Flea on the honey: Flea on the honey (1971)

Flea on the honey 1971Secondo l'autorevole ed introvabile "Libro bianco sul pop in Italia" (Arcana editrice, 1975) il peggior male della musica Italiana negli anni '70 era l'esterofilia, ossia quella tendenza comune a molti gruppi di ricalcare tout-court stilemi anglo-americani senza preoccuparsi di trovare una "via Italiana al rock" che, in effetti, sarebbe stata la soluzione più innovativa e conflittuale, ma anche la più difficile.

Al di là della radicalità del libro, per cui gli artisti che si salvano sono veramente pochi (Battiato, Nomadi, Juri Camisasca, Dedalus e il Banco - mi raccomando però…solo il primo album), c'erano realmente in Italia dei gruppi che, nel momento di transizione dal Beat al Pop, commettevano la leggerezza di ispirarsi al Rock inglese al punto tale di sembrare Inglesi loro stessi emolto spesso con la complicità della casa discografica.

Flea on the honey 02I "Flea on the Honey" erano sicuramente tra questi: nome inglese malgrado fossero Siciliani, note sulla copertina dell'album in Inglese, testi inglesi - pronunciati molto discutibilmente -, nomi dei componenti "inglesizzati" (Antonio Marangolo=Tony, Agostino Marangolo=Dustin, Carlo Pennisi=Charlie e Elio Volpini=Nigel…sic!) e una musica totalmente riferita all'underground britannico degli anni '60: dai Beatles ai Pink Floyd con tracce di Small Faces, Troggs, Mindbenders ecc…

Capisco sinceramente come al Primo Festival Pop di Viareggio del 1971 i "Fleas" possano aver lasciato perplessi in molti, malgrado le indiscutibili capacità strumentali e vocali.

In ogni caso, vuoi per problemi promozionali (il disco uscì per una micro-etichetta, la "Delta" che per l'appunto, voleva far passare i nostri eroi per gruppo inglese…), vuoi per la scarsa ricettività di un prodotto apolide, "Flea on the Honey" passò totalmente inosservato malgrado fosse veramente un "signor" album:

le parti strumentali sono precise e levigate, la voce perfettamente mixata (cosa rara per l'epoca e soprrattutto per un'etichetta così piccola), i suoni proporzionati, le intenzioni ottime e nondimeno una gradevole varietà timbrica.

Ciò che doveva ancora arrivare per questi ottimi musicisti era la "personalità", intesa come capacità di svincolarsi da modelli stranieri, ma ci volle poco.

Flea on the honey 03

La loro qualità e la loro intelligenza gli fece subito capire in che modo farlo:
buttarono alle ortiche la loro sudditanza a Sua Maestà, cambiarono il nome prima in "Flea" (1972), poi finalmente in "Etna" (1975) (che non è il massimo dell'originalità per dei Sicilani, ma a questo punto va benone così) e produssero due album sopraffini, di ottimo livello e questa volta...
...ITALIANI al 100%.

Nota finale: con l'arrivo degli anni '80 quasi tutti i membri degli Etna (ex flea, ex eccetera)diventarono session-men o arrangiatori di prim'ordine al soldo di nomi fondamentali della musica leggera a partire da Gino Paoli per arrivare al compianto maestro Umberto Bindi.

7 commenti :

Gianni Lucini ha detto...

La band è la culla di quattro grandi musicisti.
I due Marangolo faranno parte dei Goblin oltre a sviluppare infinite collaborazioni come giustamente tu racconti. Pennisi, autore di colonne sonore, suona anche con i Libra, mentre Volpini, chitarrista hendrixiano, fonda anche gli Uovo di Colombo che faranno da spalla ai Deep Purple

lenz ha detto...

se è per quello anche pennisi farà parte di una formazione dei goblin (lo avevo acritto a canaccio ;)) che si è occupata di varie soundtrack come buio omega..

giody54 ha detto...

io non credo che i gruppi che si ispiravano ai modelli angloamericani fossero da buttare.Chi piu' chi meno lo hanno fatto quasi tutti compresi i grandi(Orme,BMS,PFM,ecc.)è semmai stato un modo per acquisire informazioni e esperienze che sarebbero poi servite per produrre quei capolavori che conosciamo

AL COOPER ha detto...

Quando si compone,si usano varie frasi e linguaggi,soluzioni diverse qualche cosa lo si portano cose giaà usate,si fanno riferimenti ecc,ecc. l'importante che ciò che si è creato sia valido ed intelligente.

Anonimo ha detto...

Io trovo invece che sia stato un fatto positivo essersi ispirati al souns westcostiano ed inglese perchè inizialmente noi nella nostra italietta non avevamo un fico secco di musica fatta eccezione per la canzone Napoletana che resta l'unico stile universalmente riconosciuto e di pregio.Del resto tutto il beat mondiale nasce dai Beatles e la psychedelia,bene o male,da Syd Barrett e da qualche altro gruppo anglo-americano.Anche i prog nasce dagli iglesi ma non solo in italieta ma in tutta europa e perfino in Giappone.Per cui concludo che ispirarsi(vedi Circus=Jefferson Airplane,Le stelle di Mario Schifano=Velevet per troppi aspetti,Analogy=tardo psychprog angloteutonico),per cui che ben vengano i modelli da imitare perchè poi conducono alla sperimentazione ed alla composizione personale.Tutto il prog italiota(o quasi)lo adoro ma non è altro che una scopiazzatura ed adattamento di quello inglese...embè?che ben vengano questi stilemi.

ugo ha detto...

be se uno si ispira ma poi ci mette la propria personalità vanno bene pure i modelli inglesi

Anonimo ha detto...

Un disco che ascolto sempre con piacere

Michele D'Alvano