Arte e politica. Il quadriennio della Controcultura (1973-1976)

rock progressivo italiano anni 70
Dopo tre anni in cui i Gruppi politici e il Movimento creativo-libertario contribuirono ciascuno per conto proprio alla lotta di classe, sin dai primi mesi del 1973 la crescente controffensiva padronale, unita all’aggravarsi della crisi economica e ad alcuni segnali d’allarme provenienti dall’estero, resero necessario un immediato ricompattamento di tutte le forze rivoluzionarie. 

Di fatto, mentre il PCI proseguiva imperterrito la linea del compromesso storico, vista da molti militanti come un cedimento nei confronti della borghesia reazionaria, nelle fabbriche si susseguivano i licenziamenti, i blocchi delle assunzioni e lo smembramento chirurgico di interi reparti caldi attraverso l’applicazione del labour saving e del turn over.

Un panorama incandescente ben rappresentato dal fallimento della vertenza sindacale di Fiat Mirafiori (cui seguì una drammatica occupazione) che oltre all’ambiguità dei sindacati comprovò anche quanto i gruppi extraparlamentari non fossero più adeguati a condurre le lotte di fabbrica. Sarà da quell’esperienza infatti che la base operaia prenderà direttamente le redini dello scontro di classe, portandolo anche sino alle estreme conseguenze

Tutto ciò, mentre gli effetti della crisi petrolifera iniziavano a colpire pesantemente anche il vissuto quotidiano: aumento di benzina e gasolio con relativo divieto di circolazione nei giorni festivi, razionamento del cherosene per il riscaldamento domestico e chiusura anticipata dei locali pubblici così come dei programmi radiotelevisivi

All’estero, il golpe cileno del generale Pinochet avrebbe ricofermato agli occhi del Movimento la pericolosità delle destre eversive, specie se, come nel caso italiano, pilotate dai servizi segreti, dalla Cia, o dalla Nato. Allo stesso modo, le notizie della vasta insurrezione popolare contro il regime dei colonnelli in Grecia convinsero tutti gli attivisti che, per ottenere le medesime conquiste, occorreva riunificare e mobilitare tutte le forze rivoluzionarie indipendentemente dalla loro specificità

musica e politica anni settanta
Era venuto dunque il momento in cui politica e creatività tornassero a far fronte comune come nel 69, e il primo passo fu compiuto già nel dicembre 72 con la massiccia partecipazione dei renudisti ad alcune rivendicazioni salariali. a cui seguì il 18 marzo del 1973 un importante articolo di Andrea Valcarenghi sul Re Nudo n° 18 intitolato “Dall’Underground alla Controcultura – La politica al primo posto”. In sintesi: 
Abbiamo capito che l’Underground ha esaurito la sua breve apparizione in Italia e pur se determinante, ora non ha più alcun senso poiché staccato dalla realtà generale del movimento rivoluzionario. All’imperialismo culturale dobbiamo opporre l’internazionalismo controculturale”. 

Nel 1973 finiva dunque l’era dell’Underground e cominciava quella della Controcultura che avrebbe connotato per altri tre anni il Movimento, fin quando cioè, nel 1976 le esigenze dell’Autonomia Operaia Organizzata e dei Circoli del Proletariato Giovanile avrebbero imposto nuove riflessioni e un altro giro di boa

Ovviamente, un simile terremoto ideologico non potè che ripercuotersi sensibilmente su ogni ambito del Movimento: da quello militante che fuse in un solo kernel spontaneismo e materialismo storico, a quello culturale-(ri)creativo là dove qualunque prodotto dell’ingegno umano, concreto o immateriale, fu inscritto in prospettiva dialettica e valutato come tale: in particolare il Pop d’avanguardia e il rock progressivo che ormai da tre anni erano quanto di più disallineato la musica italiana avesse mai prodotto a partire dal dopoguerra. 

Tra i primi effetti di questa politicizzazione (che va precisato fu comunque graduale) vi furono la comparsa di gruppi a forte spessore ideologico quali Area, Aktuala, Canzoniere del Lazio, Cervello, Jumbo, Nicosia & C. e Pholas Dactylus, il passaggio di altre band come il Banco a un linguaggio più concreto, la ripresa del cantautorato politico, e la nascita di decine di etichette indipendenti molte delle quali produssero dischi dall’altissimo valore culturale. Infine, particolare non trascurabile, un florilegio di Festival Pop autogestiti che in tre anni avrebbero attratto centinaia di migliaia di persone in ogni parte della penisola, e sarebbero diventati non solo un importantissimo punto di riferimento per tutto il rock italiano, ma anche un impietoso spartiacque tra gli artisti ritenuti più o meno consapevoli. 

Una relazione musica-politica talmente biunivoca insomma, che quando gli eventi del 1976 posero fine all’epoca controculturale, anche il nostro Pop perse la sua ragione d’essere, e nel giro di pochi anni dovette anch’esso cedere al riflusso, al neoliberismo e al giogo delle multinazionali
Almeno per sette lunghi anni però, l’Italia aveva prodotto la sua musica migliore.

6 commenti :

claudio65 ha detto...

Quello di cui si parla in questo post è un periodo critico, confuso e contraddittorio, sia dal punto di vista politico che da quello musicale. Su quanto accaduto in quel triennio 1973-1976, io ho le mie idee personali, già espresse in altri post. Che quell'utopia fallì è un dato di fatto. Ma, con quel fallimento, si è perso anche tutto quanto di buono c'era stato: una coscienza consolidata dei diritti, una democrazia non più fatta di solo voto (di scambio??), la coscienza di essere parte di una collettività e che la libertà fosse una conquista da difendere.
Al crollo di tutto ha contribuito, secondo me, in maniera decisiva il PCI, che svelò all'epoca la sua vera anima reazionaria ed immobilista, voltando le spalle alla gente e preferendo il Palazzo degli intrallazzi alle lotte per il Lavoro. L'appoggio del PCI al movimento di protesta giovanile ed operaio era un equivoco, che in quel triennio è stato perfettamente chiarito, con conseguenze visibili anche al giorno d'oggi, con una Sinistra (e non solo in Italia) totalmente al servizio delle tecnocrazie nordeuropee e della Globalizzazione. Una "svolta a Destra" iniziata molti, ma molti anni prima dell'arrivo di Renzi. Questo detto per chi, scioccamente a mio avviso, continua a dire: "Quando c'era Berlinguer ed il suo PCI, quelli si che erano tempi!"
Di quel triennio, secondo me, resta ancora la bellissima musica "prog" e gli scritti di Pasolini, che capì tutto in anticipo di decenni, ma che non fu capito da nessuno o quasi all'epoca, perché si credeva che, oramai, la "scalata verso il Cielo" di cui parlavano i comunisti non si potesse più fermare ed, invece, era già bella che finita ed anzi, era già cominciata quella discesa a precipizio, il cui fondo, forse, stiamo toccando o forse stiamo cominciando - come diceva Freak Antoni buonanima - a scavare sottoterra.

Anonimo ha detto...

Il PCI in effetti non volle mai capire/accettare che alla sua base esisteva un malcontento reale: fatto di sfruttati, di diversi e di militanti che lo avrebbero voluto più "operaista" nelle sue scelte.
E col "compromesso storico2 Berlinguer fece effettivamente un grosso errore di valutazione, pensando di poter replicare quei patti con la borghesia che che i suoi predecessori avevano stipulato all'epoca della ricostruzione. Ma nel Settanta i tempi erano cambiati, e a quel punto sarebbe stato il caso di agire diversamente.
Non fu così, e da quel momento inziò la deriva senza ritorno del Comunismo italiano.
JJ

Marco ha detto...

John, vuoi dire cha la "base" è stata lasciata sola e sè stessa?

claudio65 ha detto...

Il PCI era all'epoca un partito filo-sovietico, burocratico, ancora stalinista nell'anima. Non era in grado di affrontare nell'ambito della Democrazia reale e non formale le sfide di una società che stava già avviandosi verso una progressiva svalutazione del lavoro sia materiale che intellettuale. C'è da dire che a partire dal 1976 si fece largo in Italia un progetto feroce di guerra civile. Tuttavia, ben pochi - per non dire nessuno - si posero il problema di difendere la Libertà e la Costituzione "da Sinistra", ovvero dicendo: "Non siamo a favore di questo Sistema, ma vogliamo cambiarlo partendo da ciò che è buono e da ciò che garantisce i diritti delle persone." La difesa del Sistema fu condotta "da Destra" secondo la conservazione e la repressione ed il PCI portò acqua a questo mulino, seppellendo anche le cose positive che da quel quadriennio turbolento erano pure emerse.
Il progetto di guerra civile della BR io l'ho sempre trovato aberrante, completamente fuori dal senso ed anche dalle idee libertarie e non violente che dal '68 si erano dipanate. Quel progetto, l'ho sempre interpretato come un rigurgito di stalinismo deteriore, una deriva violenta da disperati, forse anche strumentalizzati da qualcuno molto più furbo di loro. Alla fine, questo progetto, ha finito per portare acqua al mulino di fascisti rivestiti da democratici, massoni deviati, P2, nonché le ghenghe clerical-finanziarie del papa polacco ultra-reazionario (che io non ho mai confuso con coloro che in Polonia combattevano il Comunismo liberticida sul campo e sul serio, rischiando la pelle in prima persona e non tessendo trame nelle seriche aule vaticane). Ed il PCI contribuì far girare le pale di quel mulino.

JJ ha detto...

Rispondo affermativamente a Marco e credo che Claudio65 abbia fotografato molto bene la situazione.
Tuttavia oso far notare che il problema del PCI, almeno dalla ricostruzione in poi, fu sempre e comunque quello di cercare in un modo o nell'altro di non deludere la borghersia progressista: quella che negli anni 50-60 fu progressista davvero (ricordo i Falck, Bialetti, Pirelli, Borletti ecc), ma col mutare delle tecnologie e dei sistemi di produzione divenne inesorabilmente reazionaria. Facciamo conto a partire dai primi anni Settanta: quando il "patto sociale" PCI-padronato non aveva più senso, e la materializzazione di un potenziale compromesso storico infiammò conseguentemente le ceneri della "resistenza tradita".
Sull'argomento 'lotta armata' dissento da Claudio65, ma gli concedo il fatto che negli anni, le quinte colonne arrivarono anche lì.

taz ha detto...

Non voglio esser cattivo nel dire che tutto quello che è successo negli anni '70, peccato che è successo a noi italiani. C'erano delle buone basi, a mio avviso, e non solo utopiche,per non doversi poi lamentare oggi di quello che sta accadendo sia livello politico che a livello culturale. Penso che sia mancata la coerenza in questi anni ed in tutte le correnti politiche..