Il movimento del '77 - parte prima (premessa)
SERIE: STORIA DEL PROG ITALIANO
Questo articolo sul “movimento del ‘77” completa le schede sulla più grande ondata politica, creativa ed esistenziale che abbia attraversato l’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi. Quella che, tra tanti altri avvenimenti, vide come protagonista musicale anche il Prog italiano.Siamo partiti dal lontano 1966 con la nascita del Beat, abbiamo attraversato la grande rivoluzione esistenziale del ’68 che anticipò di qualche anno l’avvento dell’ Underground e ci siamo soffermati sui motivi che portarono quest’ultimo a sfociare nella grande stagione Controculturale.
Infine, siamo arrivati nei dintorni del ’76, quando nuovi soggetti politici quali donne, Circoli e Autonomia, minarono alla base l’essenza stessa del movimento trasformandolo in una nuova macchina rivendicativa, questa volta drammaticamente più complessa.
Ma andiamo con ordine facendo un (ri)passo indietro.
BEAT (1966 - 1969)
Rivendicazioni di stampo pre-politico a componente studentesca e libertaria e a matrice fondamentalmente esistenziale e antiautoritaria, in cui si prende coscienza che attraverso lotte pratiche e dinamiche informative, è possibile abbattere barriere in piedi da secoli. Per esempio: diritto alla libera espressione, allo studio, alla parità tra sessi e alla libera sessualità da rivendicare con mezzi radicali ma non violenti: pacifismo, anticlericalismo, estensione transnazionale delle informazioni, impegno ecologico, messa in discussione dei valori sociali, familiari educativi e interpersonali, .
La politica antagonista, rappresentata allora dai nascenti gruppi extraparlamentari, è ancora all’esterno del movimento e sta vivendo il suo primo momento di radicalizzazione a seguito della “strage di stato” del ‘69.
UNDERGROUND (1970-1972)
Fase ancora pre-politica in cui si iniziano a tracciare delle possibili linee d’azione che risolvano attraverso il dibattito, alcune tematiche al di fuori del contesto produttivo.
Sintetizzando: “Chi siamo noi al di fuori dell’orario di lavoro?”. “Come e su quali basi teorico-pratiche possiamo valorizzare quel “tempo liberato”?
Per farlo, si rifiutano le linee operaiste più radicali, si supera l’esistenzialismo del Beat e ci si concentra invece sul creare forme di vissuto collettivo.A questo scopo, nascono sia numerosi gruppi spontanei di discussione e di confronto su tematiche personali e collettive, sia un'ampia rete controinformativa imperniata soprattutto sull'editoria (la “galassia Gutenberg”) volta ad ad oltrepassare i limiti di quella istituzionale e di regime.
Sempre in quest’ottica, nasce “l’ideologia della festa” che si concreta nella realizzazione di grandi momenti di ritrovo collettivo/spettacolare tra cui i Festival Pop.
Appartengono a questo periodo pratiche quali meditazione, autocoscienza, fuga dalla città e vita in comune che connotano l’Underground quale movimento sostanzialmente periferico, non-militante e apolitico.
CONTROCULTURA (1973 – 1976)
Due fatti principali provocano la trasformazione dell’Underground in un nuovo antagonismo che questa volta assumerà connotati marcatamente politici, ricompattando in un solo corpus le ipotesi creative con quelle militanti: 1) il definitivo distacco delle realtà antagoniste dalle linee guida del PCI in odore di compromesso storico 2) il fallimento delle trattative sindacali all’interno delle lotte di fabbrica che provocano l'irrigidimento della base operaia (vedi: l'occupazione di Fiat Mirafiori del 1973).
Genera inoltre molto scalpore il Golpe cileno visto come un pericoloso segnale di un potenziale e generalizzato rigurgito fascista.
Ne deriva una diffusione capillare delle lotte sociopolitiche sul territorio con particolare attenzione ai centri urbani in cui vengono coinvolte in modo questa volta unitario tutte le forze antagoniste senza esclusione alcuna.Una “centralità della lotta” che porterà ad esempio un quesrtiere come quello del del Ticinese a Milano a diventare la zona a più alta concentrazione di sedi politiche d’Europa.
Da un punto di vista musicale, le avanguardie abbandonano le tematiche esistenzialiste e desideranti dell’underground per passare ad una vera e propria criritca capillare alla società neo-capitalista.
Crisi della Controcultura (1975 – 1976)
Nel 1975, la comparsa di nuovi soggetti politici mette in crisi il modello precedente.
Da un lato si assiste ad una forte ascesa del Femminismo che mina alla base il verticismo terzinternazionalista di molti gruppi politici, dall’altro, entra in scena una larga fetta di giovani nati nelle estreme periferie delle città durante la decentralizzazione urbana degli anni ’50, che ora hanno circa vent’anni e un concetto del tutto nuovo e personale delle pratiche rivendicative e delle istanze sociali: uso del tempo libero, caro-affitti, disoccupazione, droga ecc.
Tuttavia, lo spontaneismo di questi nuovi soggetti sociali poi definiti Autonomia Operaia Organizzata, si scontra in breve tempo col carattere democratico-assembleare dei gruppi e del movimento e l’impossibilità di compattare in un solo kernel programmatico queste nuove tendenze , si manifesterà in tutta la sua drammaticità al Festival del Parco Lambro di Milano del 1976 ponendo fine all’era Controculturale.
In ambito musicale, questa diadicità si stava riflettendo già da tempo sia nella tendenza all’intrnazionalizzazione operata da molte bands, sia nella frammentazione del Prog in altri stili quali fusion, jazz, folk ecc.
Con il definitivo crollo dell’”ideologia della festa” al Lambro 76 finirà anche la stagione del Pop Italiano che lascerà posto a linguaggi estremamente più pragmatici e diretti.
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18 commenti :
JJ, ho un quesito da porti. Da come ho capito la Controcultura fu messa in crisi dal subentrare di una serie di nuove categorie con idee e obiettivi molto complessi e diversi tra loro come le femministe e i giovani delle periferie. Concentrandoci su questi ultimi, credi che il fatto che questi ragazzi provenissero da ambienti piuttosto poveri economicamente e culturalmente abbia influito sulla disgregazione del movimento? E' possibile che questi ragazzi, non essendo istruiti e senza un livello adeguato di autocoscienza, insomma con le idee non molto chiare, e magari anche con il desiderio di raggiungere un tenore di vita economico che i precendenti contestatori (figli in gran parte di borghesi) possedevano già, fossero nemici più facilmente affrontabili e malleabili dal sistema di potere?
No, non c'entra il livello culturale e neppure quello di autocoscienza che era fortissimo in tutt'e due i casi.
Il motivo del conflitto tra questi nuovi soggetti politici con l'operaismo e le creatività storiche (quindi Movimento Operaio e Controcultura), risiedeva nel diverso concetto che essi avevano nel reagire rispetto alle trasformazioni dei modi di produzione e di riproduzione.
Furono insomma due mondi altrettanto consapevoli politicamente, ma che non si incontrarono mai.
Da un lato c'era la "militanza", la "fedeltà al "Partito-guida", la concezione post-bellica di essere la "parte sana della società" e di poter prendere un giorno le redini del potere attraverso la "fedeltà alla linea".
Dall' altro (Femminismo, Circoli del Proletariato, precari ecc) c'era invece una nuova generazione iconoclasta e con un vissuto totalmente differente, che, per esempio, vedeva invece i valori della militanza come un limite a fronte dell'avvento del terziario.
E anche molto di più.
Spiego tutto meglio nella seconda parte di questo post, ma comunque, la crisi del movimento del '77 non fu dovuta alla maggiore o minore vulnerabilità rispetto al padronato di una delle due tendenze, quanto piuttosto alla loro drammatica fragilità nel costituire un programma comune.
Ti ringrazio dell'osservazione molto attenta, e ti rimando alla seconda parte del post.
So che è un argomento davvero delicatissimo per cui, sappimi dire.
Grazie del chiarimento, insomma si ebbe un'ulteriore radicalizzazione, oltre al presentarsi di nuove e variegate istanze.
Aspetto la seconda parte del post con interesse. Essendo nato molto dopo certi avvenimenti , all'epoca degli yuppies, ahimè, e non conoscendone le atmosfere, mi interessa cercare di capire il meglio possibile come stessero le cose nel passato, dato che lo ritengo utile per il presente.
Se posso permettermi una piccola divagazione che non ha a che fare con la musica... ora capisco il perchè di certe discussioni di fuoco tra Gian Maria Volontè e il regista Elio Petri sul set de La Classe Operaia Va In Paradiso. Volontè era comunista nell'anima e non accettava il modo in cui venivano rappresentati i sindacati nel film, ma Petri, nel 1971, aveva visto lungo, anticipando gli scontri politici di almeno un paio d'anni.
Una sola cosa Dovic86. Tieni conto che più che di "radicalizzazione", è meglio considerare le cause del '77 come una "iniezione di nuove conflittualità".
Queste poi si ramificarono in vari modi: dalla lotta armata alla ricomposizione, ma furono processi successivi.
Il film di Petri si riferisce agli anni dell'"operaio-massa" e, a mio avviso, è giocato su un filo più esistenziale che politico.
Tuttavia, al di là di un certo pietismo, oltre che ad essere una perfetta fotografia dell'epoca, anticipa in qualche modo certe tematiche del '77 quali il dibattito tra lavoro indipendente ("a cottimo") e quello salariato.
Quello che personalmente mi è sempre rimasto in testa, è stata la sofferenza di Lulù.
Ricevuto. Hai ragione sull'aspetto più esistenziale che politico, d'altronde Petri aveva già in precedenza dato questa impostazione ai suoi lavori (I Giorni Contati) prendendo spunto credo dal cinema francese e da Antonioni. La famosa alienazione è espressa perfettamente dal dolore di Lulù e forse ancora più simbolicamente dal personaggio del Militina, l'operaio impazzito, interpretato dal grandissimo Salvo Randone. Ma la mia passione cinefila mi sta prendendo la mano... credo che l'esempio si sia capito :) Ciao.
Mi piace ricordare che "La classe operaia va in paradiso" venne presentata in anteprima al Festival del Cinema Libero di Porretta, dove venne contestato violentemente da elementi del movimento di Bologna, che accusarono il regista di aver ridotto a macchiette i "gruppettari", senza per questo piacere al PCI che vi scorgeva il ritratto di un sindacato troppo debole e rinunciatario.
Ricordo bene Elio Petri, amico di famiglia, che se la rideva amaramente giocando a briscola con Volontè.
Naturalmente continuò il suo coerente e originale percorso personale che lo porterà poi a Todo Modo...
Grazie Stfano.
Una cosa però "La classe operaia..." è del '71.
Qual'è invece il film che secondo voi rappresenta meglio il 1977 italiano?
Straordinaria la sequenza:
"Ma la rendita parassitaria è un peccato veniale o mortale?"
"E chi l'ha detto che è un peccato?"
"Alla fede giova più un lavoratore occupato o disoccupato?"
"Dio licenzia una volta per tutte"
Del 77 forse "La stanza del vescovo" di Risi è quello che ricordo con più elettricità.
Poi "Forza Italia" di Faenza.
Una giornata particolare di Scola e poi Un borghese piccolo piccolo di Monicelli... due film tristi e senza speranza...
Parlando della storia dell'Italia si è finiti a parlare di cinema..
"Sa com'è... facciamo tutti del cinema", dicevano Alloisio e Guccini.
... e allora facciamolo anche noi.
e forse da questo dipendono tutti i nostri problemi..
"Forse, che forse, ma si..."
visto che sono in vena di citazioni.
Quello che conta però è la "qualità" delle cose: oggi mi sembra che almeno politicamente si faccia del circo, del cabaret, della macchietta.
Almeno fossimo di fronte a degli attori, ma qui siamo in presenza di maschere tragiche di una politica alla deriva.
Io sono un attore e faccio del cinema per sopravvivere ma non è da me che derivano i problemi: è quando divento spettatore che le cose si complicano.
E allora ben vengano ancora dei Petri, degli Antonioni e dei Monicelli.
non intendo tanto il cinema in quanto cinema ma in quanto realtà come sua rappresentazione.
Lo Stato è rappresentazione e ogni rappresentazione è rappresentazione di Stato come diceva CB..
pensa che per me Volontè è un mito e detto questo credo che sia ancora più importante svincolarsi dal ruolo, di attore o spettatore, di attore/spettatore e spettatore/attore, sfuggire al "perorare", al "riferire la cosa" che è sempre e comunque di stato..
Ah, Ok. Allora "ognuno ha lo Stato che si merita"? JJ
"Sono un deserto che parla ad un altro deserto...e NON PIU'...al deserto dell'altro"
Volonté è stato un out sider del cinema. La sua passione lo portava a condizioni estreme per preparare alla meglio il suo personaggio e il film in generale. Ci sono delle testimonianze incredibili di molti attori e registi che hanno lavorato con lui. Si trovano sul film documentario "Gian Maria Volonté. Un attore contro". Bandito da ogni televisione, perché troppo scomoda è ancora la sua figura. La sua passione la sua militanza il suo scendere in campo in nome dei diritti civili, contro la censura e la morte sociale e civile. Non c'è più una figura simile nel mondo del cinema. E l' oblio è ciò che gli hanno riservato.
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