Prog italiano anni '70 e politica. Un'analisi.
Progressivo italiano e politica.
Spesso mi è stato chiesto quali relazioni vi fossero tra queste due entità ed io ho sempre asserito che vi fosse un rapporto diadico, ma a dire il vero non ho mai raccolto molti consensi.
Per esempio una mia allieva che stavo preparando alla laurea si sentì ribattere dal suo docente: “il Progressivo italiano non era affatto politicizzato. Solo gli Area, ma per il resto era solo uno stile musicale.”
Fortuna volle che riuscimmo a portare sufficiente documentazione per avallare la tesi ”politica”, ma non fu affatto facile.
Da un certo punto di vista il docente aveva ragione perchè, in effetti, non tutto il prog era politicizzato, anzi: molti musicisti erano addirittura disinteressati a ciò che gli accadeva intorno.
E’ innegabile però che tra politica e prog una certa biunivocità ci fosse davvero e che forse, il docente non conoscesse abbastanza bene quella parte di storia.
Una delle prime prove che portammo per suffragare il nostro punto di vista fu quella della “relazionalità” della musica pop italiana rispetto ai movimenti creativi.
Se andiamo ad esaminare i diversi momenti delle subculture del periodo infatti, noteremo come le musiche prodotte non solo fossero perfettamente coerenti alle ideologie e alle pratiche rivoluzionarie del momento (oniricità nell’Underground, consapevolezza durante la Controcultura, disincanto e ironia nel Movimento 77 ecc.), ma si evolvessero plasmandosi agli sviluppi del movimento.
In questo senso ad esempio, la lettura dei primi quattro album del Banco del Mutuo soccorso, o l’intera discografia degli Area equivalgono a dei libri di storia contemporanea.
Un'altra teoria fu quella relativa all’accettazione o meno di determinate formazioni da parte dei militanti che da un lato, è vero, fece emergere uno spirito critico sin troppo radicale, ma dall’altro certificava che la soglia d’attenzione politica e artistica nei confronti della musica era effettivamente molto alta.
Questo al punto che – e qui siamo nel campo dell'’”Identificazione” – la musica prog italiana venne quasi sempre veicolata da iniziative movimentiste e indipendenti: ciclostilati undeground, festival pop autogestiti, e radio libere democratiche. Molto raramente dalla Rai e comunque spesso in modo marginale.
In altre parole, che i gruppi fossero politicamente consapevoli o no, molta della musica pop italiana non sarebbe esistita senza i movimenti, in quanto la loro composizione non consisteva solo in semplici spettatori o potenziali acquirenti di dischi, ma in soggetti sociali attivi sia nel ruolo di ascoltatori che di critici, spesso materialisticamente severissimi rispetto a quanto gli veniva proposto.
Si pensi ad esempio solo a come venivano diversamente giudicati gli Alluminogeni, le Orme, gli Area o i Dedalus: differenze sostanziali che oltrepassavano largamente l’aspetto musicale o tecnico per trovare in quei prodotti un’identificazione ideologica se non addirittura una propositività politica.
Se non necessariamente “militante” dunque, il pop italiano ebbe comunque un legame indissolubile con le realtà sociali e in questo senso non si dimentichi chenegli anni 70, “il personale era comunque politico”.
Ultima osservazione: al di là della militanza, quasi tutti i gruppi prog entrarono in simbiosi col proprio tempo storico e sociale, poichè, come abbiamo detto poc'anzi, era sostanzialmente impossibile sfuggirvi.
A parte gli Area che furono una delle punte di diamante del movimento o artisti militanti tout-court come il Canzoniere del Lazio e i primi cantautori movimentisti come Della Mea o la Marini, come non ritenere “politica” la prima parte di Palepoli degli Osanna che trattò dei problemi di una città complessa come Napoli?
Allo stesso modo un acclarato fondo sociale ebbero anche “Frontiera” dei Procession sul tema dell’immigrazione, “Pollution” di Battiato sull’inquinamento, i dischi dei Jumbo che racccontavano crude storie di emarginazione, l’antiabortismo delle Orme, i drammi del sud in “Napoli Centrale” piuttosto che la dura condizione del lavoro in fabbrica descritta da Francesco Currà.
Certo, il panorama prog incluse per la maggior parte anche musicisti che certe questioni le affrontarono solo in maniera traslata, ma almeno l’80% di essi appoggiarono la loro attività dal vivo su entità non allineate e comunque anche i sogni facevano parte di una visuale – se vogliamo – politica.
3 commenti :
Concordo pienamente con te, John! Anche se non sottovaluterei l'apporto dato dalla RAI a quella che all'epoca veniva definita "controcultura" (sono uno studioso dei programmi della televisione di Stato e t'assicuro che spazi ne venivano offerti).
Ps: è fantastico scrivere queste note mentre nelle orecchie si hanno le note del 6° Zecchino d'Oro...
Certo è che la RAI non dedicò mai una puntata di fine anno agli Alluminogeni come fece Tele Capodistria e nemmeno diede ai gruppi prog italiani lo spazio che invece fu loro riservato da Tele Montecarlo o dalla TV Svizzera Italiana.
Correggimi se sbaglio.
Su You Tube c'è un filmato dei Raminghi a TV Capodistria!
Posta un commento