Ping Pong: About time (1971)

ping pong about time 1971Su questo quintetto emiliano che ha inciso due album tra il 1971 e il 1973 e che si riciclò nel 1975 col nome di Bulldog (nove singoli in quattro anni) si sa ben poco eccetto che nelle loro fila militò un ventunenne Celso Valli, futuro arrangiatore di "Self Control" di Raf, "Nell'aria" di Marcella, "Ti sento" dei Matia Bazar e fidato collaboratore di Mina, Renato Zero, Celentano, Pausini, Baglioni, Ramazzotti, Boccelli, Jovanotti e Vasco Rossi.
Tanto basta per prendere in considerazione almeno il loro primo album del 1971 che, al di là della sua minima visibilità, contenne delle intuizioni davvero interessanti.

Formatisi nei primi anni '70 tra Modena e Bologna, i Ping Pong annoveravano all'epoca Mauro Falzoni (chitarra, voce), Paride Sforza (sax, clarino), Vittorio Volpe (batteria), Alan Taylor (basso, voce - proveniente dal gruppo inglese dei Casuals) e lo stesso Valli (tastiere).
La loro prima esperienza discografica a 33 giri "About Time", ebbe luogo nel 1971 grazie all'interessamento dell'oscura discografica "ER - Emiliana Records", da qualche anno specializzata in liscio, melodico, blues jazz e canti partigiani.
Pur non avendo alcuna informazione a riguardo, si può intuire che ciò che portò il quintetto dall'anonimato alla sala d'incisione fu quasi sicuramente una serie di relazioni amicali radicate nella vita di provincia.

Ping Pong Celso ValliTuttavia, occorre anche sottolineare che, alla prova dei fatti, il gruppo si dimostrò più che apprezzabile sia da un punto di vista tecnico che compositivo, anche considerando l'anno di uscita del disco.

Nella pratica, "About Time" è una raccolta di 10 canzoni molto variegate per stile e per intenti. Sorprendentemente l'incisione è ottima e le esecuzioni dei vari brani palesano una solida omogeneità degli stumentisti che, in qualche episodio ("About Time", "Funny Wife"), dimostrarono anche di saper andare molto oltre gli stilemi dell'epoca.
Ben inteso, non c'è nulla di manifestamente trasgressivo che accomuni i Ping Pong ai veri pionieri del Prog italiano (Formula Tre, New Trolls, Nuova Idea, Rocchi o i Trip), ma certe soluzioni armoniche lasciano davvero sorpresi, anche considerata la minima conflittualità del gruppo e la sua ristretta distribuzione geografica.
Nel brano di apertura "About Time" per esempio, sembra quasi che i Beatles vengano stravolti da una Pfm che non è ancora nata.

ping pong emiliana records 1971Le influenze straniere sono più che evidenti, ma è veramente encomiabile, specie nel finale del brano, la disinvoltura con la quale vengono rimescolate in chiave mediterranea.

Inoltre, se buona parte del disco richiama atmosfere da tardi anni '60 (CSN&Y), l'esposizione resta sempre su un livello piacevolmente personale e nondimeno, straordinariamente limpida.
Quasi avveniristico suona il pianismo introduttivo di "Dark morning skies" che richiama non poco i futuri Steely Dan, sobrio e asciuttissimo il Rock di "Daft", ai limiti del jazz-prog "Confusion", eleganti e precise "Someway" e "Diamond Seller".

In sostanza, si capisce che "About time" sia un disco senza grandi pretese commerciali, ma non per questo disattento alla qualità: fluido e sobrio nella sua realizzazione non ridonda mai in effettisctica, non eccede in tecnicismi e infine risulta piacevolmente sanguigno nella sua esecuzione, solo così come la scuola emiliana sa veramente fare.
L'album ebbe poca diffusione e men che meno impatto commerciale, ma chi lo apprezzò all'epoca, sapeva già che qualcuno di "quei cinque" avrebbe fatto strada.
La storia ci confermerà che non aveva torto.

Chi ha rotto il salvadanaio?

fine del progressive italianoSERIE: STORIA DEL PROGRESSIVO ITALIANO

Se c'è una domanda che spesso si pongono
i cultori del Prog, è questa:
"quando e perché è finito il Pop Italiano"?

In molti attribuiscono il suo tramonto all'avvento del Punk, al cantautorato, all'esplosione della disco-music, o ancora, al naturale disinteresse per un genere musicale che ormai aveva alle sue spalle oltre un lustro di visibilità. Non poco per un movimento artistico moderno.


Ora: non voglio remare contro chi sostiene teorie del genere perché in fondo sono in parte vere.
In questo caso però, quelle che vengono ritenute "cause", in realtà furono solo gli "effetti ultimi" di una serie di eventi ben più influenti e radicati nella politica e nella società di fine anni '70.

Andiamo con ordine stabilendo una data: il Prog Italiano cessa di esistere martedì 29 giugno 1976, ultimo giorno della sesta festa del Proletariato Giovanile al Parco Lambro di Milano.
Il movimento della Controcultura è finito: smembrato dalle troppe contraddizioni intestine e vinto dall'incapacità di comporsi organicamente in un programma comune a tutte le sue varie soggettività.
Verranno di colpo meno "l'ideologia della festa", i grandi raduni collettivi a base di musica e dibattiti, e soprattutto, l'enorme appoggio che sino ad allora il "Movimento" aveva dato a tutta la musica più conflittuale: Progressive in particolare.
I giovani nati nei ghetti urbani costruiti negli anni '50, hanno ora vent'anni e non si accontentano più dei "pow-wow" collettivi o di "sognare il futuro". Lo vogliono subito!
parco lambro milanoIl linguaggio "della festa e del Prog" non sono più adatti alle loro esigenze e la soluzione sta nella militanza e nell'azione. Al limite, nella negazione di ogni ideale o nel ricorso all'utopia regressiva e all'autogestione
La territorialità e l'immediatezza prendono insomma il posto della progettualità e della coscienza collettiva.
Che questo non piaccia alle leve del potere è ben chiaro: difatti, in capo a pochi anni le città verranno invase da "quintali di eroina per minare una generazione" (cfr: Finardi) e le nuove rivendicazioni surclasseranno di gran lunga le ingenue celebrazioni della "Dolcissima maria".

Su un secondo fronte, è invece già aperta da qualche anno la lotta per l'accaparramento degli spazi in cui fare musica, nel momento in cui le leve del capitale si conquisteranno a suon di milioni i "palazzetti", le "feste partitiche", gli stadi e qualunque metro quadro in cui smerciare decibel.

La selettività del commercio che prevede sempre meno "cultura" e sempre più "danaro", da un lato addomesticherà qualunque realtà locale alle regole del mainstream e dall'altro, condannerà i gruppi meno allineati ad ambiti di nicchia.
In altre parole, non furono il Punk o la Disco ad affossare il Progressive (nel senso che non vi fu realmente una diretta concorrenza tra questi tre generi), ma semmai un cambiamento epocale nella politica, nella società e nel modo di comunicare le sensazioni attraverso la musica.
Al limite, ciò che "ruppe davvero il salvadanaio" fu il consolidarsi del linguaggio cantautorale.
edoardo bennatoSi perché, oltre che musicale, sappiamo tutti che la potenza del Prog fu sostanzialmente semantica ed evocativa, ma in un contesto di crisi ideologica come quello iniziato nel 1974, era naturale che i termini "fiaba", "evocazione" e "narrazione" dovessero gradualmente essere sostituiti da concetti quali "interazione", "indicazione", "sovversione", "partecipazione diretta".
Bennato, Finardi e Manfredi furono solo tra i più noti cantautori di un rinnovato stile musicale che, pur se debitore al Prog, ne aveva limato ogni orpello a vantaggio di una comunicatività più propositiva e a tratti, quasi unidirezionale.
Il "racconto socio-metropolitano" di Finardi, la "cronaca poetica" di Manfredi, la "fiaba allegorica" di Camerini, l'inspessimento sociale della poetica di Guccini, si sostituivano piano piano a una generazione sospesa tra sogno ed azione, provocandone le istintualità più concrete.

Si aggiunga anche la rabbia per il dissolversi di un sogno politico (il PCI non riuscì a scavalcare la Democrazia Cristiana che, travolta dagli scandali avrebbe lasciato di lì a poco lo scettro ai socialisti di Craxi. Di male in peggio quindi.) ed è presto detta la ragione per cui terminò l'iperuranica stagione del Prog nazionale.
In ogni caso, il fatto che oggi il Progressive sia tornato, è segno che esso rappresenta realmente una "zona artistica temporanea" (rif: Hakim Bey) che avrà ancora molti corsi e ricorsi.
Personalmente mi auguro che tutta la partecipazione che oggi gli ruota intorno, rappresenti concretamente un nuovo stimolo al cambiamento e, perché no, alla rivoluzione.
In musica, ma soprattutto in politica.

Murple: Io sono Murple (1974)

Il gruppo nasce a Roma nel 1971 da un nucleo di due amici fraterni, il bassista Mario Garbarino e il batterista Duilio Sorrenti, a cui si aggiungono successivamente il tastierista Pier Carlo Zanco e il chitarrista-vocalist Pino Santamaria.
Ispirandosi allo psicodramma di un comune amico americano che si immaginava di parlare con un pinguino invisibile di nome Murple, il quartetto decide non solo di adottarne il nome, ma di fare dell'animale una vera e propria mascotte del gruppo.
Di fatto, tutti i concerti che la band terrà dal '71 al '73, saranno sempre caratterizzati dalla presenza di un pinguino gonfiabile sul palco e dalla sua figura stilizzata riprodotta un po' ovunque.

Dopo due anni di attività, il quartetto viene finalmente messo sotto contratto discografico dopo l'esibizione al "Be In" di Napoli, grazie al manager della Fare Records Roberto Marsala.
Nasce così "Io sono Murple", album d'esordio della band prodotto nel 1974 tra Roma e Milano e distribuito dalla discografica tedesca Basf di cui la Fare è una sottoetichetta.

Sulla serietà della produzione non ci sono dubbi: la copertina laminata apribile ci offre una delle più belle grafiche del Pop Italiano e il ricco inserto di sei pagine in sottile carta marroncina, chiarifica esaustivamente tutti gli aspetti tecnici e artistici del disco.
Nondimeno, è da ricordare che la band si presenterà in studio con un'artiglieria di tutto rispetto: Hammond , Arp Odissey, chitarra Gibson, Fender jazz bass e batteria a doppia cassa Ludwig.

"Io sono Murple" è un concept-album imperniato su due lunghe suites divise in 6 movimenti ciascuna che narrano la triste storia del pinguino Murple che, per sottrarsi alla immutabile quotidianità della sua vita, decide spontaneamente di allontanarsi dal branco e dal suo habitat naturale.
Purtroppo, non farà in tempo a godersi le meraviglie del mondo che verrà catturato dall'uomo ("Nessuna scelta") e costretto ad esibirsi dapprima in un circo ("Tra i fili") e infine nello zoo "Antarplastic" dove finirà i suoi giorni abbracciato a un piccolo iceberg di plastica.

Malgrado il buon canovaccio e una potente resa acustica però, diverse incoerenze stilistiche minarono alla base la conflittualità dell'opera.
Primo esempio: da un lato il racconto esclude sin dal principio l'esistenza di una "morale univoca" rimettendo all'ascoltatore ogni possibile interpretazione; dall'altro però, si conclude nel più dogmatico dei modi:

"Questa è una favola antiecologica ed anche colonialista. Però Murple è felice e voi no. […] E' vero che vive abbarbicato a un piccolo iceberg di plastica […], ma quanti hanno almeno la finzione di ciò che desiderano?".

Un linguaggio davvero disarmante per quel pubblico giovanile che nel 1974 cercava costantemente nuovi territori liberati e collettivamente praticabili.

Inoltre, il personaggio di Murple non solo viene forzosamente assimilato all'uomo perché ritenuto "l'animale più simile alla nostra specie" (perché non una scimmia allora?), ma impersona una figura ingenuamente qualunquista e addirittura orgoglioso del proprio servilismo: è stato fatto prigioniero, costretto a ballare e inchinarsi, vive in condizioni disumane, ma è felice di farlo.
Una metafora sicuramente attuale, ma che all'epoca suonava decisamente fuori luogo, anche perché nessuno degli autori previde una benché minima forma di dubbio o di ribellione che sarebbe stata sicuramente più verosimile per i tempi.

Non sappiamo se l'album passò inosservato per via di queste amenità dialettiche, per un sound non certamente originale (un buon Prog-rock ma molto ribollito) o per l'indubbia latenza della distribuzione. Certo è che i componenti della band romana ebbero molto più riconoscimento come turnisti che come gruppo.
Tempo ancora di partecipare al Festival di Villa Pamphili nel 1974, e almeno tre dei componenti originali furono reclutati come backing band per l'album "Donna circo" di Gianfranca Montedoro (ex Living Music) e per ben sette anni da Mal dei Primitives.
Poi, dopo vent'anni di prestigiose collaborazioni (Branduardi, Venditti, Gazzè, Davide Spitaleri), Sorrenti, Garbarino e Zanco riformeranno la band nel 2008.
Il pinguino Murple tornerà a rivivere per la gioia di tutti noi e... speriamo che oggi sia un po' più politicamente cosciente di allora.

FOTO DEL GRUPPO TRATTA DA WWW.MURPLE.IT

Opus Avantra: Donella Del Monaco (1974)

opus avantra introspezione 1974"Il nostro insieme musicale nasce da un'esigenza di superamento dello stato di impasse in cui si trova la musica oggi. Possiamo infatti constatare che il mondo musicale, oggi è suddiviso in vari settori tra loro incomunicabili , strettamente legati alle stratificazioni socio-culturali.

Tale pluralismo tende a riprodursi provocando situazioni sempre più mistificanti in quanto evitano di risolvere la frustrante condizione attuale di atomizzazione dell'individuo. […]

La nostra intenzione si rivolge essenzialmente al recupero di quel rapporto fondamentale tra arte e popolo."

Con queste righe introduttive che trasudano di non poco snobbismo, il collettivo degli Opus Avantra (letteralmente= "opera tra avanguardia e tradizione") presentava il proprio programma artistico nelle note di copertina del loro primo album e già da lì, si capiva che dovevano essere un gruppo fuori dal comune.

Nati in veneto nel 1973 da un kernel formato dal compositore Alfredo Tisocco, dalla cantante Donella Del Monaco (nipote del celebre tenore Mario del Monaco), dal filosofo Giorgio Bisotto e dal produttore Renato Marengo, si narra che avessero concepito il loro manifesto intellettuale durante un difficile viaggio in macchina tra Monaco e Dortmund in cui la Del Monaco, Bisocco e Marengo si confrontarono sullo stato della musica di allora.
Da quel dibattito, i quattro artisti concretarono l'esigenza di "scendere in campo" per superare quelli che, secondo loro, erano i due principali schematismi che irrigidivano il panorama musicale italiano:
- da una parte il "rock pop" e la "pseudo-avanguardia" ritenuti deteriori e poco interessanti
- dall'altra, la diffusione di una "musica per adepti" troppo sbilanciata tra un maniacale attaccamento al passato e un "atteggiamento sperimentale ad oltranza" che spesso equivaleva a mero espedientismo.
Soluzione: rivisitare in chiave contemporanea gli elementi della tradizione classica, ispirandosi a stilemi sinfonici, jazz, elettronici, melodrammatici ed elettronici.

opus avantra donella del monaco introspezione 1974Ottenuto un contratto con la Trident Records, che nel frattempo stava producendo i Dedalus e il Biglietto per l'Inferno, nasce così il primo lavoro della band, "Opus Avantra - Donella Del Monaco" (noto anche come "Introspezione"), con dieci brani in scaletta e presentato graficamente da una seducente copertina di Umberto Telesco.
Per l'occasione, i quattro fondatori del gruppo chiamarono accanto a se anche una nutrita squadra di musicisti (classici e non) che conferiranno al disco un sound assolutamente unico per l'epoca: Luciano Tavella (flauto), Enrico Professione e Pieregidio Spiller (Violino), Riccardo Perraro (Violoncello), Pierdino Tisato (batteria) e il ventiquattrenne percussionista Tony Esposito.

In fase di auditing l'album si presenta tecnicamente encomiabile con una dinamica acustica molto limpida e i suoni ben distinti e livellati, segno che ormai la Trident aveva raggiunto il suo plafond tecnico definitivo.
La stessa omogeneità si riscontra anche dal punto di vista musicale laddove, malgrado le numerose fonti di ispirazione, il leit-motif della voce della Del Monaco e gli arrangiamenti del Tisocco, riescono magistralmente a fluidificare tutti i vari brani del disco.
In sostanza, l'album degli Opus Avantra è una sorta di "collage sonoro" in cui in ogni brano, si apprezza una diversa contaminazione stilistica a partire da una dominante classica.
Ci sono la musica concreta nell'Intoduzione del disco, la "forma canzone" in "Il Pavone" (poi pubblicata anche su singolo), il rock in "Ah Douleur", il melodramma in "Oro", l'avanguardia in "Rituale" e qualche accenno sparso di Jazz .

opus avantra donella del monacoInsomma, un'alchimia musicale che non aveva alcun riferimento tra i contemporanei e la cui magia persisterà nel tempo, tanto che il disco viene apprezzato molto più oggi che allora.

"Introspezione" però, lasciò indifferenti le masse giovanili anche malgrado i numerosi concerti promozionali e ciò, in quanto le soluzioni artistiche proposte dalla band non risolsero affatto le critiche sollevate nel loro programma.
A
nzi, il risultato fu semmai quello di far apparire il gruppo altezzoso e supponente ed effettivamente, un po' più di modestia intellettuale non sarebbe guastata.
Il tanto paventato "disincagliamento" dello stile ebbe infatti come risultato quello di crearne uno nuovo ancora più elitario e sempre meno coerente alle esigenze giovanili.
Comunque, l'indubbia professionalità degli Opus Avantra permetterà loro di esprimersi in un secondo lavoro, orientato questa volta alla sperimentazione strumentale.
In ogni caso una cosa è certa: in ciascuno dei due casi, il tanto agognato "connubio tra arte e popolo" non si realizzò mai.

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Pubblichiamo di seguito un' intervista inedita gentilmente concessaci dal nostro blogger Marco (che saluto e ringrazio infinitamente) a Donella del Monaco

Un paio d'anni fa contattai tramite mail la Del Monaco per una breve intervista da poterla poi riportare su un nostro forum di musica alternativa
Ve la posto sebbene possa sembrare molto riduttiva...m'aveva riferito che era incasinata tra 1000 impegni)...però meglio che niente eheheh

1) Le motivazioni per cui lei lasciò il gruppo subito dopo l'uscita
del disco

R: ero occupata con la Biennale musica per alcune opere di musica contemporanea, tra cui vari lavori di S.Sciarrino, compositore ormai considerato importantissimo anche all'estero.

2) Che riscontro commerciale ebbe l'album?

R. Abbastanza buono: comunque se ne parlava molto sia nella stampa specializzata (Ciao 2001 e Super Sound e altre riviste musicali sia negli ambienti musicali)

3) Che considerazioni avevate dalla stampa e dal pubblico?

R. Le critiche erano molto buone sulla stampa specializzata, sulla stampa "normale" invece, faceva scalpore che un Del Monaco cantasse il rock o l'avanguardia, tenendo presente che la mia era una famiglia legata alla lirica.

4) Gli Opus Avantra si ritenevano un gruppo progressivo a tutti gli effetti come le Orme, Banco, Osanna, Balletto di Bronzo e tanti altri oppure ne prendevano volutamente le distanze tentando nuove vie pur sapendo che un certo genere avrebbero interessato solo persone "colte"?

R. Domanda interessante: noi ci sentivamo una collocazione di confine. Noi non volevamo essere definiti solo rock-pop (come allora si definiva il progressive - termine coniato almeno 10 anni dopo).
Avevamo aspirazioni più alte, come creare un nostro proprio indirizzo musicale fra musica classica (tradizione) e sperimentazione (avanguardia). Però molte radici erano comuni ai gruppi di allora, per esempio l'idea stessa di lavorare in gruppo, e anche di scrivere delle suite musicali e non delle singole canzoni e ancora di essere pervasi di un certo idealismo trasgressivo, come erano gli ambienti prog.

5) Che ricordi ha di quel periodo di pieno fervore musicale... se
prova nostalgia oppure se furono anni inutili, incentrati nel tentativo di emulare i gruppi britannici quali Gentle Giant, Emerson Lake & Palmer, King Crimson, Genesis etc

R. Guardi che non ci passava nemmeno per la testa di emulare i gruppi inglesi, anche se ci piacevano, avevamo ben altre idee per la testa! E le abbiamo ancora oggi: personalmente non mi sento una nostalgica sopravvissuta di un'epoca lontana e irripetibile. Se lei guarda il mio sito donelladelmonaco.com potrà rendersi conto che ho continuato a lavorare, a cantare e a comporre, ho rimesso insieme anche il gruppo Opus con nuovi musicisti ma con lo stesso spirito creativo, ho già prodotto col gruppo il cd "Venetia et Anima" e sto preparando il prossimo, ed inoltre ogni anno ho creato un punto d'incontro a Venezia con la Biennale musica e l'Università di Cà Foscari sez. di filosofia per discutere le nuove tendenze musicali d'avanguardia.
Quest'anno appunto vi sarà un incontro e lavoro di gruppo col compositore americano Elliot Sharp che ha studiato con Feldman e Terry Riley, sull'improvvisazione nei giorni 26_7_8_9 sett.
Ciao
Donella

Messaggio 73: Una ragione per vivere (1975)

messaggio 73 una ragione per vivere 1975Se è vero che negli anni '70 l'influenza delle messe-beat non si era mai sopita, il sestetto lecchese del "Messaggio 73" ne fu la dimostrazione più lampante.
Costituitosi nel 1973 ad opera del M° Giuseppe Mazzoleni (che, pur non avendo mai fatto parte della line-up, ne arrangiò e compose la quasi totalità dei brani) il gruppo assurse rapidamente a una certa notorietà rappresentando
per oltre 10 anni in tutta Italia il loro primo spettacolo "E la luce fu", da cui venne tratto anche un 45 giri omonimo per la discografica "Casa Musicale Eco".

Sin dalla casta copertina del single d'esordio, si capiva in fretta che il "Messaggio 73" cavalcava l'onda lunga della musica cristiana, in buona compagnia con le varie colorazioni dei "Gen", "Quel giorno di uve rosse" (al secolo: il duo Cappelletti e Dell'Orso), "La Sorgente", tutte le varie opere del Giombini e un altra pletora di gruppi minori operanti nei loro rispettivi oratori.
Il loro unico e rarissimo album
(valutazione ad oggi: tra i 300 e i 400 euro - per chi vuole sborsarli) verrà pubblicato per la "Rusty Records" nel 1975 quando, sull'onda dei consensi della pièce teatrale, Mazzoleni stimolò il gruppo ad immortalare su vinile le proprie capacità espressive.

musica cristiana messaggio 73Ne venne fuori una raccolta di otto brani in cui si alternavano alcuni tentativi di rock sinfonico ("Concerto pop", "Adagio", "La scelta") a quella tipica e sconcertante pochezza musicale che di solito pervade lavori di questo genere.
Di fatto, se c'è una cosa di cui proprio non riesco a capacitarmi, è come mai la stragrande maggioranza del pop cattolico debba necessariamente appoggiarsi su armonie banali, arrangiamenti men che minimi e testi al limite dell'elementare che di norma citano l'Onnipotente in maniera strumentale e persino fastidiosa (es: "Messa Beat" dei Barritas o la stessa "Uomo libero" del Messaggio 73).

Fatta salva una necessaria semplificazione che renda i brani più accessibili possibile ad una gran massa di fedeli, non dovrebbe essere scontato che una spiritualità così nobile e diffusa evochi l'Eterno attraverso poetiche così flebili, specie considerando l'immenso bagaglio letterario della nostra nazione.
Spiritualità a parte, viene davvero da supporre che il diretto controllo della chiesa abbia da sempre provocato grosse limitazioni alla modernità.

musica cristiana 1973Comunque, anche i più malevoli detrattori della musica cristiana, tengano presente che "Una ragione per vivere" è tecnicamente uno dei migliori prodotti che si potessero ascoltare su vinile negli anni '70.

Musicalmente l'abum sembrerebbe promettere bene con la piacevole galoppata classica che apre "Concerto Pop" ma più si procede nell'ascolto, e più ci si rende conto che gli inciampi sono davvero troppi: giri armonici scontati, citazioni evidenti (Orme: "Collage") e un retrogusto nazional-popolare condito all'occorrenza da improbabili barocchismi.

La title-track ad esempio, propone tra liriche davvero faziose le prime tra le numerose amenità musicali che accompagneranno tutto il resto del disco. Tra queste, "Uomo libero" presenta una delle melodie più disarmanti mai pubblicate su LP.
Ancora tempo per una cover dell'"Adagio" di Albinoni e l'album si chiude nel manierismo più deteriore toccando il fondo nelle citazioni agli Iron Butterfly di "La scelta".

Concludendo potremmo dire: "lasciamo la fede a chi crede e il rock a chi suona",
mantenendo questi due ambiti sempre ben distinti.

- "Only two songs can be considered as progressive, the rest is to much beat-pop. Extremly expensive and rare, but the album is absolutely not worth the high price". (italianprogrock.com)
- "
Hopelessly dated cheerful chamber psych. It sounds more 69 than 75. Not recommended." (rateyourmusic.com)

Perigeo: Genealogia (1974)

perigeo genealogia 1974Se nel 1974 le tendenze generali del Prog Italiano erano sospese tra estremismo e ricerca di nuovi moduli comunicativi, il nuovo album del Perigeo si orientò sicuramente nella seconda direzione, anticipando così quella diaspora stilistica che avrebbe connotato il Pop Italiano a partire dal 1975.

Pubblicato intorno alla fine del 1974, "Genealogia" si distinse infatti non solo per il riemergere di quella sostanziale rilassatezza timbrica che aveva già contraddistinto il primo lavoro della band, ma soprattutto per la sua forte capacità comunicativa che testimoniò quanto il gruppo fosse cresciuto dai tempi di Azimut.

Gli stridori di "Abbiamo tutti un blues da piangere" (es: in "Deja vu") vengono accantonati per far posto a una dialettica musicale molto più scorrevole, senza dimenticare comunque quel rigore formale tipico della band: una mescola di ingredienti nuovi che porterà il quintetto romano a diventare il gruppo di punta del Jazz-Rock Italiano ed uno dei più amati dalla Controcultura.
Di fatto, malgrado occasionali conflitti con l'area di "Stampa Alternativa" e dei fautori della "musica gratis", i Perigeo rimarranno praticamente estranei a qualunque contestazione, conducendo un attività dal vivo serena e prolifica, pur nel momento di maggiore aggressività delle frange più radicali del movimento.

Tra i loro concerti più significativi del 1974, ricordiamo quello del 31 gennaio al Piper di Roma in sostegno dei colleghi del "Rovescio della Medaglia" che avevano appena subito il furto degli strumenti, la leggendaria esibizione di giugno al Parco Lambro di Milano davanti a oltre 50 mila spettatori e il tour come spalla ai Soft Machine.


perigeo genealogia via beato angelicoTornando al disco, già dalla copertina e dal titolo (scarni per scelta), si evince che tutto il contenuto del lavoro è imperniato esclusivamente sulla ricerca musicale.
Le sole indicazioni concettuali, emergono dai nomi dei brani, in cui vengono evocati aforismi di personaggi famosi e luoghi direttamente legati alla vita di ciascuno dei musicisti: la Vienna di D'Andrea, la Torre del Lago e la via Beato Angelico di Giovanni Tommaso e gli spazi lagunari del veneziano Franco Fasoli.

Il tutto, fa di Genealogia un album autobiografico e introspettivo in cui ciascuno dei componenti sviluppa si una sua visione personale del proprio vissuto, ma estendendola in forma collettiva e universale rendendo così il disco omogeneo e appetibile.

Non a caso, le note di copertina di Franco Fayenz recitano:
"i cinque componenti del Perigeo hanno concretato un vero gruppo stabile, ben cementato sotto il profilo ideologico e umano, che nel futuro dovrebbe dare frutti sempre migliori."

Molti critici, videro in questa maggiore comunicatività un "passo indietro" rispetto ai primi due lavori, ma il pubblico la pensò esattamente al contrario tributandogli un enorme successo commerciale che fece di "Genealogia" il loro disco più venduto e, passando all'auditing, non è difficile capire il perché.


perigeo genealogia 03Sin dalla prima traccia - che poi è anche la title track - l'ascoltatore viene immediatamente accolto da una metrica amichevole: c'è un motivo dominante in chiave Fusion che viene dilatato e ripreso per quasi 8 minuti e che infonde una sicurezza raramente percepibile in altri lavori contemporanei.
La successiva "Polaris" stabilizza il discorso alternando interventi melodici su una base metronomicamente avvolgente, assurgendo a vera perla strumentale del disco.
Meno strutturata, ma straordinariamente evocativa è "Torre del Lago" in cui il largo pianismo di d'Andrea evoca il tocco di Coltrane.


Infine, ecco che tra rafinati solismi ("In vino veritas"), leggerezze eleganti ("Grandi Spazi") e scherzi laconici ("Old Vienna") spicca anche una "hit" che, pur non essendo mai stata pubblicata su 45 giri (se non in edizione promozionale Juke Box), associerà per sempre il suo nome al prestigio dalla band Romana: "Via Beato Angelico", eseguita in collaborazione col percussionista brasiliano Ivanir do Nascimento (al secolo "Mandrake"), già collaboratore di Toni Esposito.
Album indimenticabile "Genealogia" rappresenta forse la punta di diamante del Perigeo.
E' opinione di molti che, a partire da questo lavoro, per trovare le cose migliori della band bisognerà rivolgersi al passato.

La miglior copertina del Prog Italiano anni '70
Ha vinto "Nuda"!

garybaldi nudaNon ci sono dubbi: con il 12,20 % delle preferenze, ripartite su oltre 200 voti, ha vinto "Nuda", la splendida copertina disegnata da Guido Crepax per i Garybaldi che ritrae una ragazza languidamente distesa e senza veli in un habitat surreale.

Si tratta di Bianca, il personaggio che fu il contraltare "nature" della mitica Valentina, approdata su una spiaggia dopo un naufragio e, come una Gulliver senza gonnella, prona e leggermente sdraiata su un fianco, osserva ciò che la circonda con uno sguardo attento ma dolce, quasi come se fosse perfettamente normale trovarsi in quel luogo e in quella situazione.
Intorno e sopra di lei una fauna esotica e fiabesca che esalta col proprio magnetismo animale ogni parte del suo corpo.
I soli esseri umani sono dei lillipuziani che la osservano e tentano di scalarne i capelli.

La front sleeve ci mostra Bianca solo fino alle spalle, ma una volta aperte tutte e tre le parti della copertina laminata, la foresta si dirada evidenziandone il resto del corpo, mentre il chiarore delle nuvole si compone a formare il titolo. Puro splendore.

Il lavoro grafico pare fosse stato commissionato a Guido Crepax dal fratello Franco, all'epoca direttore della CGD ma, al momento, non ci è dato di sapere cosa ispirò il grande artista milanese nella realizzazione del disegno e quali relazioni vi fossero con la musica dei Garybaldi.

Infatti, occorre ammettere che, a parte la vena trasgressiva, i contenuti dell'album sembrano relativamente slegati dalla sua grafica, includendo in quest'ottica anche il libretto interno.
Come mai?
Al momento non mi sbilancio ma h
o girato la domanda a Caterina Crepax, mia amica dal tempo dell'Università, nonché figlia di Guido. Chissà...
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banco del mutuo soccorso salvadanaioAl secondo posto della nostra classifica che ha visto protagonista circa 90 copertine, c'è invece il sofisticato "salvadanaio" che ha portato al Banco il 10,35% dei consensi.
Nella pratica: un perfetto bilanciamento tra la "grafica pura" e quella che negli anni '70 fu "l'esplosione del packaging discografico" che com'è noto, ebbe momenti di altissima creatività.
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Tra il terzo e il quinto posto un blocco di inseguitori sospesi tra il 6,65% e il 6,32% delle preferenze.
Nell'ordine: "Forse le lucciole " (6,65%) e a pari merito "Felona e Sorona" e "Arbeit macht frei" (6,32%), seguiti da un "Fetus" (5,84%) che occupa il sesto posto.

Arrivano poi Atlantide (4,40%), Caution (4,07%), ancora Battiato con Pollution (3,96%) e, chiude la prima decina, un improbabile Gudrun dei Pierrot Lunaire (3,96%) che francamente non vedo cos'abbia di tanto straordinario per meritarsi quella posizione.

Infine, pur avendo avuto un alto numero di hits, Museo Rosenbach, Quella vecchia Locanda, Alphataurus e Caronte, non hanno collezionato abbastanza punti per accedere alla top ten.

Insomma, un voto che ha premiato la grafica rispetto al packaging, cosa che,per i tempi che corrono in cui le sovrastrutture dominano l'essenza delle cose, mi è sembrata non solo una scelta controcorrente, ma anche desiderosa di una certa purezza intellettuale.

compact discDi fatto, a parte qualche doverosa eccezione, i gadgets sono stati relegati in posizioni modeste e comunque, non hanno mai avuto dei punteggi così alti da giustificarne una maggiore rilevanza.

Questo credo sia sintomatico di un voto giovane: ossia rappresentativo
di una generazione moderna che non solo continua a rivalutare il Prog giorno per giorno, ma soprattutto antepone il connubio musica-grafica a qualsiasi altra sovrastruttura materiale.
Probabilmente, chi è cresciuto con i CD non è avvezzo ai packaging troppo sofisticati.

Personalmente però, credo la "follia dell'oggettistica" tipica degli anni '70 avrebbe meritato un po' più di considerazione, essendo stata precipua di un periodo storico irripetibile.

Su "Classic Rock" però, il popolo è sovrano (almeno qui lo è) e non sarò certo io a remargli contro.
Vi lascio con la top 30 completa e "grazie davvero" a tutti coloro che si sono lanciati in questa nuova avventura con il loro affetto e con i loro voti.
Va da sè che da questo momento in poi, ogni commento è bene accetto e la discussione è aperta.

LE MIGLIORI 30 COPERTINE DEL PROG ITALIANO ANNI '70


gruppo titolo % di voto




1 Garybaldi Nuda 12,20
2 Banco del mutuo soccorso Banco ("Salvadanaio") 10,35
3 Locanda delle fate Forse le lucciole… 6,65
4 Le Orme Felona e Sorona 6,32

Area Arbeit macht frei 6,32
6 Battiato Fetus 5,84
7 The Trip Atlantide 4,40
8 Area Caution 4,07
9 Battiato Pollution 3,96
10 Pierrot Lunaire Gudrun 3,70
11 Banco del mutuo soccorso Come in un ultima cena 2,96
12
Le stelle di Mario Schifano Dedicato a… 2,66
13 Giganti Terra in bocca 2,37

Quella vecchia locanda Il tempo della gioia 2,37
15 Opus Avantra Lord Cromwell 2,22

Osanna Palepoli 2,22
17 Museo Rosenbach Museo Rosenbach 2,03
18 Pierrot Lunaire Pierrot Lunaire 1,85

Quella vecchia locanda Quella vecchia locanda 1,85
20 Alphataurus Alphataurus 1,77
21 Raminghi Il lungo cammino 1,63
22 Battiato Sulle corde di Aries 1,48

Numi Alpha Ralpha Boulevard 1,48

Oscar Prudente Infinite fortune 1,48

Perigeo Abbiamo tutti un blues… 1,48
26 Semiramis Dedicato a Frazz 1,40
27 Jet Fede speranza carità 1,33

Alan Sorrenti Aria 1,33
29 The Trip Caronte 1,18
30 Aktuala La terra 1,11


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Le città cantate: una lettura urbana della musica Prog

napoliSERIE: ARTICOLI E MEMORABILIA

Si possono dominare completamente solo uomini senza memoria.
E, come i sogni, la memoria è fatta di immagini.

Con queste parole che hanno il dolce sapore della poesia, il fotografo Tano D’Amico stabilì una relazione così diretta tra arte e storia che sarebbe difficile complessificarla.
Immaginiamo tuttavia per un momento, di riportare il concetto di immagine al punto dove essa nasce: lo spazio.

Cosa evocano le immagini se non dei luoghi? Cosa attira la sensibilità di un artista se non ciò che accade effettivamente in un contesto fisico o immaginario?
Se ci pensiamo, tutto il teatro della nostra esistenza ruota intorno alla riconoscibilità e alle trasformazioni del nostro habitat e, per esteso, nessun movimento sociale, spirituale, artistico o politico sarebbe mai esistito senza interagire con un genius loci.

Le città romane venivano fondate sulla base di una praticabilità geologica, ma la loro consacrazione passava attraverso la lettura di elementi biologici locali. L’arte medioevale fu fortemente influenzata dalla diffusione delle strutture religiose e difensive e quella moderna dal passaggio tra l’urbanizzazione pre-fordista a quella transnazionale ed informatizzata.
Qualunque accadimento artistico, politico o sociale (focolai antagonisti inclusi) che agisse in uno qualsiasi di questi sistemi, doveva necessariamente interfacciarsi con la sua evoluzione urbanistica.

Il discorso è vasto e solo un libro potrebbe eviscerare completamente l’argomento. In questa sede però, ci limiteremo a trattare uno dei punti che ci riguarda: “Dando per scontata la relazione di cui sopra, quanto influirono le diverse locations sul Prog Italiano e sulla musica in generale”?

genovaPer quanto riguarda le città, la risposta è presto detta: le produzioni furono totalmente diadiche in relazione alla natura dei vari tessuti urbani.
Nelle metropoli le diverse tonalità del Prog assunsero un aspetto conforme allo sviluppo storico dei luoghi d’appartenenza, cogliendone sia i lati conflittuali che quelli commerciali.
Milano, per esempio, in qualità di “sistema centrale”, produsse in larga maggioranza gruppi focalizzati sulla critica ai “modi di produzione” e, in virtù di questo, non ebbe mai grandi riconoscimenti estetici.

Emblematico fu il caso degli Area che nel loro percosrso tracciarono di volta in volta affreschi urbani sino a prefigurarsi addirittura degli scenari futuribili (“Maledetti”).

Genova o Napoli invece, essendo città “a transito di merci”, ebbero sicuramente una maggiore capacità nell’appropriarsi di codici alieni. Per amore o per forza dovettero adattarsi all’assimilazione di altre culture e, non per altro, furono tra le più attive a livello musicale.

Nel caso di Genova, la presenza del mare, il vastissimo centro storico e la chiusura delle colline alle spalle, incoraggiarono una produzione caratterizzata da una capacità fortemente autoctona di elaborare le informazioni esterne, catalizzate da soggettività estremamente sensibili.
Fabrizio De Andrè e Vittorio De Scalzi furono ognuno a modo proprio (il primo da autore, il secondo da artista-imprenditore) degli straordinari lettori e promotori della città ligure.

In ogni caso, a partire dalla transnazionalizzazione degli anni ’60, tutte le metropoli italiane dapprima magnetizzarono i modelli stranieri e successivamente li fecero propri grazie alla forte conflittualità socioterritoriale che vi si era prodotta, includendo in essa anche i forti flussi migratori che negli anni ’70 raggiusero picchi molto elevati.

milanoSi consideri che la presenza meridionale al Nord diede non solo una forte spinta alle lotte di fabbrica degli anni ’70 innestandosi perfettamente nello spirito controculturale dell’epoca , ma iniettò nelle società ospitanti nuovi archetipi che diedero vita a straordinarie contaminazioni artistiche (es: Franco Battiato).

Curioso e interessante fu invece lo sviluppo delle “aree satelliti” quali le province e le periferie.
Da un lato era tangibile un forte magnetismo, misto a curiosità, per i modelli del capoluogo (Giuseppe Banfi, lecchese, del “Biglietto per l’inferno” mi raccontava di come tutti i suoi amici fossero molto più affascinati da Milano che non dall’America o dall’Inghilterra) e dall’altro, la persistenza di modelli a matrice rurale che si traducevano in elaborazioni di stampo localista quasi sempre sganciati dai rapporti di produzione della città.
In questo senso, il cauto interscambio delle province con le metropoli produsse sin dagli anni ’60 alcune tra le più valide produzioni alternative del paese, per esempio gli Opus Avantra o Roberto Camisasca che, nel loro isolamento, licenziarono tra i dischi più interessanti dell’avanguardia Italiana.

In buona sostanza, eccettuati i boom e le mode estemporanee, certo è che i risultati artistici più notevoli si concretarono là dove maggiore era la capacità collettiva di reagire agli stimoli socioterritoriali e di interpretarne le trasformazioni senza per questo cancellarne le radici.
Sistemi “unilaterali” o a basso interscambio sociale - che pertanto affidano la loro innovazione al singolo individuo - hanno da sempre avuto una valenza minore.