Logan Dwight: Logan Dwight (1972)

logan dwightIl nucleo base dei Logan Dwight costituito dalla vocalist Donatella Luttazzi - figlia del celebre presentatore Lelio - e i chitarristi Gianni Mereu e Francesco Ventura si forma a Roma nel 1970 con il nome di Genesi.

Scritturati dalla Delta, i tre entrano quasi subito in sala d’incisione per registrare alcuni brani in stile R&B e avvalendosi di alcuni musicisti di prestigio tra cui il batterista Derek Wilson e il catante Alex Ligertwood proveniente dai Senate e dai Camel,

Tuutavia, anche se il disco non ebbe alcun impatto commerciale, l'abilità del gruppo calamitò nientemeno che l'attenzione dell'allora popstar Brian Auger, all’epoca di passaggio per Roma.
Questi offrì a Ligertwood un posto di nei suoi Oblivion Express, il cantante non si fece ripetere due volte e i Genesi terminarono la loro carriera.

Fortunatamente, la PDU di Mina Mazzini che ai tempi viveva un momento d’oro per via dei successi della sua proprietaria, cominciava timidamente ad interessarsi alle neonate avanguardie e diede al trio una seconda chance.
A quel punto, Genesi cambiarono il nome in Logan Dwight, stabilizzarono la formazione con l’ingresso del cantante Federico D’Andrea (già nei Myosotis e successivamente nei Libra), riconfermarono l’ex bassista dei Genesi Claudio Barbera e finalmente, nel 1972 entrarono in studio di registrazione con l’aiuto del batterista Jean Paul Ceccarelli e il noto tastierista Toto Torquati.
Alcuni critici, va detto, segnalarono in questo frangente anche la presenza di Sandro Centofanti, anch'egli futuro Libra anche se ciò non venne mai accertato.

Il risultato fu un album costituito da sette brani in inglese, relativamente brevi come in uso nel periodo underground (il più lungo non arriva ai cinque minuti), di cui 5 inediti e due ripresi da vecchie incisioni dei Genesi del 1970 (uno è sicuramente "Traffic") e con la voce di Ligertwood : una scelta discutibile che sicuramente minimizzò i costi della produzione, ma condannò l’album a una sostanziale incoerenza timbrica che andava ad aggiungersi al già notevole repertorio di stili che lo componevano.

underground logan dwightL'idea base del disco era infatti quella di restituire una sorta di “omaggio” ai vari musicals pop in voga nei primi anni ’70 e quindi vi si trova dentro davvero un po’ di tutto: classica, rock, folk, jazz e giusto una spruzzata di Prog nella traccia di apertura.

L’album si apre in modo più che frizzante con l’interessantissima title track che riassume in se praticamente tutti i clichè dell’undeground: grande verve creativa, un buon livello di sperimentazione, ampie citazioni da Hair, cori spiritual, dinamismo negli stacchi e quant’altro.

Ci sono poi “Moments of eternity” e “Dawn” che alternano melodie barocche cantate dalla soave voce della Luttazzi con buone contaminazioni rock-orchestrali sostenute invece dal più rockeggiante Federico d’Andrea.
E fin qui, onestamente non me la sentirei di svilire questo LP come fece (e fa tuttora) la gran parte della critica.

Alla lunga però, occorre davvero ammettere che la ripetitività del groove compositivo non giovò molto all’insieme del lavoro.
I due brani ripescati dai Genesi poi, è vero che servirono a spezzare la monotonia, ma suonavano anche alieni a tutto il resto, essendo stati incisi due anni prima e probabilmente con ben altri mezzi a disposizione che non quelli della scintillante PDU.

Un pastiche quindi accattivante ma probabilmente poco curato progettualmente e ancor peggio assemblato in fase di realizzazione.
Non a caso qualche critico fece notare piuttosto malignamente che a quel punto mancava solo “Let the sunshine in” e il cerchio sarebbe quadrato.

logan dwight (1972)Comunque, cattiverie a parte, tempo ancora per una furibonda “Afraid” e la celebrazione californiana di “Uncle Victor” e l’ellepì arriva al solco finale lasciandoci un buon sapore del tempo che fu.
Una dignitosa testimonianza di una cultura che di lì a poco si sarebbe evoluta e una manifestazione di ottima tecnica strumentale con tanto di finale acustico degno dei CSN&Y.

Malgrado però la sua complessiva piacevolezza e l’evidente sforzo profuso dai musicisti, il disco non solo fu un flop commerciale, ma venne anche snobbato dalla critica per non dire peggio.
Il critico Giordano Casiraghi, ad esempio, non lo citerà neppure nel suo ottimo libro sugli anni ’70: davvero un colpo di grazia.
Del resto, nel 1972 (anno d’oro del Prog italiano) c’era ben altro da ascoltare e le fiorite ambientazioni di James Rado facevano già parte di un passato remoto.
Si prenda dunque “Logan Dwight” come una solida celebrazione di un’era che fu.
Magari non ricordiamolo nemmeno nelle enciclopedie, ma non calpestiamolo.
Questo no. Non se lo merita.

2 commenti :

Anonimo ha detto...

Quest'album l'ho ascoltato da poco....era una vita che lo stavo cercando....soprattutto per una questione di curiosità, ma anche per poter ascoltare la Luttazzi.

JJ, la penso proprio come te su questo lavoro. Il gruppo ci sapeva fare, tutti dotati di un'ottima tecnica e di una buona amalgama di gruppo....e i due cantanti son bravi.

Questo gruppo sembra davvero americano....direi un'ottima imitazione. Perchè dal punto di vista compositivo, pur se le canzoni sono davvero carine ed ispirate.....non hanno nulla di innovativo e di conflittuale.

Comunque è davvero un lavoro che si fa ascoltare più che volentieri.

alex77

Anonimo ha detto...

Disco piacevole anche se un po' derivativo e frammentario

Michele D'Alvano