Maurizio Fabrizio: Movimenti nel cielo (1978)

Maurizio Fabrizio, Movimenti nel Cielo, 1978
Siamo nel 1978, e ci sono due o tre caratteristiche peculiari che distinguono questo secondo Lp del polistrumentista milanese Maurizio Fabrizio (all'epoca arrangiatore di Angelo Branduardi), da tutta la vecchia scuola rock, fusion e progressive italiana. 

Innanzitutto, l'impressionante levigatezza dell'esecuzione. Sound e struttura perfetti, non una nota fuori posto, abbellimenti e contrappunti che surgelano il pentagramma con precisione chirurgica, e una resa acustica pari una demo della Deutsche Grammophon. 

In più, un'ortodossia tecnica e produttiva talmente calcolati, da escludere non solo qualunque immaginazione, ma da renderla persino superflua.

L'esatto opposto insomma, di ciò che accadeva nel rock progressivo italiano e nelle sue digressioni jazz (Baricentro, Arti e mestieri, Living Life, Bella Band ecc.), là dove la musica evocava sensazioni e panorami arcani e cangianti, ed anche le imperfezioni avevano un loro senso. Quello di ricordarci che siamo pur sempre esseri umani, e la comunicazione passa anche attraverso gli sbagli, gli imprevisti e l'improvvisazione. 

Un po' come quelle geniali trovate in fase di registrazione che nel biennio Sessanta/Settanta venivano considerate, se non proprio irrinunciabili, perlomeno "caratteristiche": i nastri al contrario, gli altoparlanti tagliati, i chiodi sul rullante, le voci impreviste come la risata di Syd Barrett, e via dicendo. 

Maurizio Fabrizio
In "Movimenti nel Cielo" invece, è tutto perfettamente dosato, cesellato e servito. Come la title track che avrebbe potuto essere stata composta indifferentemente da Vangelis, da Barry Gray o da John Williams. Oppure quella "Sputnik Suite" che, infarcita di tecnicismi sino al midollo, sembra volersi dare un'importanza che in realtà non ha, né rivestirebbe altrove.

 Sopravvive si, qualche sapore antico, come in quella Movenze degli Anelli di Saturno che a tratti ricorda lo storico assolo di Keith Emerson in Stones of Years, ma più si procede nell'ascolto (Episodio Lunare), e più si ha l'impressione di trovarsi nell'aula di un conservatorio. Sensazione piacevole per uno studente, ma non per chi, dopo anni di beat, mod e rock, confidava ancora nel punk per resistere a una società sempre più divisiva. 

Così, una volta concluso l'ascolto, "Movimenti nel Cielo" appare un'opera inesorabilmente divisiva: troppo classica per essere pop, e troppo pop per essere classica. Per nulla convincente quando cerca di enfatizzare le parti più ritmate, facendole assomigliare a dei brani da discoteca (del resto, siamo o non siamo in piena era disco?), e persino verbosa là dove certe sovraincisioni la fanno sembrare un outtake di Mike Oldfield

Ma non vorrei sembrarvi troppo severo. 

Siamo pur sempre al cospetto di un arrangiatore eccezionale (e si sente!), dell'Orchestra della Scala di Milano, e di musicisti venuti dal prog come Franco Di Sabatino che militò nel Rovescio Della medaglia a partire dal 1973, e il bassista Gigi Cappellotto che suonò invece nel primo album di Fossati e nel Disco Dell'Angoscia per l'Ultima SpiaggiaMusicisti che non solo fanno ciò che vogliono coi loro strumenti, ma che, se ispirati, trasformano certe partiture in capolavori. 

Come la prima parte de Il Sole, che senza mezzi temini impreziosisce tutto l'album, e ne dimostra il reale valore malgrado le osservazioni di chi ha sempre preferito una musica più libera e spontanea.

1 commento :

Adele ha detto...

Sembra musica classica... bellissimo ma non ha l'anima del prog