Dedalus: Materiale per tre esecutori e nastro magnetico (1974)

Dedalus Materiale per tre esecutori e nastro magneticoRidotti a trio per la defezione di Furio di Castri - poi diventato uno stimatissimo bassista Jazz - i Dedalus affrontano nel 1974 la loro seconda prova discografica: sempre per la discografica Trident e proprio un attimo prima che questa fallisse sotto i colpi del suo sbilancio economico.
C'è però una novità: dopo un primo LP fortemente venato di Jazz con ampi riferimenti ai Soft Machine, ai Nucleus e ai Weather Report, i tre musicisti di Pinerolo abbandonano improvvisamente e con mossa a sorpresa la strada dell'esordio per licenziare uno degli album più trasgressivi degli anni '70.
In "Materiale per tre esecutori e nastro magnetico" infatti, risulta evidente sia la totale assimilazione da parte del gruppo delle idee più radicali della Controcultura, sia una presa di posizione politica e artistica che li spingerà all'estremo delle proprie possibilità comunicative: una scelta chiaramente ponderata (e probabilmente maturata in seguito ai numerosi concerti presso i Circoli Ottobre in favore dell'abrogazione della legge sul divorzio), che porta i Dedalus a rischiare il tutto per tutto sul piano della conflittualità e senza fare alcuna concessione a qualsiasi stilema codificato sino a quel momento.
Composto per la gran parte da Fiorenzo Bonansone, registrato nella seconda metà del 1974 al Format Studio di Torino e dotato di una copertina sospesa a mezza via tra provocazione e quotidianità (piatti pieni di cibo o parzialmente consumati), il lavoro non lascia dubbi sin dal primo brano: si tratta di avanguardia pura o come meglio illustra lo stesso sito del gruppo:
"una radicale sperimentazione che attraversa musica concreta ed elettronica, improwisazione e rumore. Qui Bonansone vi introduce elementi nuovi, tratti dalla musica contemporanea colta, concreta ed elettronica."

Trident Records DedalusPur se estremamente omogeneo nella sua struttura artistica e concettuale, l'album presenta un sound talmente parcellizzato e celebrale da far immediatamente pensare a una precisa volontà di disarticolazione del sistema musicale, restituendo certamente sonorità ostiche, ma sempre perfettamente aderenti a ciascuna delle situazioni rappresentate (un'emergenza, un dialogo, un canto popolare ecc.).
Melodia e armonia vengono completamente vivisezionate, dilatate in micro-sonorità e riassemblate in forma concreta e moderna attraverso l'elettronica.


Anche se oggi potremmo essere abituati a un sound di questo tipo grazie alle esperienze di Stratos, Cardini o Battiato, occorre comunque precisare che nel 1974 i referenti una simile aggressione sonora erano davvero pochi e sopratutto noti solo ad una fascia di ascoltatori che non era certo il proletariato giovanile.

Semmai quella audience colta che si riferiva per esempio, alla "rumoristica plastica" di Giacomo Balla, allo Stockhausen del "Canto degli adolescenti" (richiamato chiaramente dai Dedalus nel brano "Esserci") ,a Edgar Varese, a un certo John Cage o al Miles Davis di Bitches Brew ("Metal machine music" doveva ancora arrivare).
"Materiale" fu dunque un vero e proprio schiaffo in faccia alla convenzionalità, il cui solo riferimento nel pop italiano di allora potevano forse essere i primi minuti de "L'Abbattimento dello Zeppelin" o qualcosa della contemporanea "Lobotomia" degli Area.

Dedalus Rock progressivo italianoAll'ascolto, l'ellepì si apre con "Rumore bianco": ossia la restituzione di un intervallo sonoro in cui ogni singola frequenza viene erogata alla medesima potenza (quasi un fruscio, se vogliamo).

Un solo colpo finale di basso ci introdurrà al seguito dell'album laddove solo "Emergenze", "Discorso su due piani" e "La Bergera" (stravolgimento minimalista di un canto popolare) sarannoi tre brani più comprensibili se non altro per una certa riconducibilità al titolo.
Per il resto , occorrerà adoperare il massimo della propria apertura mentale per apprezzare uno degli album più coraggiosi di tutto il Pop italiano.
Di fatto, pochi altri consigli servirebbero per focalizzare una tale destrutturazione il cui ri-assemblaggio può avverarsi solo nella mente di ciascun singolo ascoltatore.
Un disco straordinario insomma che, malgrado il suo prevedibile ostracismo commerciale (e il conseguente sbandamento nel gruppo), non mancò di impressionare anche le avanguardie politiche più radicali (leggi: Stampa Alternativa) che ne fornirono recensioni entusiaste:"Unico esempio in Italia di come si possa affrontare la sperimentazione con idee fresche e geniali, evitando di proposito il presuntuoso intellettualismo dei gruppi che si credono di aver scoperto la materia sonora in un attimo e dunque di poterla usare con ridicola arbitrarietà" (cfr: "Libro bianco sul pop in Italia", Arcana, 1976)
Questo naturalmente, non bastò a far sopravvivere i Dedalus ma, insieme a "Clic" di Battiato, pone a mio avviso il loro ultimo lavoro ai vertici più rappresentativi della Controcultura del 1974.


COLLEZIONISMI: Nei primi mesi del 2012 "Materiale" registra quotazioni in ascesa superando i 300 euro per una copia Mint, cosa mai accaduta per anni quando veniva ceduto a cifre ben inferiori.
Come per tutti i dischi della Trident è possibile imbattersi in copie contraffatte, ma di norma fa fede il timbro Siae che nei bootlegs non compare.


DEDALUS - Discografia 1973 - 1974:
1973: DEDALUS
1974: MATERIALE PER TRE ESECUTORI E NASTRO MAGNETICO

Tempo di percussione: Tempo di percussione (1975)

tempo di percussioneNella seconda metà degli anni settanta il timpanista napoletano Antonio Buonomo era già piuttosto noto negli ambienti musicali: pupillo di Nino Rota, compositore, fervido promotore della musica d’avanguardia, nonché raffinato didatta al punto di aver introdotto i corsi di percussione nei Conservatori italiani.

E anche se al suo esordio negli anni ‘60 le percussioni erano ancora considerate semplici strumenti d’accompagnamento o da insonorizzazione, Buonomo non si fece alcuno scrupolo a renderle protagoniste di interi concerti trascrivendo brani di Bartok, Beethoven e Stockausen.
Una sorta di “Jaco Pastorius della batteria” dunque, che stimolato dal grande fermento culturale degli anni ’70, decise ad un certo punto di oltrepassare i limiti del convenzionale fondando una vero e proprio ensemble costituito esclusivamente da percussioni.

Il succo dell’idea venne ben spiegato nel 1974 in una sorta di “manifesto teorico” in cui si sottolineava come, contestualmente ad un orchestrazione, non vi fossero poi grandi differenze tra suoni definiti (come ad esempio quello di un flauto) e quelli indefiniti delle percussioni, anzi: si evidenziava come queste ultime avessero in più il fascino di possedere un notevole numero di armoniche naturali non sempre sfruttate in modo melodico.
Un territorio inesplorato quindi, dove qualunque partitura poteva essere trascritta per esempio per campane e vibrafoni: era solo una questione di volontà e di codificazione mentale.

Antonio Buonomo Tempo di PercussioneCosì, da una società complessa e multietnica come quella di Napoli dove le differenze sono all’ordine del giorno, Buonomo lanciò una provocazione del tutto nuova e nel 1975 i suoi “Tempo di percussione” licenziarono il loro unico album eponimo.
La copertina venne disegnata da Lino Vairetti degli Osanna e almeno secondo Augusto Croce fu “una delle più belle cover dell’intera produzione italiana”.

Ora, è certamente vero che a Napoli non mancarono mai percussionisti anche stravaganti: ricordiamo quel Gegè di Giacomo che si presentò a Renato Carosone suonando piatti e bicchieri con le posate perchè “nun tengo ‘a batteria”.

Il 1975 poi, teneva a battesimo il primo LP di Toni Esposito che da piccolo suonava le pentole con i mazzuoli perchè sofferse della stessa povertà di Gegè.

C’erano inoltre un’infinità di batteristi bravi e famosi che non citiamo nemmeno tanto sarebbe lunga la lista (Tullio de Piscopo, Massimo Guarino, Agostino Marangolo ecc.). Eppure, in tutto quel marasma creativo che fu il Pop nostrano, a nessuno venne mai in mente di registrare un disco per sole percussioni.

Dunque, negli ultimi mesi del ‘74, armati di batteria, vibrafoni, campane, xilofoni, marimbe, wood blocks, tumbe, bonghi e quant’altro, otto strumentisti più la cantante Loredana Neri entrarono negli studi della Phonotype Records (gli stessi di Gigi Pascal & PCM) per incidere brani di Cage, Bach, Desidery, Frock, Williams e dello stesso Buonomo, dividendoli idealmente in tre categorie: musica popolare e primitiva, classica e contemporanea.

locandina tempo di percussione 1985All’ascolto, va da se, il risultato è straordinario se non altro considerando l'originalità dell’idea.

Tutto ciò che era preposto alla ritmica diventava armonico e ad essere onesti, fu anche piuttosto divertente (se non addirittura sconvolgente) ascoltare in veste percussiva composizioni concepite con ben altri intenti: da quelle di Bach sino al popolare spiritualDeep River” che a mio avviso resta una delle cose più avvincenti dell’album.

Per giudicare un’operazione simile però, credo occorra necessariamente riportare le lancette della storia all’epoca della sua concezione, quando cioè fece scuola e rappresentò una reale novità nel panorama italiano.
Alla distanza infatti, si potrebbe osservare che l’Lp assomiglia molto più a un disco dimostrativo che non ad un’opera strutturata e l’eccesso di stili potrebbe esserne la dimostrazione.

Inoltre, non fosse che a tessere l’orchestrazione ci sia stato un Maestro indiscusso come Buonomo, vi si potrebbe scorgere anche un lato vagamente folcloristico. In realtà, l’assoluta valenza dei musicisti e delle loro lunghe e rispettabilissime carriere, fuga ancora oggi ogni dubbio.
In sostanza, “Tempo di percussione” fu si un esperimento, una provocazione per far uscire una certa tipologia di strumenti dal loro ambito convenzionale, forse persino un gioco, ma sicuramente di gran classe.
Quella “classe” e quella “libertà espressiva” che solo gli anni ’70 hanno saputo restituire appieno e con modalità insuperate da molto tempo a questa parte.


SI RINGRAZIA IL SITO WWW.PERCUSSIONIBATTERIA.IT PER LE INFORMAZIONI E LE IMMAGINI

Madrugada: Incastro (1977)

madrugada incastroTre anni dopo il primo albumMadrugada” del 1974, il trio di Gianfranco Pinto ritorna in sala discografica per incidere il suo secondo lavoro “Incastro”, che segna un deciso salto di qualità rispetto agli esordi.

Se infatti l’album eponimo appariva leggermente dispersivo al punto che la sola “Mandrax” venne associata allo stile progressivo, in “Incastro” appaiono evidenti non solo una maggiore libertà espressiva restituita dall'equilibrata giustapposizione tra i vari ambienti sonori, ma anche un tessuto acustico più solido e convincente.
Esempio pratico: i sedici minuti della opening trackRomanzen”, un
brano che affianca più tensioni diverse in perfetto stile prog, caratterizzato da interessanti parti vocali molto diradate e dal sapore medioevaleggiante che, da inizialmente occasionali e discrete, sfociano in un finale epico supportato dalla piena orchestra.

Si susseguono poi in tutto l’arco del brano ulteriori richiami al prog che di volta in volta citano il jazz, la psichedelia e l’underground, quasi a voler fondere in un unico personalissimo kernel Banco, Delirium, Area e Perigeo.
In sostanza, un gran bel passo avanti.

Ma cosa accadde dal primo tentennante Lp del ’74 alla pubblicazione di una prova così matura?

La risposta più banale potrebbe vertere sulla semplice crescita artistica che qualunque musicista svilupperebbe in tre anni di studio e di concerti ma nella realtà, per i Madrugada ci fu un "qualcosa di più" che rese profondamente consapevole il loro sviluppo.

madrugada katmanduIn primis, l’incessante presenzialismo nei vari Festival Pop dove di volta in volta fecero da supporto ad artisti del calibro di Area, Claudio Rocchi e Biglietto per l’Inferno (il mio amico Giuseppe Banfi mi ricordava come fosse molto divertente andare con loro “su e giù per l’Italia in condizioni spesso impossibili”).

Nondimeno, il gruppo acquisì una forte coscienza politica partecipando a numerose iniziative di Lotta Continua, Partito Radicale e Re Nudo accanto a Jumbo, Circus 2000, Battiato e Opus Avantra, cosa che sicuramente incrementò il loro spirito conflittuale e comunicativo.

Infine, fatto altrettanto importante, almeno due terzi dei componenti dei Madrugada non disdegnarono mai esperienze al di fuori della band collaborando a vario titolo con numerosi artisti, acquisendo così sicurezza e esperienza: Pinto e Zanelli collaborarono con i Pangea nel 1976 e il solo Pinto fece da turnista per superstar quali Gianna Nannini, Patty Pravo, Riccardo Cocciante e non ultimo per Brian Auger, ex mente degli Oblivion Express.
Dal canto suo, dopo lo scioglimento dei Madrugada, il bassista Billy Zanelli avrebbe costituito il gruppo simil-punk dei Judas (1978) per poi collaborare stabilmente con Roberto Vecchioni.


Per tornare ad Incastro, molto avvincente fu anche la seconda traccia “E’ triste il vento”, poi affiancata sul lato B dell'unico 45 giri estratto dall'album alla più freakkeggianteKatmandu”: mossa tuttavia rivelatasi commercialmente non molto fortunata.

madrugada italian progLe cose migliori di "Incastro" però arrivano con gli otto minuti e mezzo di “Aragon” che tra sonorità hard e ricami cosmici che potrebbero benissimo rifarsi ai Gong o agli Hawkind, alternando momenti meditativi e di piena orchestra in una testura decisamente coinvolgente.

A spiazzare il tutto poi, come nel classico stile Madrugada, arriva “Noter de Berghem” in dialetto bergamasco, sospesa tra un coro alpino e un'orazione da chiesa: una vera sorpresa per l’ascoltatore e completamente avulsa dal sound dell’album che però si rivela molto più di un “filler” dividendo seccamente le precedenti atmosfere spaziali da quelle più concrete della conclusiva “Hobbit”.
Quest'ultimo è un pezzo strumentale che chiude degnamente il disco pescando nel jazz newyorchese e citando inizialmente persino gli Area dell’”Abbattimento dello Zeppelin”. Che non è poca cosa.


Un disco in sostanza gradevole, egregiamente suonato e - nota finale - nobilitato soprattutto da turnisti di eccelso valore quali Gianluigi Trovesi al sax, Lucio “Violino” Fabbri, Luciano Ninzatti alla chitarra elettrica, Gianni Bertocchi al flauto e la corista Silvia Annichiarico, già con Enzo Jannacci nell’indimenticabile album “Quelli che...”.
Nomi che di per se, sono già una garanzia.


COLLEZIONISMI: Pur avendo raggiunto negli ultimi anni picchi di 140 euro (NM), il vinile originale di Incastro è stato venduto in tempi recenti anche per meno di 30 euro per una copia EX/EX in un altalenarsi di quotazioni che rende difficile stabilirne il valore reale.
Azzardiamo comunque che 60 o 80 euro per una copia in ottimo stato possa essere una stima attendibile. Almeno per ora.


MADRUGADA - Discografia 1974 - 1977:
1972: MADRUGADA
1974: INCASTRO

Alluminogeni: Troglomen / Ding Dong (versione Thailandese, 1972)

alluminogeni monster rare troglomenNel 1971 gli Alluminogeni non erano poi così sconosciuti: certamente un gruppo di nicchia, ambasciatore di improbabili visioni cosmiche e surrealiste, ma avevano pur sempre all’attivo tre singoli per la Fonit, diverse apparizioni televisive (Rai, Montecarlo, Capodistria) e diverse presenze in concorsi quali il “Cantagiro” e "Un disco per l'estate"

Non erano così ignoti insomma, per non essere interpellati quali autori di una colonna sonora del cosiddetto “cinema di genere”.
Del resto, anche altri colleghi post-beat molto meno famosi di loro avevano fatto capolino in numerosi musicarelli, e in ogni caso, mai nessuna band aveva disdegnato comparsate in pellicole di vario spessore.

E così, quando Bruno Corbucci propose a Patrizio Alluminio e soci di collaborare con lui e Giancarlo Chiaramello ai titoli di testa del suo film “Quando gli uomini armarono la clava... e con le donne fecero din-don”, i tre non si fecero sfuggire l’occasione, visto che tra l’altro sarebbero apparsi anche di persona accanto ad attori assai popolari all’epoca quali Antonio Sabàto, Aldo Giuffrè, Elio Pandolfi, Vittorio Caprioli e una giovanissima Nadia Cassini che poi sarebbe finita con loro sulla copertina del disco.

Peccato che il film, girato nella zona di Tor Caldara nel Lazio, risultò talmente modesto non solo da non apportare alcun vantaggio reale al gruppo, ma di partorire un singolo piuttosto prescindibile, fortunatamente nobilitato sul lato B dall'inedita “Costruendo astronavi”, registrata a Santagata di Puglia durante la trasmissione “Speciale tre milioni”.

Comunque sia, tornando al film, trattandosi del tema introduttivo, il lato A “Troglomen(anche noto presso certi mercati orientali come “Ding Dong”) doveva più o meno rispecchiare la trama del film e in questo senso centrò l’obiettivo sia come contenuti, sia specialmente come goliardia.


 Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din donLa trama - ispirata alla Lisistrata di Aristofane piuttosto che a Le donne alla festa di Demetra - narrava le gesta di due tribù preistoriche, i Cavernicoli e gli Acquamanni in perenne conflitto tra di loro.

Al chè, in un periodo di pace, Ari, il capo dei Cavernicoli, vince in una competizione Istra, una vergine degli Acquamanni.
Sembra sia vero amore, ma purtroppo la guerra riprende, e stanche di vedere i loro uomini partire, le donne di entrambe le tribù proclamano uno sciopero del sesso, destinato a riportare pur se per poco la pace.
 

Al momento non ci è dato di sapere quanto gli Alluminogeni ebbero peso nella stesura di "Troglomen" che fu firmata a tre mani. Sta di fatto che quel brano fu realmente uno dei più avulsi dal repertorio del gruppo sia per sound che per ambientazione.
Sin dai primi secondi infatti, possiamo tranquillamente dimanticarci quelle sognanti atmosfere spaziali tipiche dei tre single precedenti, venendo invece investiti da un groove tribale di batteria sul quale una voce baritonale modula un gioco di parole apparentemente senza senso:
Ding ding dong bada di ding dong ba di da / Ding ding dong...ecc.”

Come se non si fossse capito, il “Ding dong” in questione evocava palesemente l'accoppiamento e, tanto per far capire la particolarità del brano, c'è da sottolineare come mai e poi mai gli Alluminogeni avessero fatto in passato uso di allusioni così esplicite:


Quando lunà verrà / e poi notte sarà / un gran fuoco si fa / cantando insieme ding dong
Ma tra gli uomini là / uno ancora ci sta / che la donna non ha e non può fare ding dong
“Un torneo si fa / e poi chi vincerà / la sua giovane avrà / per fare il primo ding dong


 alluminogeni ding dong thailandiaSuperfluo a questo punto proseguire con la disamina del testo che, come si può ben capire, resterà tutto giocato sul doppio senso sino al finale che riprenderà ad libitum il tema portante.

Un brano dunque leggero  (per non dire bruttino) che comunque, al di là del giudizio qualitativo, dimostrò come pur se nati come band d’avanguardia, in fondo gli Alluminogeni non disdegnavano affatto le cosiddette “marchette” e, vista la loro filosofia politica relativamente qualunquista, è presumibile che ne avrebbero fatte altre se la loro carriera non si fosse interrotta con “Scolopendra”.

Diciamo che, per spezzare una lancia in favore di Troglomen, segnaliamo il micro assolo di chitarra di Enrico Cagliero che in dieci secondi netti sventagliò un’azzeccata scala rock che ben sottolineò il suo riuscito inserimento nel gruppo.
Per il resto, i Cavernicoli e gli Acquamanni rimasero fortunatamente solo un episodio nella ancora breve carriera del glorioso terzetto torinese.


COLLEZIONISMI: Il vinile originale Fonit con in copertina gli Alluminogeni in mise preistorica e una sensuale Nadia Cassini può considerarsi mediamente facile da reperire ad un prezzo di circa 20 euro.

Ancora più agevole è un EP per il mercato tailandese (etichetta anonima, numero di catalogo KS 009 – valore circa 8 euro) dove “Ding Dong/Troglomen” è affiancato a Daniel Boone/Beautiful Sunday, Gallery/Nice to be with you e Mouth & Macneal/How do you do.


rock progressivo italiano

Rarissimo è invece il 45 giri thailandese del 1972 in cui “Troglomen” occupa il lato A e il retro ospita invece il tema del film “Living Free” del regista Carl Foreman (1972) cantato da Julie Budd: abbinamento curioso dato che gli Alluminogeni non comparvero affatto nella pellicola di Foreman.
Il disco non ha numero di catalogo neppure sul trailoff dove invece compare a caratteri arial maiuscoli la scritta “TROGLOMEN”.
La copertina infine, riporta sul fronte un momento decisamente piccante del film, con le sole scritte “Troglomen” (nella stessa grafia originale italiana) e “Ding Dong”, mentre sul retro c’è la locandina di Living Free.
Un esemplare imperdibile di cui fino a poco tempo fa non si sapeva neppure l’esistenza, e la cui potenziale quotazione di 300 euro (EX) è sicuramente destinata a salire.