Ricky Gianco: Alla mia mam... (1976)
Al delle qualità che restituì nel suo periodo di massimo splendore, una delle maggiori prerogative del Progressivo italiano anni ’70 fu quella di sopravvivere a se stesso anche dopo la crisi del 1976: sia come genere a se, sia come fonte di ispirazione per altri comparti musicali. Primo tra tutti: l’universo dei cantautori che nel frattempo si era definitivamente affermato sulla scena italiana.
Raccolsero la sua eredità per esempio Eugenio Finardi e Alberto Camerini che con il Prog avevano già avuto a che fare e che intrisero i loro primi lavori di metriche complesse, Pino Daniele che chiamò a se musicisti di NT Atomic System e Napoli Centrale, Angelo Branduardi che ne sviluppò l’aspetto più folk, Roberto Colombo con almeno tre dischi a forte matrice progressiva, Ivan Cattaneo che ne colse l’aspetto sovversivo mettendolo al servizio della causa Gay, Manfredi e Riondino con il loro sofisticato rock dissacratorio, ma anche e persino Gino Paoli che lungo tutti gli anni ’80 si affidò agli ex Flea On the Honey Antonio e Agostino Marangolo. Ciò senza menzionare i Jazzisti che dal prog attinsero a piene mani.
Il Prog italiano insomma non è mai morto, e ancora oggi ne possiamo sentire la eco in molti composizioni contemporanee, ma tra coloro che nel biennio 1976-77 seppero meglio ricomporne i cocci e rimodellarli consapevolmente in forma cantautorale vi fu sicuramente Ricky Gianco, che già un paio di anni prima aveva fondato con Nanni Ricordi l’etichetta Ultima Spiaggia e che si era già distinto in lavori Prog quali il Disco dell’Angoscia del 1975.
Tra l’altro, nell’anno 1976, nessuno meglio di lui avrebbe potuto assimilare meglio il lascito del Progressivo italiano, avendone praticamente introitato non solo tutto il decorso, ma anche i prodromi, essendo stato egli stesso protagonista del Rock’n’Roll e del Beat italiano.
E’ vero che rimase silente lungo tutta la prima metà degli anni ’70 sospeso tra il declino del Beat e qualche produzione per l’infanzia, ma è evidente che la sua coscienza politica stava rafforzandosi esponenzialmente sia grazie a un certo tipo di frequentazioni, sia grazie a un'innata capacità d'osservazione degli eventi in corso.
Prova ne è che quando nel 1976 uscì il suo primo 33 giri del “nuovo corso”, Ricky si era completamente trasformato: non più il ragazzo ye ye che scriveva Pugni Chiusi per i Ribelli, ma un trentetreenne baffuto e sornione che nell’album “Alla mia mam...” faceva lucidamente il punto sulla situazione del Movimento. In più, con un’invidiabile consapevolezza musicale che, se proprio non possiamo chiamare Prog, ne aveva sicuramente assimilato la lezione.
I nove brani che compongono il disco tracciano di fatto quella linea di demarcazione che allontanerà irreversibilmente la musica autorale, progressiva o politica, da quella nuova concezione provocatoria e dadaista che sarebbe stata poi propria del movimento del 77. Il tutto però, senza rinunciare a momenti poetici di alta classe, partoriti soprattutto dalla penna di uno straordinario Gianfranco Manfredi.
Tra sferzate ritmiche, momenti folk, rincorse vocali, citazioni etniche e arrangiamenti tipici della label Ultima spiaggia, si parte così già con la classica “Mangia insieme a noi” che, pur omaggiando Pete Seeger, ha in se una forza analitica che la incolla spietatamente al proprio tempo storico: “E’ chiaro che l’emotività nell’istituzione, dinamica non ne ha. Dialettica dell’autonomia, ottica e... insomma... ognuno a casa sua”.
Ritmiche Progressive promanano dalla dissacrante “Ospedale militare” alla quale segue, bilanciandola perfettamente, la struggente “Nel mio giardino”: asciutto ritratto degli immensi quartieri dormitorio milanesi da cui era appena partito il movimento dei Circoli del Proletariato e da cui di lì a poco sarebbero nate le prime soggettività Punk.
Tra le isteriche “Davanti al nastro che corre” e “Un pipistrello...” si insinuano poi le ballate “Fango”, dal chiaro sapore militante, e la dolcissima “Un amore”, per poi chiudere il tutto con “RepubblicA”, cantata in sei dialetti diversi e il cui concetto è chiaro:
“Tutti dicono che si può avere tutto. Io non voglio niente.
Basta solo che mi lascino in pace”.
Un disco sostanzialmente aggressivo quindi, i cui eccessi verrano poi limati nel 78 col più calibrato “Arcimboldo”: uno dei momenti più alti della carriera di Gianco.
Ma tra il 76 e il 78 erano passate due ere geologiche e nell’anno del Lambro, occorreva ancora fare i conti con un passato chiuso e un futuro non ancora definito e “Alla mia mam...”, possiamo dire, fu una tra le migliori sintesi di qualla situazione: sia musicalmente che poeticamente.
2 commenti :
Disco bellissimo di un grande Artista
Saluti
Michele D'Alvano
Un amore, Mangia insieme a noi e Nel mio giardino sono i miei brani preferiti di questo gran disco !
Michele D'Alvano
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