Chi ha rotto il salvadanaio?
SERIE: STORIA DEL PROGRESSIVO ITALIANO
Se c'è una domanda che spesso si pongono i cultori del Prog, è questa:
"quando e perché è finito il Pop Italiano"?
In molti attribuiscono il suo tramonto all'avvento del Punk, al cantautorato, all'esplosione della disco-music, o ancora, al naturale disinteresse per un genere musicale che ormai aveva alle sue spalle oltre un lustro di visibilità. Non poco per un movimento artistico moderno.
Ora: non voglio remare contro chi sostiene teorie del genere perché in fondo sono in parte vere.
In questo caso però, quelle che vengono ritenute "cause", in realtà furono solo gli "effetti ultimi" di una serie di eventi ben più influenti e radicati nella politica e nella società di fine anni '70.
Andiamo con ordine stabilendo una data: il Prog Italiano cessa di esistere martedì 29 giugno 1976, ultimo giorno della sesta festa del Proletariato Giovanile al Parco Lambro di Milano.
Il movimento della Controcultura è finito: smembrato dalle troppe contraddizioni intestine e vinto dall'incapacità di comporsi organicamente in un programma comune a tutte le sue varie soggettività.
Verranno di colpo meno "l'ideologia della festa", i grandi raduni collettivi a base di musica e dibattiti, e soprattutto, l'enorme appoggio che sino ad allora il "Movimento" aveva dato a tutta la musica più conflittuale: Progressive in particolare.
I giovani nati nei ghetti urbani costruiti negli anni '50, hanno ora vent'anni e non si accontentano più dei "pow-wow" collettivi o di "sognare il futuro". Lo vogliono subito!
Il linguaggio "della festa e del Prog" non sono più adatti alle loro esigenze e la soluzione sta nella militanza e nell'azione. Al limite, nella negazione di ogni ideale o nel ricorso all'utopia regressiva e all'autogestione.
La territorialità e l'immediatezza prendono insomma il posto della progettualità e della coscienza collettiva.
Che questo non piaccia alle leve del potere è ben chiaro: difatti, in capo a pochi anni le città verranno invase da "quintali di eroina per minare una generazione" (cfr: Finardi) e le nuove rivendicazioni surclasseranno di gran lunga le ingenue celebrazioni della "Dolcissima maria".
Su un secondo fronte, è invece già aperta da qualche anno la lotta per l'accaparramento degli spazi in cui fare musica, nel momento in cui le leve del capitale si conquisteranno a suon di milioni i "palazzetti", le "feste partitiche", gli stadi e qualunque metro quadro in cui smerciare decibel.
La selettività del commercio che prevede sempre meno "cultura" e sempre più "danaro", da un lato addomesticherà qualunque realtà locale alle regole del mainstream e dall'altro, condannerà i gruppi meno allineati ad ambiti di nicchia.
In altre parole, non furono il Punk o la Disco ad affossare il Progressive (nel senso che non vi fu realmente una diretta concorrenza tra questi tre generi), ma semmai un cambiamento epocale nella politica, nella società e nel modo di comunicare le sensazioni attraverso la musica.
Al limite, ciò che "ruppe davvero il salvadanaio" fu il consolidarsi del linguaggio cantautorale.
Si perché, oltre che musicale, sappiamo tutti che la potenza del Prog fu sostanzialmente semantica ed evocativa, ma in un contesto di crisi ideologica come quello iniziato nel 1974, era naturale che i termini "fiaba", "evocazione" e "narrazione" dovessero gradualmente essere sostituiti da concetti quali "interazione", "indicazione", "sovversione", "partecipazione diretta".
Bennato, Finardi e Manfredi furono solo tra i più noti cantautori di un rinnovato stile musicale che, pur se debitore al Prog, ne aveva limato ogni orpello a vantaggio di una comunicatività più propositiva e a tratti, quasi unidirezionale.
Il "racconto socio-metropolitano" di Finardi, la "cronaca poetica" di Manfredi, la "fiaba allegorica" di Camerini, l'inspessimento sociale della poetica di Guccini, si sostituivano piano piano a una generazione sospesa tra sogno ed azione, provocandone le istintualità più concrete.
Si aggiunga anche la rabbia per il dissolversi di un sogno politico (il PCI non riuscì a scavalcare la Democrazia Cristiana che, travolta dagli scandali avrebbe lasciato di lì a poco lo scettro ai socialisti di Craxi. Di male in peggio quindi.) ed è presto detta la ragione per cui terminò l'iperuranica stagione del Prog nazionale.
In ogni caso, il fatto che oggi il Progressive sia tornato, è segno che esso rappresenta realmente una "zona artistica temporanea" (rif: Hakim Bey) che avrà ancora molti corsi e ricorsi.
Personalmente mi auguro che tutta la partecipazione che oggi gli ruota intorno, rappresenti concretamente un nuovo stimolo al cambiamento e, perché no, alla rivoluzione.
In musica, ma soprattutto in politica.

















