Ricky Gianco: Arcimboldo (1978)
Se dovessi scegliere quattro o cinque Lp che fotografarono in maniera chiara e consapevole il Movimento del 77, non avrei dubbi: Disoccupate le strade dai sogni di Claudio Lolli (1977), lo splendido Ma non è una malattia di Gianfranco Manfredi, Diesel di Eugenio Finardi (1977), Arcimboldo di Ricky Gianco (1978) e, sul versante pop, Burattino senza fili di Edoardo Bennato (1977).
Al limite, anche anche Mamma dammi la benza del Centro d’Urlo Metropolitano – poi diventati Gaznevada - e Inascoltabile degli Skiantos, anche se questi ultimi rappresentarono solo il lato più anarcoide di un anno ben più sfaccettato.
Personalmente, amai tutti questi dischi in egual misura, eppure uno solo mi rimase impresso al punto da ritenerlo ancora oggi a memoria, ed è Arcimboldo. Ma non perché fosse migliore degli altri, quanto perché, contestualmente alla produzione dell’artista che aveva fatto anche canzoni meno impegnate (dalla Linea Verde degli anni 60 a Braccio di ferro del 75), quell’album brillò inatteso come un diamante nel deserto.
Preceduto da Alla mia mam... del 76 - altrettanto militante ma fin troppo caustico - restituì infatti con straordinaria nitidezza tutta la complessità di un movimento unico nel suo genere, sospeso tra un passato di lotte ormai concluse, e la speranza di una ricomposizione che non sarebbe mai avvenuta.
Tecnicamente: nove canzoni prodotte da Claudio Fabi, eseguite dalla PFM post-Pagani in gran completo e in più, con la collaborazione di Roberto Colombo. Registrate presso gli studi milanesi della Ricordi, e mixate alllo Stone Castle di Carimate tra il maggio e il giugno del 1978.
Concettualmente: una vera e propria analisi ex-post di tutte quelle problematiche che vennero trattate, dibattute e vivisezionate l’anno precedente ma, ripeto, mai risolte a livello collettivo: la frammentazione e le contraddizioni della sinistra, il silenzio sociale come conseguenza dei processi di modernizzazione, le possibili nuove forme di lotta, l’antimilitarismo, l’ecologia e, a chiudere il tutto, il ruolo della memoria storica sublimata in una curiosa canzone quale A Nervi nel 92, là dove due reduci del movimento si ritrovano quindici anni dopo sulla riviera ligure a raccontarsi le proprie esperienze. Degradati nella scala sociale, ma indomiti nel loro grande amore per la vita e appunto per l'esperienza.
Musicalmente siamo invece di fronte a un insieme di stili differenziati che, come in uso all’epoca, mettono l’appena defunto prog al servizio di una comunicazione più immediata di taglio cantautorale. E in questo, c’è da dirlo, la PFM è davvero perfetta.
Un lavoro molto sofisticato insomma, a partire dalla splendida copertina dello Studio Dada2 che ritrae una “testa composta” di Gianco nello stile del pittore Giuseppe Arcimboldo (1526-1593).
Altra caratteristica che legò indubbiamente l’album al suo tempo storico fu poi il linguaggio utilizzato nei testi, tutti firmati da un Gianfranco Manfredi in evidente stato di grazia. Versi speso ermetici - “comprensibili al movimento, ma oscuri al potere” si diceva allora - ma che toccano ogni atomo della coscienza sino a coinvolgerla tutta.
Così, memorie e sensazioni che sembrano attraversare il disco quasi per caso, rivestono in realtà un ruolo preciso, come quel “cielo che era blu / a volte di un triste blu: blu-polizia” nella splendida Obrigado Obrigadinho che, insieme alla title track, è a mio avviso l'autentico capolavoro dell’album.
Oppure come quel “deserto che è pulito e non fa rumore, ma è vivo e pieno di colore”, che poi sarebbe la metafora di una "Milano del futuro" che il potere vorrebbe sempre scintillante e asettica, ma dove le sacche di disobbedienza continuano ad incontrarsi, a resistere, a riprodursi.
Parole certamente datate in effetti. Sentimenti quasi impossibili da spiegare a trent’anni di distanza, ma che non solo riflessero una rivolta diffusa e temuta dal sistema borghese, ma, se vogliamo, ancora attuali alle soglie dell'Expo 2015.
Del resto, Il fiume Po, è sempre “un fiume chimico, ma senza H2O”, la sinistra è tuttora inquinata da “compagni del caz...”, e l’Ironia è sempre una delle armi più detestate dal potere.
La sola differenza tra oggi e gli anni Settanta è che, se quarant’anni fa si osava toccare un qualsivoglia diritto civile, scattavano in piazza milioni di persone decise a tutto. Oggi invece, non solo “paghiamo” come Totò, ma sembra ci sia qualcuno che è pure contento di farlo.
Ecco perché Arcimboldo fu allo stesso tempo un capolavoro e un sasso nell’oceano.
Ma ricordiamoci sempre: ”è facile morire / ma è più difficile capire".
6 commenti :
Completamente concorde, John. Peccato che il "compagno un cazzo" sia stato censurato, svilendone così la rabbia e la poesia di una fotografia di un tempo che - già allora - era passato prossimo.
Un abbraccio.
"Il deserto è pulito" mi ricorda molto i Jethro Tull di "Songs from the wood" :)
Altro grande disco di Gianco !
A me piace di più Alla mia mam... però anche Arcimboldo è davvero bellissimo .
Michele D'Alvano
A me piace anche Non si può smettere di fumare del 1982, davvero un disco molto godibile .
Michele D'Alvano
Arcimboldo, Il fiume Po e A Nervi nel '92 sono i brani che preferisco di questo grande disco !
Michele D'Alvano
Appreciate you blogging tthis
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