Le città cantate: una lettura urbana della musica Prog

napoliSERIE: ARTICOLI E MEMORABILIA

Si possono dominare completamente solo uomini senza memoria.
E, come i sogni, la memoria è fatta di immagini.

Con queste parole che hanno il dolce sapore della poesia, il fotografo Tano D’Amico stabilì una relazione così diretta tra arte e storia che sarebbe difficile complessificarla.
Immaginiamo tuttavia per un momento, di riportare il concetto di immagine al punto dove essa nasce: lo spazio.

Cosa evocano le immagini se non dei luoghi? Cosa attira la sensibilità di un artista se non ciò che accade effettivamente in un contesto fisico o immaginario?
Se ci pensiamo, tutto il teatro della nostra esistenza ruota intorno alla riconoscibilità e alle trasformazioni del nostro habitat e, per esteso, nessun movimento sociale, spirituale, artistico o politico sarebbe mai esistito senza interagire con un genius loci.

Le città romane venivano fondate sulla base di una praticabilità geologica, ma la loro consacrazione passava attraverso la lettura di elementi biologici locali. L’arte medioevale fu fortemente influenzata dalla diffusione delle strutture religiose e difensive e quella moderna dal passaggio tra l’urbanizzazione pre-fordista a quella transnazionale ed informatizzata.
Qualunque accadimento artistico, politico o sociale (focolai antagonisti inclusi) che agisse in uno qualsiasi di questi sistemi, doveva necessariamente interfacciarsi con la sua evoluzione urbanistica.

Il discorso è vasto e solo un libro potrebbe eviscerare completamente l’argomento. In questa sede però, ci limiteremo a trattare uno dei punti che ci riguarda: “Dando per scontata la relazione di cui sopra, quanto influirono le diverse locations sul Prog Italiano e sulla musica in generale”?

genovaPer quanto riguarda le città, la risposta è presto detta: le produzioni furono totalmente diadiche in relazione alla natura dei vari tessuti urbani.
Nelle metropoli le diverse tonalità del Prog assunsero un aspetto conforme allo sviluppo storico dei luoghi d’appartenenza, cogliendone sia i lati conflittuali che quelli commerciali.
Milano, per esempio, in qualità di “sistema centrale”, produsse in larga maggioranza gruppi focalizzati sulla critica ai “modi di produzione” e, in virtù di questo, non ebbe mai grandi riconoscimenti estetici.

Emblematico fu il caso degli Area che nel loro percosrso tracciarono di volta in volta affreschi urbani sino a prefigurarsi addirittura degli scenari futuribili (“Maledetti”).

Genova o Napoli invece, essendo città “a transito di merci”, ebbero sicuramente una maggiore capacità nell’appropriarsi di codici alieni. Per amore o per forza dovettero adattarsi all’assimilazione di altre culture e, non per altro, furono tra le più attive a livello musicale.

Nel caso di Genova, la presenza del mare, il vastissimo centro storico e la chiusura delle colline alle spalle, incoraggiarono una produzione caratterizzata da una capacità fortemente autoctona di elaborare le informazioni esterne, catalizzate da soggettività estremamente sensibili.
Fabrizio De Andrè e Vittorio De Scalzi furono ognuno a modo proprio (il primo da autore, il secondo da artista-imprenditore) degli straordinari lettori e promotori della città ligure.

In ogni caso, a partire dalla transnazionalizzazione degli anni ’60, tutte le metropoli italiane dapprima magnetizzarono i modelli stranieri e successivamente li fecero propri grazie alla forte conflittualità socioterritoriale che vi si era prodotta, includendo in essa anche i forti flussi migratori che negli anni ’70 raggiusero picchi molto elevati.

milanoSi consideri che la presenza meridionale al Nord diede non solo una forte spinta alle lotte di fabbrica degli anni ’70 innestandosi perfettamente nello spirito controculturale dell’epoca , ma iniettò nelle società ospitanti nuovi archetipi che diedero vita a straordinarie contaminazioni artistiche (es: Franco Battiato).

Curioso e interessante fu invece lo sviluppo delle “aree satelliti” quali le province e le periferie.
Da un lato era tangibile un forte magnetismo, misto a curiosità, per i modelli del capoluogo (Giuseppe Banfi, lecchese, del “Biglietto per l’inferno” mi raccontava di come tutti i suoi amici fossero molto più affascinati da Milano che non dall’America o dall’Inghilterra) e dall’altro, la persistenza di modelli a matrice rurale che si traducevano in elaborazioni di stampo localista quasi sempre sganciati dai rapporti di produzione della città.
In questo senso, il cauto interscambio delle province con le metropoli produsse sin dagli anni ’60 alcune tra le più valide produzioni alternative del paese, per esempio gli Opus Avantra o Roberto Camisasca che, nel loro isolamento, licenziarono tra i dischi più interessanti dell’avanguardia Italiana.

In buona sostanza, eccettuati i boom e le mode estemporanee, certo è che i risultati artistici più notevoli si concretarono là dove maggiore era la capacità collettiva di reagire agli stimoli socioterritoriali e di interpretarne le trasformazioni senza per questo cancellarne le radici.
Sistemi “unilaterali” o a basso interscambio sociale - che pertanto affidano la loro innovazione al singolo individuo - hanno da sempre avuto una valenza minore.

2 commenti :

V I K K ha detto...

chiara e lucida analisi in pieno jj style

Antonio ha detto...

Analisi chirurgica e perfettamente condivisibile. Un altro grande post, è la mia versione di John preferita questa.