Cervello: Melos (1973)

cervello melosStrettamente imparentato con gli Osanna per collocazione geografica e per la presenza di Corrado Rustici, fratello di Danilo, il quintetto dei Cervello nasce a Napoli verso la fine del 1972. 
 
Appena costituita, la neonata band si mette subito in evidenza in almeno quattro Festival Pop di una certa rilevanza: Palermo Pop, Nettuno Pop, Mestre e soprattutto al 3° Festival d'Avanguardia e Nuove Tendenze organizzato nella loro città natale. Qui, vengono presentati dagli stessi Osanna ed ottengono un ottimo riscontro di pubblico e critica. 

Anche se il paragone tra i due gruppi "compari" è quasi automatico, il Cervello riesce rapidamente a ritagliarsi una propria dimensione sonora raffinata ed originale che lo porta a firmare un contratto con la Dischi Ricordi.
Il risultato è un solo disco, "Melos", che pur non essendo quantitativamente molto per un gruppo così valido, rimane uno degli albums più sofisticati di tutto il Progressive Italiano (a partire dalla copertina in cui la scatola di pomodori si apre scoprendo la foto plastificata del gruppo).


In "Melos" si fondono in grande armonia e con grande perizia tecnica e compositiva, linee armoniche mediterranee, etniche, classiche, Prog, Rock e Jazz Rock e, malgrado il gran numero di stili a cui il gruppo fa riferimento, il risultato finale è straordinariamente omogeneo ed ognuno dei sette brani non ha cali di tono al punto di restituire un lavoro fluido e scorrevole.
 
Il sound, essenzialmente basato su voce, fiati, chitarre, cori e percussioni, sorprende sia per potenza ed incisività, sia per la sua pienezza timbrica che, detto per inciso, non si avvalse quasi mai dell'uso di tastiere: cosa davvero anomala per un gruppo dei primi anni '70.
E' avvincente dunque pensare che tutta la massa sonora che si ascolta, è il frutto di sole armonizzazioni tra voci e strumenti acustici con il solo ausilio della chitarra elettrica di Rustici: un capolavoro di arrangiamento, quindi.


cervello melos 02I tappeti sono affidati ai soli intrecci tra fiati (tutti e cinque i musicisti suonano il flauto) ed alle complesse alchimie vocali che, a poco a poco, diventano il leit-motiv dell'album.
Musicalmente "Melos" è severo e piuttosto esistenzialista. Non ha quasi traccia di quella giocosità napoletana che a volte emergeva negli Osanna: ogni nota è ponderata fino al dettaglio e perfettamente funzionale alla struttura del brano, la magnifica voce di Gianluigi di Franco (che richiama molto quella di Gianfranco Gaza dei Procession) si innesta con grande equilibrio nella composizione e, ancora più eccellente, è il lavoro di Corrado Rustici,ben palleggiato tra l'elettrico e l'acustico.

La fase dell'ascolto si apre con un autorevole biglietto da visita ("Canto del Capro") in cui il gruppo traccia tutte le linee guida del lavoro. Dopo un'introduzione eterea e sognante, si succedono citazioni vocali mutuate dalla tradizione greca (da cui il titolo dell'album), un complesso corale in tempi dispari e una lunga parentesi acustica che si elettrifica progressivamente sino alla fine del brano.


cervello melos 03L'uso della strumentazione e della ritmica, crescono poco a poco sino a completarsi definendo tutto il resto dell'Ellepì. Non mancano né gli stacchi acustici né i breaks corali ad impreziosire un lavoro già di per se straordinario.
Tra una sorpresa armonica e l'altra, il disco scivola senza incertezze fino al suo brano più completo, "Melos" in cui voce e vibrafono introducono cinque minuti grande intensità musicale.
Davvero difficile non rimanerne colpiti.

Trovare dei difetti in un album simile non è semplice: forse il finale un po' sospeso che non chiude perfettamente il lavoro, forse una certa ripetitività timbrica, forse l'eccessiva acusticità…

 
Sta di fatto che, tirate le somme, "Melos" non ebbe l'impatto conflittuale che avrebbe meritato ed il Cervello subì una durissima battuta d'arresto che ne causò lo scioglimento: Rustici raggiunse il fratello negli Osanna per poi unirsi ai Nova e Di Franco cominciò un lungo sodalizio con Toni Esposito.
Resta ai posteri un disco favoloso, gentile, sofisticato ed a mio parere, imprescindibile per qualunque amante del pop Italiano degli anni '70.

Skiantos: Karabignere Blues / Io sono un autonomo (1978, 45 giri)

Io sono un Autonomo
OVVERO: COME CAMBIO' LA MUSICA ITALIANA DOPO IL ROCK PROGRESSIVO

Come abbiamo ampiamente spiegato nello special sul Parco Lambro, nel 1976 finì un’era e se ne aprì un’altra. In poche parole: si passò dalla Controcultura al Movimento del 77.

Politicamente esaurirono la loro spinta propulsiva Gruppi e Movimenti per far posto prima ai Circoli del Proletariato e poi ai Centri Sociali, mentre musicalmente si chiuse l’epoca del Rock Progressivo e del grande Pop monumentale, sostituiti da una musica più coerente alla filosofia del del “personale è politico” e del “vogliamo tutto e subito. Un'onda nuova quindi, diversamente comunicativa rispetto al passato, ma soprattutto ironica e iconoclasta; senza un apparente senso compiuto e dunque in netta opposizione ai linguaggi dei primi anni Settanta e alle successive toruosità cantautorali. Quasi una sorta di sfogo insomma, contro anni di onanismi dialettici e musicali che spesso trascese nella demenza pura

Ed è in questo contesto che si inserì il collettivo bolognese degli Skiantos, formatosi nel 1975, guidato dal frontman Roberto Antoni detto “Freak”, laureato al Dams con una tesi sui Beatles, e i cui soprannomi degli altri musicisti ne palesavano già chiaramente le intenzioni dissacratorie: Jimmy Bellafronte, Sbarbo, Tormento Pestoduro, Lo Grezzo, Dandy Bestia, Frankie Grossolani, Andy Bellombrosa
Intorno a loro, una Bologna effervescente in cui, forse più che in ogni altra città Italiana, quel “Movimento del 77” nato poco prima con l’occupazione della Sapienza di Roma, si tradusse in pratiche creative

Di fatto, anche dal look dei loro primi concerti si capiva che questi non-musicisti (tutti molto orgogliosi di non saper suonare), volevano contrapporsi ai loro predecessori: per esempio dagli abiti assurdi, dagli scolapasta usati come copricapo, oppure da quei vestiti elegantissimi che poi il pubblico però poteva sporcare con lancio di oggetti vari

Roberto Freak Antoni
Un modo di atteggiarsi quindi che ribaltava decenni di rapporto con le masse, là dove un tempo gli spettatori se ne stavano attenti e compiti a ascoltare gli idoli di turno (vedasi il primo concerto dei Genesis al Piper di Roma), mentre ora interagivano anche verbalmente e fisicamente con i musicisti sul modello del Punk inglese. Ciò sfidando anche gli stessi Autonomi che se in altri frangenti davano fastidio a chi si esibiva, in questo caso erano quasi invitati a farlo. Ma non è tutto. 

Questa rivoluzione a 360° del sottobosco italiano investì anche i modi di produzione musicale. Ovvero, se prima si proponevano le demo alle case discografiche nella speranza di ottenere un contratto che sfociasse in un 33 giri a larga distribuzione, ora quegli stessi demotape entravano direttamente in commercio tramite media autogestiti a diffusione autonoma e capillare: senza filtri e ingerenze da parte di produttori esterni per arrivare direttamente “dal produttore al consumatore”. 

Skiantos
E questo fu in effetti il modo in cui gli Skiantos incisero e distribuirono il loro primo lavoro “Inascoltable” attraverso la Harpo’s Kazaar di Bologna: una cassetta di dodici pezzi inventati al momento, registrata in una sola notte, dall’audio pessimo, ma talmente sconcertante da attirare le attenzioni di tutto il nuovo Movimento e, qualche chilometro più a nord, di Gianni Gassi che li volle in Cramps per il loro primo 45 giri “Karabigniere Blues / Io sono un autonomo” del 1978. 

Il singolo viene registrato negli studi Sciascia di Rozzano (MI), curato e missato dal fonico Allen Goldberg, e pubblicato nella primavera del 78 entrando immediatamente nei circuiti alternativi per il suo evidente spirito satirico

Nel primo lato si sfotte un non meglio identificato carabiniere innamorato della propria pistola d’ordinanza e intento a fare di tutto fuori che di occuparsi della sicurezza dei cittadini: “ mi metto la divisa e vado a Pisa, ma non senza la pistola. Poi mi godo la Luisa, vado a far la spesa. E quando arriva la pensione, mi rilasso con passione. E finita la tensione di sparare col cannone”. 
Il lato cadetto invece è un sin troppo impietoso ritratto dell’Autonomia che “non va all’ippodromo ma sfascia il velodromo, che ama il vomito e forse ha preso la scabbia a furia di sentirsi in gabbia”. 

Testi inconcepibili fino ad appena due anni prima, e che fecero effetto non solo sul pubblico controcorrente, ma anche sugli stessi Autonomi, molti dei quali non ne afferrarono i doppi sensi tacciandoli di qualunquismo e ritendoli financo destrorsi. 
Ma, al di là dei giudizi, una cosa era evidente: gli Skiantos come i CCCP, i Gaznevada, il Great Complotto di Pordenone, e il trash punk milanese furono tra i primi ed inequivocabili segnali di un cambiamento senza ritorno nella musica rock italiana.

 Degni quindi di una menzione importante, che piacessero o no.

Toni Esposito: Rosso Napoletano (1975)

rosso napoletano
UN RAFFINATO INTERPRETE DEL CAMBIAMENTO...

Antonio “Toni” Esposito, nato a Napoli il 15 luglio del 1950, è stato insieme al compianto Karl Potter (di appena un giorno più giovane di lui) uno dei percussionisti che ha maggiormente caratterizzato la scena musicale degli anni Settanta. 

Dal talento innato, sin da adolescente affiancò la sua passione per la pittura sviluppata all’Accademia d’Arte a quella per le percussioni utilizzando qualunque oggetto gli capitasse a tiro: padelle per friarelli, pentole, fustini, lamiere, scatole, blocchi di legno e quant’altro.  

Eclettico e policromo, si inserì nella scena napoletana sin dai tempi dei Volti di Pietra e dei Battitori Selvaggi, frequentò la "casa-comune" che il musicista Shawn Philips aveva acquistato a Positano nel 1967, e lì conobbe stelle di prima grandezza quali il tastierista Paul Buckmaster già stretto collaboratore di Elton John
Nel 1974 arrivò poi il suo primo contratto discografico con la Numero Uno di Lucio Battisti per la quale avrebbe pubblicato tre album: Rosso Napoletano (1975), Processione sul Mare (1976) e Gente Distratta (1977) che gli varrà il Premio della Critica Italiana per la Musica

Di Toni, si dice facesse parte del cosiddetto Napoli Power, un’etichetta coniata dal giornalista e produttore Renato Marengo per identificare quella nuova ondata di musicisti napoletani invaghiti di Jazz e Rock, ma la cui appartenenza territoriale estranea ai centri del potere discografico milanese e romano si trasformava spesso in orgoglio sociale e politico: Showmen, Osanna, Balletto di Bronzo, NCCP e Napoli Centrale

Toni Esposito
In realtà, sin dal suo primo lavoro Rosso Napoletano Toni Esposito preferì mettere da parte la militanza geografica per restituire nel modo più efficace possibile lo spirito della sua terra e della sua gente attraverso affreschi più intimi, eleganti, soffusi e ben lontani dall’aggressività dei colleghi.

Così,  per immortalare quel sound che qualche fantasioso critico aveva nel frattempo ribattezzato “West Costiera”, si circondò dei musicisti più sopraffini allora sulla piazza: il bassista-chitarrista Gigi De Rienzo, il bassista elettrico Bruno Limone, Robert Fix ai fiati, Mark Harris al piano Fender, Edoardo Bennato nei panni di vocalist nella title track, e lo stesso Paul Buckmaster che fu anche direttore artistico dell’intero album. 

Rosso napoletanoProdotto da Renato Marengo e Laura Giuglietti, e registrato a cura di Michelangelo Romano e Giorgio Loviscek negli Studi Chantalain di Bobby Solo tra il settembre e l’ottobre del 1974, il dico d’esordio di Toni traghettò il meglio di Bitches Brew di Miles Davis e del folklore partenopeo in un nuovo linguaggio tanto mistico e minimale quanto melodico e saporito: niente barocchismi di retaggio progressivo o solismi jazz, nessuna concessione alla durezza del rock, ma una verace contaminazione di sapori solari, atmosfere mediterranee e ritratti di persone tanto semplici e marginali ("Il venditore di elastici") quanto capaci di catalizzare straordinari microcosmi sonori

E se è vero che il biennio 1974-75 fu quello in cui il rock progressivo e le avanguardie si spostarono sempre più decisamente verso la contaminazione e la fusion, si potrebbe tranquillamente affermare che Toni Esposito si collocò perfettamente nel suo tempo storico schivando peraltro ogni sospetto di derivatività. 

Certamente qualcuno potrebbe trovare in Rosso Napoletano alcuni riferimenti ai primi Weather Report là dove i percussionisti Dom Um Romão, Don Alias e Airto Moreira ricamavano trame sopraffine sulle intuizioni di Zawinul e Shorter, ma in realtà nel disco di Esposito accadde l’esatto contrario: là erano le percussioni a dettare legge intervenendo nei brani sino al limite del melodico, mentre la band rifiniva contrappuntando. Un biglietto da visita più che originale che non a caso valse al suo alfiere il  titolo di “Re delle percussioni. Onoreficenza meritatissima che lui riconfermò sempre e ovunque suonasse, incluso a quel tormentato Festival del Parco Lambro del 1976 quando insieme a Don Cherry riuscì a riportare un briciolo di serenità all'interno di una situazione tesa e cupa.
Molti lo conoscono solo per la festosa Kalimba de Luna, ma le sue origini furono molto, ma molto più consapevoli.

Clockwork Oranges: Ready steady (7" - 1966)

clockwork oranges pooh ready steadyIn virtù degli ultimissimi interventi dei lettori, rilancio questa scheda datata 2012. In sostanza: i Clckwork Oranges NON erano i Pooh. Vero? Falso?


 Ancora prima del boom di Internet in cui la notizia venne trattata in ogni genere e modo, il 45 dei Clockwork Oranges (Ready Steady / After Tonight) diventò un casus belli presso tutti i collezionisti del pianeta in quanto sulla copertina dell'edizione tedesca, alcuni riconobbero i cinque componenti dei neonati Pooh che da poco avevano abbandonato il loro vecchio nome "Jaguars".

Nella foto compaiono infatti da inistra a destra: Gilberto Faggioli, Valerio Negrini, Mario Goretti, Mauro Zini Bèrtoli e Robert Gillot.
Costa
abbandonò nel 1964,
Facchinetti arriva nel marzo del 1966 (quindi un mese dopo la prima pubblicazione di questo 45 giri) al posto di Gillot e Fogli sostituirà Faggioli cinque mesi pù tardi. Bertoli se ne andrà nel 1967 e Goretti nel 1968.

In ogni caso, siccome il gruppo non riconoscerà mai la paternità del disco, o comunque resterà a lungo evasivo sul tema, questo vinile è ancora oggi non solo motivo di accesi dibattiti, ma anche un pezzo da collezione ricercato e costoso.

I pezzi presenti sul singolo, sono le versioni in lingua inglese di due brani dell'Equipe 84, entrambi del 1965: "Prima di cominciare" di Antonio Amurri e Armando Sciascia (incluso nel primo album della band e B-Side di "Ora puoi tornare") e "Notte senza fine" di E.Chelotti e G.Russo.

Le traduzioni in inglese sono invece di Ken Howard and Alan Blaikley, già noti per aver lavorato con artisti beat quali Honeycombs, Dave Dee, Dozy, Beaky e Mick & Tich.

ready steady emberI paesi in cui il disco venne pubblicato furono :
- Inghilterra, su etichetta Ember n° S 227 25/02/1966 (foto a sx)
- Usa, Liberty n° F-55 887
- Germania, Columbia n° C 23 226
- Grecia, Melody n° BMG 185
- Australia, W&G n° WG-S-8013

- Sempre su etichetta Ember, le due canzoni comparvero anche sulla compilation "Live at the Pink Flamingo" del 1967, che i Clockwork Oranges" diviseo con i "Paul's Troubles", "Russ Hamilton", "The Washington D.C.'s", "Ray Singer" e "Bobby Johnson & the Atoms": tutti gruppi della scuderia Ember di cui si sa poco, eccetto per l'ultimo, capitanato dal cantante Jamaicano Bobby Johnson il cui gruppo fece da spalla anche a John Mayall, Animals e Ike e Tina Turner.

Ora, senza voler prendere posizione su ciò che solo i Pooh o lo stesso Armando Sciascia potrebbero chiarire, consideriamo le diverse posizioni riguardo all'identità del complesso:

I CLOCKWORK ORANGES SONO I POOH:
- Nel 1966 la discografica Vedette di Armando Sciascia stava perdendo l'Equipe 84 e trovò nei neonati Pooh (ex Jaguars) un valido potenziale sostituto. Come in uso all'epoca, Sciascia fece loro incidere alcuni brani in Inglese e orientati al mercato estero di cui due vennero pubblicati: "Ready Steady" (firmata dallo stesso Sciascia sotto lo pseudonimo di H. Tical) e "After Tonight"
.

- Nella foto foto della copertina tedesca ritrae la primissima formazione dei Pooh.

- Sollecitato nel 1998 dal noto collezionista Italo Gnocchi, Valerio Negrini ha riconosciuto la paternità dell'esecuzione dopo averla riascoltata insieme a Facchinetti e D'Orazio
.

I CLOCKWORK ORANGES NON SONO I POOH:

clockwork oranges greece- Il ricercatore francese Michel Bands sostiene che i Clockwork Oranges esistessero già come formazione autonoma in Inghilterra e comprendessero il cantante - chitarrista Terry Clark (ex Herd: tre quarantacinque giri all'attivo nel 1967), dal bassista Brian Curtis, dal chitarrista Harvey Hinsley e da Mick Underwood alla batteria.
Secondo Michel, sarebbe questo il gruppo ad aver pubblicato il singolo in oggetto e non i Pooh: quindi la copertina tedesca potrebbe trattarsi di un errore, fatto non infrequente negli anni '60.

A sostegno di questa tesi, si consideri la recente scoperta di un'edizione greca che riporta la foto di un gruppo totalmente differente.

- Lo storico Ron Cooper, editore della fanzine Zabadak e amico degli ex-membri dei Clockwork Oranges, ammette che la voce del cantato potrebbe essere quella di Terry Clarke per il suo inconfondibile accento cockney.

Io non prendo posizione e resto aperto a qualunque tesi purché suffragata da certezze storiche e non da leggende.
Negli anni '60, si sa, discograficamente accadeva di tutto: tuttavia ciò non toglie che l'esborso per avere questo disco è assai elevato e quindi sarebbe giusto (anche e soprattutto per correttezza verso i fan dei Pooh), chiarire una volta per tutte questa faccenda.clockwork oranges labela

AGGIORNAMENTO aprile 2012

A FRONTE DEI NUMEROSI COMMENTI E DEI RECENTI SVILUPPI DEL DIBATTITO,
RIASSUMIMAMO QUI LE INFORMAZIONI SINORA DOCUMENTABILI.


1) Per vostra informazione, una testimonianza di Rob Parish del luglio 2011 riporta l'esistenza di un'altra band dal nome Clockwork Oranges. E'un quartetto di Erith (Kent,GB) che incise un singolo non meglio identificato di cui si sta cercando di sapere di più.
Parish conclude poi dicendo che "It's weird that several groups around Europe are all claiming to be the Oranges".
Il che farebbe supporre che vi siano state ulteriori formazioni a condividere lo stesso nome, cosa non improbabile visto l'enorme successo del romanzo di Burgess di quattro anni prima.

Comunque sia, la formazione dei Clockwork Oranges a cui alcuni attribuiscono il singolo in questione era: Terry Clarke (guitar, vocals) - Harvey Hinsley (guitar, from the future "Hot Chocolate" - Brian Curtis (bass) - Mick Underwood (drums).

Altre fonti annoverano nella band anche il cantante-chitarrista Henry Turtle sebbene nel suo libro "The tapestry of delights" - autentica bibbia della psichedelia inglese - lo scrittore Vernon Joynson descriva il gruppo come un quartetto ("A surf-mod four piece").

2) Il fatto che i Clockwork Oranges fossero i Pooh non è affatto acclarato nè a tutt'oggi completamente comprovabile.
Vi sono di fatto testimonianze molto discordi quale quella di Valerio Negrini che ha sostenuto dopo oltre 30 anni che furono i Pooh a suonare nel disco in oggetto, quella di Vittorio Costa (ex Jaguars) e Mauro Bertoli che affermano l'esatto contrario e gli scritti di Michel Bands e dello scrittore Ron Cooper che usano invece la formula dubitativa.

3) Il nostro lettore Gil Fangazio ci riporta un'opinione di "Celestinocamicia" su un forum You Tube secondo il quale la base di "Prima di cominciare" e quella di "Ready Steady" sono identiche. Quindi Ready Steady utilizzarebbe le basi originali dell'Equipe 84 e il coinvolgimento dei Pooh si limiterebbe alle sole voci.
Su questo punto però Ron Cooper sostiene che la voce del cantante potrebbe essere quella dell'ex "Herd" Terry Clarke a causa del suo spiccato accento cockney.
A questo punto, perlomeno per il lato A, non vi sarebbe alcun coinvolgimento dei Pooh così come afferma anche l'ex Jaguars Vittorio Costa.

4) Anche sul brano "After Tonight" Ron Cooper rimarca la stessa somiglianza vocale, ma sempre Gil Fangazio ci fa notare che in questo caso la base musicale è diversa da quella dell'Equipe 84 e che di conseguenza sarebbe stata reincisa.
Da chi? Non si sa.
Potrebbero essere stati i Pooh o i Clockwork Oranges di Terry Clarke, ma su questo punto lo scrittore Michele Neri - deducendo la sua tesi dalla scritta "A Vedette recording" sull'edizione Ember, il che implicherebbe che gli inglesi hanno acquistato sia la base che le voci di entrambe i lati - da quasi per certo che tutto il processo di registrazione venne effettuato in Italia.
Questo non coinvolgerebbe necessariamente i Pooh, ma innalzerebbe di sicuro la possibilità di un loro intervento. Ciò se si esclude la possibilità che i Clockwork Oranges (con o senza Turtle) siano venuti a Milano per intervenire nelle registrazioni.

5) Il ns. lettore Tino, dopo un'analisi del sito di Henry Turtle sostiene che suoi Clockwork Orange (senza la S e futuri "Doves") e i Clockwork Oranges siano la stessa cosa e, sempre secondo secondo il Turtle non pubblicarono mai nulla se non delle demo.
Ciò esclude quindi totalmente un coinvolgimento dei Clockwork Orange di Turtle nel singolo "Ready Steady"

Tuttavia, dicendo che la sua band The Clockwork Orange "non aveva niente a che fare con la band che registrò "Ready Steady" per la Ember nel 1966", presuppone l'esistenza di un'altra band quasi omonima che invece quel disco lo registrò davvero e che, a questo punto, potrebbe essere qualunque, dichiarandosi lo stesso Turtle "ignorante" sulla sua reale identità.
L'unica cosa che Turtle escluderebbe è la presenza nei Clockwork Oranges (coloro che cioè incisero potenzialmente il disco) di Terry Clarke e Mick Underwood, all'epoca impegnati con il loro gruppo gli "Herd" e confluiti nel 1967 con il suo nuovo gruppo "The Doves".

Da queste considerazione si evince che:
A) La formazione a quattro riportata al punto 1 che molti siti ritengono sia quella dei Clockwork Oranges è sbagliata.
B) E' possibile che Turtle non sapesse che i suoi futuri colleghi avessero inciso quel disco un anno prima della formazione dei Doves, cosa che però ritengo improbabile data l'amicizia che li legava.
C) Esisteva un'altra (o altre) band dal nome Clockwork Oranges di cui una potrebbe essere quella citata nel giugno del 2011 da Ron Parish nel sito di Radio London.
6) "Ready Steady" fu scelta dal DJ Mike Lennox come "climber" (= disco in ascesa ma sotto la 40 posizione) della Fab 40 di Radio London nelle trasmissioni del 27/2/1966 e del 6/3/1966.Il disco però non arrivò mai in classifica e nell'emissione del 13/3/66 scomparve del tutto.

7) Ricordo infine due domande del lettore Hydorvox che mi sembrano molto interessanti:

A) "Perché mai i Pooh avrebbero dovuto successivamente accreditarsi due operazioni discografiche come quelle citate, senza peraltro guadagnarci in diritti o proventi discografici, se non vi avessero preso parte quanto meno come musicisti ?"

RISPOSTA A: "Perchè furono effettivamente coinvolti a qualche titolo nella realizzazione del disco" - RISPOSTA B: "Non furono i Pooh ad accreditarsi spontaneamente la partecipazione al progetto, o almeno non subito. Lo fecero solo 32 anni dopo su richiesta di Italo Gnocchi (all'epoca boss della On sale Music) che chiese ragguagli a Negrini. Prima di allora quel singolo era quasi del tutto inosservato. Il che solleverebbe dei dubbi sulle certezze espresse dal Negrini il quale, se lo avesse realizzato veramente, ne sarebbe stato più che certo senza bisogno di interpellare Facchinetti e D'Orazio."

B) "Se è vero come è vero che la formazione di quel tempo suonò e incise i brani “Ready Steady” e “After Tonight(ma anche “Ero l’attendente del Kaiser”), di chi è la voce del cantato ?"


ULTERIORE MATERIALE SUI POOH - LP: "Contrasto" (1968) - LP: "Parsifal" (1973)