Perigeo: La valle dei templi (1975)
Nel 1975, un nuovo soggetto giovanile proletario, inizialmente periferico ma estremamente combattivo, si stava innestando nelle maglie della Controcultura creando non pochi contraddittori e spostando il dibattito politico su terreni estremamente concreti: droga, disoccupazione, vivibilità dei quartieri-dormitorio, rapporti tra classi e sessi e rappresentatività all’interno delle metropoli.
Anche se, almeno inizialmente, il movimento restò ad osservare questa nuova ondata rivendicativa, era chiaro sia ai militanti che agli artisti che occorreva fare delle scelte politiche e culturali che prendessero atto della sua esistenza.
Musicalmente, per esempio, si trattò di decidere se proseguire sulla strada della complessificazione e della "contaminazione verso l’alto” (es: con il jazz) perpetrate sin dall'anno precedente e avallando quindi la linea cara ai gruppi storici, o spostare la propria conflittualità “verso il basso” per entrare in comunicazione con le tendenze emergenti.
Il problema non era di poco conto visto che un anno dopo il confronto diretto tra il proletariato giovanile e i “gruppi terzinternazionalisti” produsse il disastro del Parco Lambro.
Questo però nel 1975 non si poteva sapere e ognuno dovette agire secondo coscienza.
Molte bands optarono per la prosecuzione dei vecchi stilemi creativi (Aktuala, IPSon Group), altre produssero sonorità del tutto nuove ma ancora acerbe (Il disco dell'angoscia), altre ancora caddero in preda all’inerzia creativa (Orme, Ibis) e davvero in pochi optarono per una scelta coraggiosa: adeguarsi, ma senza rinunciare alla propria personalità. Ad esempio il Perigeo.
La scelta fu ovviamente sofferta perchè, com’è noto a tutti gli analisti, il concetto di “adeguamento” porta sempre a rinunciare a una parte di se stessi e non è sempre facile “innovarsi rinunciando”.
Tuttavia, con consumata abilità commerciale e la consueta perizia tecnica il gruppo di Giovanni Tommaso seppe mutuare con grande classe quelle due tendenze dando alla luce un nuovo album in cui erano contemporaneamente evidenti sia la voglia di una maggiore comunicatività, sia il desiderio di non rinunciare neppure per una nota al proprio stile.
Il disco si chiamava “La valle dei templi”.
Pur se quaalcunoi attribuì a quell’opera un senso di “stanchezza”, in realtà il dualismo tra conservazione e conflittualità fu risolto in maniera più che dignitosa, per non dire geniale.
Per cominciare il sound venne spostato decisamente verso la “fusion” proponendo ad esempio una title track talmente precisa e diretta da non dare addito a nessuna obiezione né sul suo livello strutturale, né tantomeno sui suoi intenti ideologici.
Chiaramente il sound è molto più semplice di quello del 1973, ma nessuno potrà mai dire che alla base di quel brano non vi sia fosse consapevolezza più che acclarata.
Non secondariamente poi, vennero completamente eliminate le parti vocali: una scelta astuta e intelligente che non solo mise al riparo la band da qualsiasi polemica dialettica, ma concesse un maggiore spazio alle parti soliste. Una mossa non priva di una certa furbizia commerciale, ma perfettamente allineata con la sensibilità interpretativa delle masse.
Infine, come nella migliore tradizione dell’epoca, il gruppo accolse un ospite di riguardo che, nella figura del percussionista Toni Esposito, fornì quelle coloriture ritmiche che sinora erano mancate al gruppo.
In altre parole, “La valle dei templi” risultò un album moderno, frizzante e completo in tutte le sue parti anche se, ovviamente, molti osservatori di estrazione radicale non mancarono di sottolinearne le evidenti strizzate d’occhio al mercato.
All’ascolto però, non si può ancora una volta non rimanere affascinati dalla superbia tecnica dei musicisti e dalla loro coerenza esecutiva.
A parte la title track di cui abbiamo già parlato, spiccano come gemme preziose “Looping” in cui ognuno dei musicisti esalta la sua personalità in una struttura in 3/4 perfettamente organica.
Encomiabili anche la malinconica “Pensieri”, tutta giocata sul crepuscolare pianismo di D’Andrea e “2000 e una notte” dal vago sapore Area.
Chiude il disco “Un cerchio giallo” che, a partire da una vera e propria manifestazione di abilità di Tony Sidney, sfocia in un vellutato finale collettivo perfettamente in sintonia con l’opera.
Pubblicato anche in America col titolo di “The Valley of the temples” il penultimo album del Perigeo anni ’70, restituisce un lavoro certamente più levigato dei precedenti, ma assolutamente coerente con il suo tempo.
Alla fine dell’ascolto, pare rimanga un senso di tensione e mistero: proprio come quello che si prova visitando la valle agrigentina, o che si poteva percepire nel 1975 guardando dall’altro le oscure città in trasformazione.
9 commenti :
sei sempre interessante, però dell'orfeo9 hai mai parlato?
Grazie Davide.
Orfeo 9 non l'ho ancora recensito, ma lo farò sicuramente.
ciao jj, i perigeo li ho ricevuti giusto in questi giorni e neanche a farlo apposta, ecco la tua recensione :)
non vedo l'ora di ascoltare questo disco e colmare anche questa lacuna.
come sempre, grazie per il tuo lavoro che non manca mai di portare sana curiosità in chi legge, a gran vantaggio della nostra musica.
Lenz, grazie a te per esserci. Mi farai sapere su questo disco.
Anche se più leggero degli altri, io lo trovo veramente azzeccato.
La title track mi mette sempre di buon umore. E di questi tempi non è poco.
Gran disco del 1975!!!..uno dei più belli e completi del prog-jazz di casa nostra...anche in questo caso i musicisti, "tutti", sono dei pittori che giocano con i loro strumenti in maniera eccelsa...è un disco che ancora adesso, come dice JJ, mette di buon'umore e non fà presagire quello che poi da lì sarebbe ...sparito...ciao
Album che ho letteralmente consumato a forza di ascoltarlo.
Anche se, nonostante ami questo lavoro, bisogna ammettere che rappresenta un passo indietro rispetto ai tre album precedenti.
Mi pare che la verve del gruppo si perda un pò. Solo alcuni brani sono realmente riusciti.
Inoltre la comunicabilità che cerca il gruppo in quest'album fa si che molti brani diventino più semplici come struttura, e secondo me anche più prevedibili.
Nonostante tutto, uno dei migliori lavori del 75 qui da noi....anche se penso che il primo dei Napoli Centrale ed il primo di Tony Esposito (entrambi dello stesso anno) diano una "rinfrescata" al jazzrock italiano del periodo, più sicuramente del Perigeo di questo disco.
ale77
ascoltato. molto bello ma ha la tendenza a diventare un pò monocorde, quasi noioso.. cosa che Etna non è non sarà mai (scusate se porto come paragone sempre quel disco, per me è una delle massime punte italiane, nella sua semplicità contiene una varietà di pezzi stupendi).
bella l'apertura ma continua in modo un pò troppo omogeneo a parer mio, tanto da sembrare quasi un'unica suite..
devo dire che ho notato da subito che un certo rah band che spopolò agli inizi degli anni 80 ha preso più che qualche ispirazione da qua, in special modo da "tamale"..
a parte il discorso del troppo omogeneo, ce ne fossero ancora di gruppi capaci di musica come questa.. e soprattutto, fossero supportati!
è un disco che non rimarrà nel mio rispostiglio ma verrà sicuramente goduto e consumato svariate volte.
Disco bellissimo !
Grande Perigeo !
Michele D'Alvano
Tamale, La valle dei templi e Periplo sono tre brani formidabili !
Michele D'Alvano
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