SUPERONDA di Valerio Mattioli (Baldini & Castoldi, 2016)

Superonda. Storia segreta della musica italiana

"Avrei voluto scriverlo io” è di solito il miglior giudizio che uno scrittore da ad un libro altrui. E non solo perché ne ha apprezzato i contenuti, la scorrevolezza, e la proprietà di linguaggio, ma perché i suoi valori sono diventati per lui un nuovo modello a cui riferirsi. “Conflittualità” la chiamiamo noi analisti: ossia quando il valore di un’opera (di un'idea, di una pratica ecc.) supera i limiti di compatibilità di un sistema, e riesce a trasformarlo.


E in questo senso, tra i tanti saggi sulla storia del rock che ho avuto il piacere di leggere, Superonda. Storia segreta della musica italiana di Valerio Mattioli, merita una menzione particolare perché, a parte la solidità narrativa, ne ho invidiato la precisione storica, la competenza analitica ed anche il coraggio.

Perché, prendendo a prestito le parole di Federico Sardo su vice.com, fatta eccezione per "Ribelli con Stile" di Matteo Guarnaccia (350 pagine in corpo 10) neppure io ricordo "negli ultimi decenni, libri di questa portata critica, riassuntiva ed enciclopedica a 360 gradi, in grado di mettere un punto e di storicizzare anche per i posteri un periodo così importante".

.E infatti il libro è tutt'altro che breve. "Sembra un mammut", ha detto qualcuno, conta la bellezza di 660 pagine, è costato all'autore cinque anni di lavoro, e stando alla quarta di copertina, ci parla di 

quelle musiche che tra 1964 e 1976 riuscirono a sviluppare linguaggi originali, in grado per una volta di proiettare la musica italiana all'estero, esercitando una sotterranea influenza sul mondo dell'elettronica, del rock alternativo, e delle musiche sperimentali”. 

Una storia che comincia quindi col rock’n’roll di Celentano, si conclude con il “tranquillo festival pop di paura” del Parco Lambro 1976, e naturalmente ingloba tutta la miglior musica italiana dal Banco a Battisti, dagli Area a Morricone, ma senza mai dimenticare quelle relazioni causa-effetto che hanno avvalorato o meno gli uni o gli altri.Ovvero, la capacità di un artista di relazionarsi alla società in cui vive, di comprenderla e di narrarla, e se parliamo di geni, di mutare il presente e modulare il futuro in base alle proprie idee.

Valerio Mattioli - Superonda
VALERIO MATTIOLI - Foto zero.eu

Ed è così che entrando e uscendo dalla storia, tra aneddoti, rimandi, interviste e citazioni, prende vita appunto quella “superonda” che non è non è semplicemente la storia della musica pop ma della nostra cultura contemporanea

Perché “è impossibile parlare di musica senza relazionarsi alla società che l’ha prodotta”. Questo è un assunto che sia io che Valerio difendiamo a spada tratta e il suo libro non è che una gradevolissima conferma.

Leggendolo partirete con la procace Anita Ekberg che soccorre un giovane Celentano rovinosamente caduto cantando Ready Teddy nella Dolce Vita di Fellini

Poi arriveranno Berio, Morricone, Rota e Schifano che ci introdurranno alla musica per gli occhi parlandoci di cinema, psichedelia e pubblicità, mentre la terza parte, quella più lunga, entrerà finalmente nel vivo della situazione. Da quando cioè i primi Teddy Boys italiani (anno 1959 quindi) dimostrarono incontrovertibilmente che anche i ragazzi italiani avevano un'anima complessa, selvaggia e antiautoritaria, e quando iniziarono i primi grandi conflitti sociali, risposero non solo a suon di rivendicazioni, ma anche di musica. Un dualismo che Valerio racconta con una dinamica colloquiale ma avvincente, mai noiosa, e riuscendo perfettamente nell'impresa di solcare indenne le varie fasi di questo lungo e complesso percorso socio-musicale: i beat, il femminismo, le lotte operaie, la strage di Stato, l’Underground, la lotta armata e la Controcultura.

Perché, dice sempre Valerio a vice.com "sarebbe stato assurdo [parlare di musica] senza tenere conto di quello che fu l'Italia del periodo, no?".

Naturalmente non è un tascabile né un’opera da leggere tutta d’un fiato, ma neppure con l’ansia di prestazione di fronte a mezzo chilo di libro. Anzi, fatevi trasportare dall’onda della storia... no, che dico: dalla superonda della storia e della musica, e lasciatevi intrigare da quel suo tessuto connettivo che è vero, è molto complesso, ma è anche parte integrante del nostro DNA.

Vi lascio con due link dove l'autore parla a ruota libera della sua opera: il primo è un'intervista di Stefano Pifferi su Sentireascoltare, e una sua biografia per dudemag.it.

A tutti, 
Buona Lettura.  

Superonda (Storia segreta della musica italiana) di Valerio Mattioli
2016, Baldini & Castoldi, Milano
Formato 14x19, 660 pagine
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7 commenti :

Anonimo ha detto...

Anch'io lo leggerò volentieri
Lino il pugliese

Anonimo ha detto...

Scusatemi.Uso questa scheda per andare "off topic". Riflettevo sul fatto che ho scoperto da poco che nessun album di Peter Hammill è riuscito ad entrare nelle classifiche di vendita inglesi. Io trovo incredibile che un artista immenso come Hammill non abbia mai suscitato interesse presso il pubblico del suo paese.Tra l'altro la sua é una discografia sterminata. Si parla di circa 50 album.Mi chiedo come ha potuto Peter vivere di musica per tutti questi anni. Grazie. (Luca)

JJ John ha detto...

A dire il vero - e questo me l'hanno fatto notare anche molti connazionali più adulti di me che allora avevo 12 anni - non è che il prog andasse tantissimo in Inghilterra. Era certamente un vanto quello di avere nelle proprie fila geni assoluti come Yes, Genesis, ELP e Crimson - e infatti giornali come il Record mirror e il NME non mancavano di sottolinearlo - ma era un'affezione indipendente dalle vendite.
Salvo qualche grande evento ogni tanto dei nomi maggiori, che so, Wakeman da solo o gli Yes, il prog gravitava e guadagnava perlopiù da circuiti di nicchia. Non così redditizi ma solidi e duraturi. Ecco perché il prog è diventato un mito.
Ma se proprio vogliamo andare a vedere... nel 1972 una copertina su tre era dei T.Rex.

Anonimo ha detto...

Scusate l'off topic, avete notato la partecipazione di cristina d'avena alla festa di FDI?

Simone

JJ ha detto...

Beh, è pur sempre una ragazza cresciuta in casa Fininvest e alimentata dai suoi due principali valori: populismo e "cerchiobottismo" (come dicono gli amici di "Wired"). Sempre e rigorosamente al servizio del proprio fatturato.

Una geisha del pentagramma insomma, che riesce ad intortare indistintamente gay, lesbo, piddini, celesti e fascisti, e se ne vanta pure. Come se Pollon, Memole e Lady Oscar potessero governare una nazione, fermare le guerre, sconfiggere le pandemie o riportare le bollette a costi sostenibili.

Ma Cristina si confonde perché non è così. Lei è solo una pur bravissima interprete fantasy, mentre la realtà avrebbe bisogno esattamente l'opposto di ciò che lei rivendica. Cioè : empatia, alternativa, consapevolezza, "sbattimento" (come diceva il buon Gomma), coesione, disobbedienza, e se vogliamo, anche un pizzico di sana ideologia che non guasta mai.
Ma non troppa. Altrimenti si diventa leghisti e non va bene perché il Po è inquinato.

Anonimo ha detto...

E si, purtroppo è così, con una rivendicazione mendace di disimpegno, solo apparentemente qualunquista, perchè disimpegnarsi su certi valori equivale in pratica, surrettiziamente, ad avallare valori opposti. Maledetti tutti comunque:)

Simone

Anonimo ha detto...

Proposta davvero interessante !

Michele D'Alvano