nuova coscienza giovanile Controculturale pose le basi per una musica più aggressiva e pragmatica e anche i gruppi meno coinvolti dal prog, "indurirono" notevolmente il proprio sound.
Tra questi, il Perigeo.

Reduci da uno straordinario album d'esordio in cui si celebrava la nascita di una fusion Italiana autoctona e di classe, il quintetto romano decise di abbandonare le vellutate atmosfere di Azimut per calarsi in partiture meno intimiste e più aderenti al nuovo panorama sociale.
Con un tempismo da manuale, nacque così "Abbiamo tutti un blues da piangere", considerato da alcuni un album "di transizione" ma che in realtà, conteneva tutti quegli elementi che allinearono questa band al passo coi tempi.
I suoni si fanno più cupi e taglienti grazie ad un sapiente uso degli strumenti a fiato che insistono come coltelli sulle frequenze medie.
La voce, raramente impiegata dal gruppo, fa capolino questa volta in metà del disco, ma soltanto in qualità di appoggio strumentale: canto tradizionale e testi vengono di fatto negati e reinventati a vantaggio di una comunicazione meno ammiccante ma altrettanto efficace.
Il groove è spigoloso e reso ancora più abrasivo dal magistrale utilizzo della pressione dinamica che sollecita o rilassa l'ascoltatore in un continuo incedere di pieni e di vuoti. Il tutto, restituendo un jazz-prog composto da migliaia di "note in movimento", quasi come se ciascuna di esse facesse parte di uno scenario urbano.

Un album conflittualmente "rischioso" quindi, ma che sicuramente premiò il Perigeo in termini di coerenza musicale e intellettuale.
Perigeo Rock progressivo italiano
Supportato infatti da una solida impostazione Jazz, il gruppo si conferma compatto e privo di personalismi.
Anche se ciascuno dei cinque componenti ha ormai maturato definitivamente una sua personalità solista, la risultante finale evidenzia una band omogenea e musicalmente "democratica".

In sintesi, tutti i musicisti rimettono il loro apporto al servizio della collettività e questa fu una delle virtù più apprezzate anche dalle frange più radicali del movimento giovanile.
L'apripista "Non c'è tempo da perdere", inaugura un lavoro dalle tinte forti: il brano, idealmente diviso in cinque parti con un inizio più etereo e il finale jazz-fusion, rende alla perfezione il passaggio di intenti tra l'album precedente e la nuova linea intrapresa dal gruppo.

Perigeo blues da piangere Prog italianoSegue l'angosciante "Dejà vù" che va gradualmente a stemperarsi in quello straordinario pow wow liberatorio che è "Rituale": qui i concetti di impegno, lotta e positività vengono affrescati da larghi respiri strumentali ed un uso delle armonizzazioni a dir poco sublime.

I sei rilassanti minuti della title-track, introducono invece con signorilità l'ascoltatore alla seconda parte del disco che per certi versi, ci riporta alle atmosfere di Azimut: si parte dalla più meditativa "Country" per arrivare alla vulcanica e modernissima suite finale "Vento, pioggia e sole", passando per la sofisticata "Nadir" che è il brano più legato all'album d'esordio.


Nota d'encomio per "Vento, pioggia e sole" che, oltre ad essere a mio avviso il brano più significativo del nuovo corso, rappresenta anche il miglior finale possibile sintetizzando appieno le novità stilistiche.


Il Perigeo insomma, cresce e si evolve: l'accoppiata Sidney - Fasoli dimostra un affiatamento fraterno. Il geniale pianista Franco D'Andrea sa sempre dove mettere le note giuste per completare il quadro armonico e la sezione ritmica Tommaso - Biriaco fornisce incessantemente la spinta appropriata per far decollare ogni brano.

Siamo dunque al cospetto di "idee fatte musica" e questa corrispondenza artistica non mancò di evolversi ulteriormente e di essere ancora più apprezzata negli anni successivi.

Premiata Forneria Marconi: Storia di un minuto (1972)

Premiata Forneria Marconi Storia di un minuto 1972I MIGLIORI DISCHI DI ROCK PROGRESSIVO ITALIANO.  N° 8


Persino prima di ascoltarlo, si capiva subito che nei 35 minuti di quel vinile doveva esserci qualcosa di magico.

La prima garanzia era sicuramente la casa discografica: la "Numero Uno" di Battisti, già reduce da produzioni pre-Prog di grande classe tra cui la "Formula Tre".
Poi c'era la copertina d'autore di Cesar Monti, tanto criptica, quanto affascinante e contrastata.
Ancora: scorgendo la line-up della band (naturale evoluzione del famosissimo gruppo beat "I Quelli" e della loro costola più psichedelica "I Krel"), ci si accorgeva che il quintetto milanese era interamente composto da musicisti già arcinoti e rispettatissimi, sia a livello locale che nazionale e che, per comporre la formazione definitiva, aveva vagliato il fior fiore degli strumentisti italiani. Per esempio, Alberto Radius e Ivan Graziani.
pfm Storia di un minuto 1972Non meno importante era il nome del gruppo, Premiata Forneria Marconi, preso in prestito dalla loro prima sala prove situata a Chiari in provincia di Brescia: un "marchio di fabbrica" che abbandonava definitivamente le denominazioni beat (quelle precedute dall'articolo, per intenderci) per porsi al centro di una nuova realtà artistica e musicale.
Infine, non bisogna dimenticare che l'album era già stato anticipato non solo da una solida attività della band (supporter di Procol Harum, Yes e Deep Purple e turnisti per De Andrè, Battisti, Mina ecc. ) ma soprattutto da da un 45 giri-capolavoro, destinato a diventare un classico del rock Italiano:
"Impressioni di Settembre / La carrozza di Hans".
Il singolo, oltre ad aver ottenuto un enorme riscontro, aveva anche portato la "Premiata" a vincere il prestigioso "Festival di Viareggio" del 1971, a pari merito con Mia Martini e gli Osanna. Le credenziali insomma, c'erano proprio tutte.
Premiata Forneria Marconi Storia di un minuto 03Di fatto, passando all'ascolto, ogni possibile dubbio sulle eventuali imperfezioni dell'antitesi viene fugato dal riscontro musicale: un excursus che non solo è rock progressivo allo stato puro sulla scia dei King Crimson e dei Jethro Tull, ma che si integra magistralmente con squisiti innesti mediterranei ed un cantato in lingua italiana, sorprendentemente aderente al tessuto musicale:
Una "dichiarazione di stile" insomma, che renderà la PFM un monolite della musica mondiale.
Il primo brano, "Introduzione", è il "biglietto da visita" dell'disco: suoni levigati, dinamica perfetta e produzione accuratissima. Ogni strumento suona limpido all'ascolto, emergendo chiaramente dal perfetto affiatamento della band.
In poco più di un minuto siamo già nella stratosfera. Ecco "Impressioni di Settembre", con quell'altisonante inciso di Moog che la band si era fatta prestare, perché non aveva ancora i soldi per comprarlo….
Premiata Forneria Marconi Storia di un minuto 04Quasi a farlo apposta, alla sognante e Crimsoniana coda di "Impressioni…", viene immediatamente opposta una lunga "tarantella progressiva" di quasi 5 minuti ("E' festa") che rompe ogni legame con l'amato Prog Inglese, spezzando come una scure il ritmo dell'album, e dichiarando in maniera definitiva che un Pop sinceramente autoctono, è possibile anche da noi.
Stesso discorso per la successiva "Dove…quando?" in cui il gruppo manifesta a piena ragione le sue competenze classiche: "movimenti", "suites", e sinfonie" si rincorrono e si mescolano in piena organicità per poi sfociare nella loro sintesi: l'ulteriore meraviglia sonora, "La carrozza di Hans".
Chiude l'album "Grazie Davvero" , i cui toni epici e fiabeschi stanno a suggerire che l'avventura della PFM non solo non era finita lì , ma era solo all'inizio di una strada lunga e complessa.
L'arpeggio finale, sospeso e trascendentale, è di per sé, un invito al futuro.
Ineccepibile e seminale, questo Lp non fornisce alcun apparente motivo di contraddittorio.
"Tecnicismo", "freddezza" ed "esterofilia" furono le accuse più frequenti mosse al gruppo da una certa parte politica, invisa tra l'altro, al poderoso management che lo sosteneva (Mamone e Sanavio).
Pur accettandone qualcuna (ma solo in minima percentuale e col beneficio del dubbio), mi sento comunque di dire che certe osservazioni fossero tranquillamente trascurabili: soprattutto in virtù della spinta in avanti che la PFM diede a tutta la musica Italiana.
STORIA DI UN MINUTO E' STATO GIUDICATO DAI LETTORI DI CLASSIC ROCK
L'ALBUM NUMERO UNO NELLA CLASSIFICA PONDERATA DEL'ANNO 1972


PREMIATA FORNERIA MARCONI - Discografia 1972 - 1978:
1972: STORIA DI UN MINUTO
1972: PER UN AMICO
1973: PHOTOS OF GHOSTS
1974: L'ISOLA DI NIENTE
1974: THE WORLD BECAME THE WORLD
1974: COOK - LIVE IN USA
1975: CHOCOLATE KINGS
1977: JET LAG
1978: PASSPARTU'

Lucio Battisti: Images - parte 2 / 2

 PARTE 2 DI 2 - Continua dalla Prima Parte

Lucio Battisti, Images, 1977
IMAGES IN EDIZIONE PICTURE DISC (2023)
 
Ma non fu possibile. Non c’era tempo. E non perché il progetto di americanizzazione di Lucio fosse insensato, anzi. Fu solo questione di soldi.
Sembra infatti che la RCA volesse appianare un grosso sbilancio contabile entro l’anno, e "Images" sarebbe stato il mezzo ideale per farlo. Tutto lì.
E anche se i dettagli non furono mai rivelati, col tempo emersero almeno due ipotesi - abbastanza verosimili - che spiegherebbero meglio la situazione.

Ipotesi n° 1) Verso la fine del 1976, la RCA Italiana scoprì di avere speso circa quattrocento milioni in meno del budget messole a disposizione dalla casa madre americana, rischiando così un taglio dei finanziamenti per l'anno successivo. Occorreva investirli rapidamente.

Ipotesi n° 2) Era la RCA americana che invece doveva quattrocento milioni a quella italiana e, per ridarglieli – sempre entro l’anno – le avrebbe finanziato integralmente una sontuosa produzione internazionale. 

Ancora oggi non sappiamo ancora quale delle due versioni fosse quella vera, ma la sostanza non sarebbe comunque cambiata.
Gli americani avevano deciso che i contratti di produzione, promozione e distribuzione di entrambi gli album ("Images" e "Io, tu, noi, tutti") andavano finalizzati entro il 1976, e che il disco americano avrebbe dovuto uscire nei primi giorni del 1977.
Quello italiano poco dopo.
 
John's Classic Rock, Lucio Battisti
Praticamente un diktat che obbligò Battisti a trasferirsi immediatamente negli States, a registrare le basi in soli tre mesi, a cestinare quasi tutte quelle realizzate al “Mulino” con Bullen, Calloni, Maioli e Graziani, e a chiudere un occhio sulle ulteriori criticità che resero il lavoro più complesso e sofferto. Dai rapporti non sempre idilliaci coi musicisti americani che mal sopportavano le sue direttive, sino ai nuovi testi della coppia Powell-Mogol, troppo letterali per essere attendibili.

"Ma perché", qualcuno si chiederà, "non venne scritturato – per esempio – un paroliere del calibro di Pete Sinfield, che peraltro aveva già collaborato con la Numero Uno tra il 73 e il 74 con la PFM?". Non lo sappiamo. 

Possiamo solo immaginare che, dall'alto del suo super-io, Mogol considerasse la sua poetica applicabile a qualunque idioma. Per cui, le versioni straniere avrebbero dovuto mantenere non solo gli stessi concetti degli originali, ma a volte anche le stesse parole. E questo sia a discapito della naturalezza complessiva dei brani in lingua, sia della loro fluidità metrica.
Una presa di posizione che, come noto, produsse non solo un inglese inaccettabile, ma ulteriormente penalizzato dal non aver utilizzato - per scelta o per limite - linguaggi più comunicativi come quello gergale, familiare o quotidiano

Ad ogni modo, con lieve ritardo sul ruolino mericano, “Io tu noi tutti” uscì nel marzo 1977 e fece un botto, mentre “Images”  che uscì in agosto (negli Stati uniti) e in settembre (in Italia), fu un disastro a partire dai titoli. 
 
Lucio Battisti in Inglese
"Il mio canto libero" diventò uno zoppicante "A song to feel alive", "Soli" fu tradotta in "Only" (che però è un avverbio), e il glorioso inizio della "Canzone del Sole" fu restituito da un improbabile "Your long blonde hair and eyes of baby blue".

Al netto delle amenità fonetiche comunque, “Images” fu arrangiato e suonato magistralmente. E credo basti scorrere la line-up degli strumentisti per capirlo. Ci sono Mike Melvoin (collaboratore di Frank Sinatra, John Lennon e Jackson Five, nonché papà di Wendy, futura chitarrista dei Revolution di Prince), Ray Parker Jr. (Stevie Wonder, Barry White, Rolling Stones ecc.), Hal Blaine (batterista per Elvis Presley, Ronettes, Beach Boys…) e quel geniaccio dei sintetizzatori, Michael Boddicker, che dagli anni Settanta ai Novanta contribuì – tra gli altri - al successo di Michael Jackson, Barbra Streisand, Diana Ross, Barry Manilow e Quincy Jones. E qui si chiude la saga di Images.

Lucio però non si diede per vinto, anzi. Contro qualunque previsione, registrò anche la versione inglese del suo album successivo "Una donna per amico" (con i testi stavolta di Frank John Musker) che - se non fosse stata abortita  -  si sarebbe chiamata  "Friends", e di cui sopravvisse ufficialmente il solo singolo Baby It’s You (Ancora tu)/Lady (Donna selvaggia donna),pubblicato dalla RCA Victor nel 1979, e reperibile ancora oggi al prezzo di circa 200 euro M/M.

Anche in questo caso però, i risultati furono scoraggianti, e anche se qualcuno notò dei miglioramenti rispetto a "Images" (ascoltare per credere), evidentemente non furono così apprezzabili da essere pubblicati.