De De Lind: Io non so da dove vengo e non so dove mai andrò. Uomo è il nome che mi han dato (1973)

De De Lind Io non so da dove vengo e non so dove mai andrò. Uomo è il nome che mi han datoIl quintetto varesotto dei De De Lind (dal nome di una Playmate nominata "Miss Playboy" nel 1967 - foto in basso a Dx) fu uno dei tanti che arrivò al Progressive negli anni '70 passando per il Tardo Beat.

Le sue origini sono radicate negli anni '60 quando il gruppo firmò ben tre 45 giri: il primo datato 1969 con formazione a sei per l'oscura discografica Windsor e gli altri due nel biennio '71-'72, con la definitiva formazione a cinque per l'etichetta Mercury, alla quale rimasero fedeli per tutto il loro percorso professionale.
Nel gruppo, il più noto era probabilmente il batterista Ricky Rebajoli già con i Nuovi Angeli e i New Dada.

La svolta stilistica avviene nel 1972 quando la band vira decisamente a sonorità più hard e comincia a comparire un po' ovunque nei vari Festival nazionali tra cui l'Euro Davoli di Livorno e il Festival di Travagliato nel 1972.
Dopo la pubblicazione del loro primo album, parteciperanno inoltre al Davoli Pop di Reggio Emilia e al leggendario Be-In di Napoli nel 1973 dove vengono definiti "originali e precisi" dalla giornalista del Ciao 2001 Fiorella Gentile, ma "meno bravi di tutti gli altri" dal collega Dario Salvatori: una dicotomia critica che non abandonò mai più i De De Lind fino alla loro fine.

De De LindNon per niente, quando uscì il loro primo Ellepì dal titolo "Io non so da dove vengo e non so dove mai andrò. Uomo è il nome che mi han dato" (un titolo da Guinness dei primati), le opinioni si divisero nettamente in tre fazioni totalmente diverse.

La prima e la più deprimente, fu sicuramente l'indifferenza di tutto il movimento Controculturale che, malgrado il buon presenzialismo della band non degnò il loro lavoro di alcuna attenzione.
Una via di mezzo, ma nemmeno troppo bonaria, fu rappresentata invece dal moderato apprezzamento di Enzo Caffarelli che comunque li definì sulle pagine del Ciao 2001: "niente di nuovo sotto il sole".
"Argomenti di introspezione personale che finiscono per essere fatalmente i più banali", "tante idee appena abbozzate ed ancora da sviluppare", e "un album dal titolo chilometrico […] con qualche trave traballante, per un edificio futuro forse ricco di buoni risultati", furono le osservazioni più significative.

De De Lind Io non so da dove vengo e non so dove mai andrò. Uomo è il nome che mi han dato 03La terza ed ultima posizione, quella positiva, probabilmente esisteva anche all'epoca ma non si manifestò mai.
Solo a trent'anni di distanza vennero fuori pareri quali: "Prodotto qualitativamente ottimo, uno dei migliori del periodo" (Alessandro Gaboli e GiovanniOttone - Giunti Edizioni), e "Ben suonato e ben cantato [..] molta poesia nelle liriche" (Giordano Casiraghi - Editori Riuniti).

Purtroppo, la cruda verità, fu che dei De De Lind non gliene importò nulla a nessuno e il gruppo si sciolse in poco tempo tra l'indifferenza generale. Il solo cantante Vito Paradiso tentò la carriera solista ma, dopo due sfortunati albums nel 1978 e nel 1980 e un periodo trascorso come paroliere dei Dik Dik, dovette anch'egli ridimensionare i suoi sogni di gloria.

Personalmente,anch'io non posso nemmeno io esimermi dal sollevare diverse perplessità su questo disco.
De De Lind Io non so da dove vengo e non so dove mai andrò. Uomo è il nome che mi han dato 02Senza nulla voler togliere alla sua buona sostanza timbrica, alla competenza esecutiva dei musicisti ed alla professionalità della produzione, "Io non so da dove vengo…" rimane un album dall'esposizione frammentaria e poco delineabile: una sequenza di stili che spazia dall'hard rock più ripetitivo e scontato ("Indietro nel tempo", "Voglia di vivere"), a prescindibili contaminazioni elettroacustiche ("Smarrimento") di cui infelicemente nessuno afferrò mai il senso.

In altre parole, un lavoro solo apparentemente stabile ed organico ma, malgrado le buone intenzioni, fragilissimo e scontato sin dalle sue fondamenta.
Non so quanto la produzione abbia seguìto realmente il gruppo. Probabilmente con una maggiore omogeneizzazione stilistica ed un po' più di attenzione conflittuale, i De De Lind avrebbero potuto dare molto di più.
La stroria però, com'è noto, non guarda in faccia a nessuno.

32 commenti :

Anonimo ha detto...

Ciao John,
un paio di anni fa, visto il buon parere del libricino "Il Progressive Italiano" della Giunti fresco di stampa, mi procurai questo disco.
Ahimè, non fu un investimento azzeccato! Concordo con la tua opinione che poi più o meno coincide con quella che fece all'epoca Caffarelli sul compianto (e rimpianto) Ciao 2001.
Altra cosa invece è De De Lind la Playmate, fanciulla vintage dal notevole giropetto della quale consiglio una ricerca con google...all'epoca con un suggerimento del genere chissà quanti improperi mi sarei guadagnato dal "movimento"!

Anonimo ha detto...

Ci dobbiamo mettere d'accordo caro JJ, queste recensioni in parallelo rischiano di tediare i nostri comuni lettori.
Comunque rimane una certa discordanza su questo lavoro. Chi vuol sapere la mia opinione basta digitare l'indirizzo del mio blog.

www.progblog.splinder.com

La firma non serve.

Anonimo ha detto...

Andy, i dischi di prog italiano del 1973 sono circa 50 e se anche tu te ne stai occupando, è logico che ogni tanto ci si incroci.
Da parte mia non vedo il problema: non ho cali di visite e il mio approccio analitico è completamente diverso dal tuo.
Piuttosto, vorrei sapere da quelli che dicono che il disco dei DDL "è uno dei migliori del prog italiano" cosa ci trovano di tanto interessante.

Anonimo ha detto...

Ovviamente scherzavo JJ, e poi se andiamo per il sottile tu hai il diritto di precedenza nonchè di competenza. Per quanto riguarda i De De Lind i testi non sono affatto banali e la musica segue bene il contesto. La prima volta che li ho ascoltati conoscevo poco del prog ma poi ci sono ritornato spesso.

Andy

Anonimo ha detto...

Degustibus...per me uno dei dischi più bello del prog.....a me piacciono parecchio, li trovo musicalmente bravi, i suoni sono "duri" ma scanditi con misura, cioé come se avessero registrato un po' più lento per far ascoltare bene tutti gli strumenti, nn so se mi sono spiegato..la voce di Vito é bella senza ombra di dubbio...i testi e le "armonie" sono ben equilibrate, aldilà delle influenze, lo trovo un disco che si "differenzia" parecchio dai dischi di quell'anno.....per originalità, ogni tanto l'ascolto a "manetta" e i suoni che continuano a uscire dal cd mi fanno venire la pelle d'oca...ascoltarne di gruppi cosi oggi(italiani), lo trovo un prodotto "omogeneo" come pochi altri, piacevole di più adesso che all'epoca.ciao

Anonimo ha detto...

secondo me questo dei de de lind è un prodotto validissimo e che consiglio.
certo non è tra i miei preferiti,pero basta sentire fuga e morte,indietro nel tempo e smarrimento per accorgersi delle capacità dei 5 componenti
saluti francesco

JJ JOHN ha detto...

In effetti erano bravi, ma non si sono fatti capire e in quegli anni, la conflittualità era importante tanto quanto la musica.
E questo vale per decine di altre bands.

Anonimo ha detto...

concordo pienamente infatti questo e solo uno dei gruppi di rock prog che oggi andrebbero rivalutati!!
ciao francesco

marco ha detto...

Io lo reputo un lavoro molto interessante,forse ad un primo ascolto non desta una grande impressione ma poi pian piano ci si accorge delle qualità di questo disco.Paura del Niente e Voglia di Rivivere sono a mio avviso i brani migliori del disco,anche i testi non sono banali e la voce di Paradiso si adatta bene alle musiche dei De De Lind.
Sicuramente non tra i capolavori per eccellenza del prog italiano ma da menzionare assolutamente tra quelli "secondari".Un disco tutto da (ri)scoprire ;-)

Analoguesound ha detto...

Cosa ci trovo io di tanto eccezionale? Beh è evidente che questi ragazzi abbiano fatto un uso magistrale delle pause e dei silenzi, che paradossalmente possono far sprofondare un'opera musicale nel completo ridicolo o portarla alle stelle. Delineare le atmosfere non è affatto cosa da poco, il silenzio non è mai lo stesso, così come non lo è il colore bianco.
In una visione d'insieme, un disco frammentario come questo può essere considerato anche come un'ottima esperienza sonora, che lascia un gusto gradevole e duraturo a certi tipi di padiglioni uditivi. L'opinione di Caffarelli sui titoli dei brani era pietosa, e l'osservazione sulle presunte influenze classicheggianti gli ha concesso un posto d'onore sul calvario delle penne più scriteriate della storia delle recensioni discografiche. Poi personalmente rivedrei sta storia della conflittualità contestualizzata al suo tempo come parametro essenziale per giudicare un'opera. In un disco ci si può mettere l'immenso come ci si può far stare stretto anche lo zero indifferentemente da quante copie sei riuscito a vendere, e penso sia così da sempre.

JJ JOHN ha detto...

D'accordissimo con te ma, una cosa soltanto.
Tieni conto che la conflittualità è il livello di compenetrazione tra la "capacità comunicativa" e il "potenziale sociale" di un attore. Non è infatti necessariamente legata alle vendite.
Un saluto a te che è da tanto che non ti sentivo.

Analoguesound ha detto...

Ricambio vivamente il saluto!! :)
Hai ragione sul non essere legata alle vendite, anche se vedo capacità comunicativa e potenziale sociale come variabili esterne al valore intrinseco di un'opera. E le variabili sono: come viene promossa l'opera, a quale target arriva (rispetto a quello a cui sarebbe dovuta arrivare), da quale percentuale del target a cui arriva l'opera viene presa seriamente in considerazione, fino poi ad arrivare al gusto dell'ascoltatore. A me sto disco mi trasmette un messaggio, a te no.. da qua non ne usciamo più.. a parte tutte ste pippe, rendiamoci conto che tutto ciò non può discriminare la qualità e il lavoro svolto di un'opera. Ci sono dischi che si sente da lontano che sono stati fatti in cinque minuti, e ci sono dischi che li fai in cinque anni. E bisogna anche vedere come sono stati fatti! Lo sforzo gestativo è chiaramente diverso. Infine mi sovverrebbe dire, il fatto che voi tutti dubitiate di quanto i DDL possano essere stati effettivamente seguiti dalla produzione non può che essere un punto a loro favore, visti i discreti risultati.

JJ JOHN ha detto...

Caro Analoguesound, oggi sono di corsa e non posso dedicarti il tempo che meriterebbe tutta la parte analitica della tua.
C'è cmq un po' di confusione tra le categorie.
-
Sui DDL io in fondo non ho un parere positivo o negativo. Credo di essere stato onesto riportando tutte le testimonianze possibili (che ho faticato anche parecchio a trovare).
Proveremo a riascoltare il disco tenendo conto delle tue osservazioni. Non escludo che mi sia sfuggito qualcosa.
Anzi, a dire il vero devo riscrivere molte vecchie schede di questo sito. Non sembra ma in quasi tre anni lo stile si evolve. Anche grazie a voi.
A presto.
JJ

JJ JOHN ha detto...

Analoguesound, cerco di chiarire ancora meglio le variabili e poi di risponderti.

Conflittualità: “capacità di comunicare obiettivi, idee, sensazioni e/o programmi, coinvolgendo una significativa massa di attori sociali in una sola dinamica”.

Trasgressione: “capacità di rompere i limiti del proprio sistema di riferimento e di destabilizzarne le dinamiche innestandovi elementi innovativi.


“Trasgressione” e “Conflittualità” non sono dunque coordinate esterne al “valore intrinseco” di un’opera, ma delle sue componenti fondamentali. La sommatoria della loro incidenza su un sistema (nel nostro caso quello musicale) ne determinerà la categoria e il valore.
Marketing, tempistica, tecnica, tecnologia, promozione e outing fanno invece parte di ciò che gli analisti chiamano “modi di produzione”. Non tangono il valore dell’opera ma la identificano strutturalmente e influiranno sul suo percorso a produzione finita.
In questo senso, è possibile associare la parte finale di un “modo di produzione” con la “Conflittualità”, ma solo tecnicamente e non a livello intenzionale.

Analoguesound ha detto...

Sulla trasgressione sono con te. Mi sembra che però sia facile generalizzare sulla conflittualità, in quanto non si può vedere gli attori sociali come pedine tutte uguali ai quali il messaggio arriva indistintamente nello stesso modo, ognuno ha le sue esigenze e i suoi gusti.. mi sembra un po' improbabile coinvolgere una massa in una sola dinamica, John. Un disco, inoltre, non è mai composto di un solo ed inscindibile strato, a meno che non sia un disco il cui valore decade entro un solo ed unico ascolto e si realizzi nell'affermazione "l'ho ascoltato tutto dall'inizio alla fine". Una volta constatata la multistratificazione dell'opera, vai a vedere qual'è lo strato che arriva per primo se arriva, e in quante dinamiche arriva. Se oggi gli arriva questo strato, se domani gli arriva quell'altro strato, e se domani che arriva quell'altro strato non è già cambiata l'opinione sul primo. Le sinapsi cerebrali mutano continuamente, e quello che oggi ti sembrava validissimo domani lo troverai ridicolo. Mi sembra un ragionamento troppo complesso, dal quale io francamente esenterei il giudizio di validità di un'opera, concentrandomi invece sul numero di strati culturali in essa disposti, per esempio. Anche alla luce del fatto che non esiste un solo modo giusto per comunicare obiettivi, dipende dalla sensibilità di chi li comunica, oltre che del sistema sociale a cui è indirizzato il messaggio.

JJ JOHN ha detto...

In effetti meglio sarebbe dire:
"in una o più dinamiche collettive"

Sul discorso successivo della "multistratificazione" devo ragionarci su, ma in questi giorni sarò davvero incasinatissimo.

Cmq, se sei d'accordo, sposterei questo discorso sul post "un metro di giudizio", pechè mi sembra più attinente. Sappimi dire.

Scusami se ritarderò nella risposta, ma ho veramente un diavolo per capello. Grazie JJ

JJ JOHN ha detto...

Non si tratta di generalizzare, ma di comprendere che si sta parlando di un concetto complesso con molte implicazioni .
La conflittualità è, abbiamo detto, è la capacità di attivare le masse (i cui attori hanno certamente differenti soggettività) in una o più dinamiche collettive: dal comprare lo stesso disco a far parte di uno stesso movimento politico ecc…
L’analisi però va compiuta rispettando una soglia storica per cui, se un opera si è protratta con differenti riscontri nel corso di altri periodi, la valutazione originale non cambia.
Un costante e prolungato livello di attenzione significa comunque che siamo in presenza di un lavoro che era già conflittuale in partenza.
Come hai capito anche tu, non esiste un solo modo di comunicare, ma è possibile stabilire un rapporto tra la sensibilità di chi comunica, e il sistema sociale a cui perviene il messaggio.

valerio ha detto...

de de lind, alphataurus, semiramis, museo rosenbach, metamorfosi e balletto di bronzo... i più grandi gruppi sottovalutati della storia. eppure hanno sfornato tutti dei veri gioielli.

Anonimo ha detto...

Questo disco è davvero delizioso.
Mi piacciono molto le atmosfere fiabesche e "mediterranee" che il gruppo riesce ad emanare,inoltre i testi mi sembrano molto suggestivi.
Particolare la voce di Vito Paradiso,che sicuramente dona quel qualcosa in più al disco(già di per sè di ottimo livello).
Tra i brani migliori :Indietro nel tempo,paura del niente,fuga e morte,cimitero di guerra,e la conclusiva E poi.
Un gruppo comunque dotato di uno stile abbastanza personale,cosa importantissima per me.

Denis

Unknown ha detto...

Diciamo tra i primi dieci in assoluto del Prog Italia, anche se ai primi ascolti non entusiasma piùdi tanto.
Peccato abbiano realizzato solo questo disco, o qualcuno mi dice dove trovare altro materiale?

marco ha detto...

Di postumo credo che non circoli nulla

fmasta56 ha detto...

Di primo acchito mi ha lasciato alquanto perplesso, sopratutto per i testi un po' troppo ingenui...ma poi, ascoltandolo e riascoltandolo, non posso dirne che bene (parlo naturalmente del CD, che credo rimasterizzato perchè si sente da Dio...!!!). Sicuramente il disco peccava un po' nell'originalità, ma la sostanza c'era, peccato non averli potuto risentire con altri lavori, che sarebbero senz'altro stati più maturi. In certi pezzi ricordano i NEW TROLLS prima generazione (sopratutto con gli assoli di flauto). Posso però dire che mi sono piaciuti più dei GARYBALDI anche se non li conoscevo affatto...

JJ John ha detto...

Beh, caro fmasta56 hai comunque buon gusto: questo album è stato uno dei pochi a meritarsi cinque stelle su cinque dall'accoppiata Gaboli - Ottone nel libro "Progressive italiano" della Giunti Editore.

Però,la sola "Marta Helmuth" dei Garybaldi vale per me tutto questo album messo insieme.

ugo ha detto...

ottimo disco riesce col suo dark-prog(più concettuale che al livello musicale!)a portarti in un mondo fiabesco dove il finale della fiaba è la morte.ciao JJ da UGO

J.J. JOHN ha detto...

Ciao mitico UGO!

UGO ha detto...

e mentre nell'intrigo di una foresta antica il sole si insinuava e un raggio mi baciava mi colse il grigio piombo di un uomo senza volto cercai di dare un grido.....aaaaaaaaaaaaaaaaa....ma ormai ero già morto!

ugo ha detto...

questo disco lo comprai assieme al disco dei jumbo dna e a quello del balletto ys li ascoltai tutti e tre di getto!
quello del balletto lo trovai stupefacente ma di difficvile assimilazione quello dei jumbo bellissimo ma un po pesante e allora con questo ebbi modo di sognare un pò.oggi,a distanza di tempo,li adoro tutti e tre però,pur essendo bello,non ha certo lo spessore degli altri due ma lo inserisco comunque fra i miei 12 dischi preferiti del prog assieme ai dischi di B.M.S. PF.M. E ORME giusto per citare i tre fondamentali.ciao ugo
n.b. john è vero che la prima edizione in vinile di questo disco era in rilievo e che ci si poteva disegnarci dentro?onestamente non so dove abbia letto sta cosa o se è una cavolata a te sciogliere il dilemma!

Unknown ha detto...

Ma non è che i De De Lind non ebbero alcuna risonanza, nè che tutti ne parlassero male. Ricordo benissimo (anche se sono passati 45 anni ed è solo un ricordo, ma sono certo di non sbagliarmi) quando Ciao 2001 dedicò un articolo al gruppo dal seguente titolo a grandi lettere, davvero curioso: "De De Lind, ma non tartagliano!".
Ero solo un ragazzino di 13 anni, ma sbavavo a sfogliare le pagine del mitico settimanale Ciao 2001. E quel titolo, come tante altre cose (chi ricorda le discografie dettagliate ogni volta di un artista diverso, nelle prime pagine della rivista?), è rimasto indelebile nella mia memoria.

Paolo

Anonimo ha detto...

Lavoro discreto con un titolo troppo lungo e una copertina che non ho mai apprezzato più di tanto

Michele D'Alvano

Anonimo ha detto...

Carini ma non imprescindibili i dischi di Vito Paradiso da solista, Noi belli noi brutti del 1978 e Per lasciare una traccia del 1980

Michele D'Alvano

Anonimo ha detto...

In definitiva, disco piacevole e ben suonato, anche se non esaltante .

Paura del niente, pervaso da un'atmosfera sottilmente inquietante, è il mio brano preferito di questo lavoro

Michele D'Alvano

ugo ha detto...

fra i dischi piu belli del prog italiano mentre la produzione solista di vito paradiso è piuttosto deludente e mi trovo d'accordo con michele