Circus 2000: Circus 2000 (1970)

circus 2000INTERVIENE NEI COMMENTS: GIANNI BIANCO
(bassista dei Circus 2000)


I torinesi Circus 2000 si formano verso la fine degli anni ‘60 per opera di Marcello Quartarone detto “Spooky", (chitarra, voce), Gianni Bianco (basso) e il batterista Roberto “Johnny” Betti.
Al primo nucleo si unisce poi la ventenne cantante/percussionista Silvana Aliotta che, considerando l’età, aveva già un’invidiabile esperienza sia nel mondo musicale che in quello discografico.

Silvana infatti, non solo cominciò ad esibirsi dal vivo come imitatrice a 9 anni, ma partecipò ancora a numerosi concorsi canori e neppure maggiorenne, già firmava nel 1965 il suo primo contratto discografico con la Odeon a seguito di una brillante esibizione al Festival di Castrocaro.
Seguiranno partecipazioni alla Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia, a “Un disco per l’estate”, una tournée in Grecia e la bellezza di sette quarantacinque giri tra il ’66 e il ’69 di cui alcuni stampati sotto lo pseudonimo di Silvia Grissi.

Assestatisi dunque a quartetto, i neonati “Circus 2000” iniziano a farsi le ossa suonando prevalentemente standards jazz allo “Swing Club” di Torino, dove verranno in breve notati dalla discografica Ri-FI che li porterà in sala d’incisione.
Qui, il gruppo acquisirà uno stile più maturo e personale dando nel contempo vita ai dieci brani del loro primo album omonimo del 1970, considerato a tutti gli effetti uno degli apripista del Pop Italiano.
Ad essere onesti, il sound del quartetto torinese non era proriamente originale, debitore com’era alla West Coast californiana e in particolar modo ai Jefferson Airplane. Tuttavia, occorre anche ammettere che sino a quel periodo, ben pochi artisti erano riusciti a produrre qualcosa che si distaccasse dalla classica melodia italiana superando allo stesso tempo i vecchi stilemi del Beat.

silvana aliotta gianni biancoCi avevano provato con notevole convinzione Le Stelle di Mario Schifano nel 1967, Le Orme di Ad Gloriam e gli Infermieri di Fabio Celi due anni dopo e finalmente, sotto la spinta dei primi movimenti alternativi, la situazione iniziò a sbloccarsi nel 1970 quando Balletto di Bronzo, Gleemen, Formula Tre e soprattutto i Trip diedero alla luce lavori ben più innovativi.
E per inciso, non si dimentichi neppure il coraggioso singolo degli Alluminogeni: "L'alba di Bremit".

In ogni caso, nel 1970 il Prog Italiano vero e proprio era ancora in fasce e, pur con tutta la buona volontà, anche i primi raduni sul modello di Woodstock (es: Caracalla 10/10/1970) erano ancora limitati da fattori regionali e assestati per lo più su uno spirito "post-Acquariano".

I Circus 2000 comunque, a costo di prendrere pesantemente a modello stilemi già collaudati altrove, si ritagliarono in ogni caso una loro dimensione che non passò inosservata.
Il disco ebbe un certo riscontro e già a partire dal suo anno di pubblicazione fu seguito da un primo singolo in cui comparivano due pezzi dal 33 giri, ma questa volta in lingua italiana (“Io la strega” e “Pioggia sottile”).

Tra l’altro, si noti che l’album fu innovativo anche per la sua cover-art (un ritratto stilizzato del gruppo a colori fluorescenti su fondo vellutato nero) che non solo anticipava a suo modo le follie grafiche della decade successiva, ma che si sarebbe valorizzata nel tempo diventando la croce e la delizia di molti collezionisti i quali sarebbero oggi disposti a sborsare almeno 600 euro per una copia mint.

in ogni caso, dal 1971 la band iniziò la sua carriera vera e propria affascinando il pubblico del Viareggio Pop 1971 (dove si presentarono alloggiando in una storica tenda rossa di dimensioni familiari), piazzando in RAI il brano “Regalami un sabato sera” scelto come sigla finale della popolare trasmissione “Teatro 10” e pubblicando un’ulteriore 45 giri in inglese tratto dal primo LP (“I can’t believe”/”I am the witch”).

regalami un sabato sera circus 2000Tornando al lavoro d’esordio, dicevamo che “Circus 2000” si presentò più come un disco americano che non come un prodotto nostrano.
In copertina, la Ri-Fi non aveva menzionato nè i nomi dei componenti, nè tantomeno fornito informazioni aggiuntive e non furono in pochi a credere che i ragazzi fossero davvero californiani.
Tra questi lo scrittore Vernon Johnson che nel suo libro “The Flashback” del 1988 li annovererà addirittura tra i gruppi psichedelici americani.

Il groove dei brani era nel complesso riflessivo, inquieto e sicuramente, non riferibile a nulla di già sentito in Italia: la chitarra a tratti Hendrixiana, il basso cavernoso e una voce talmente giovane e prorompente da ricordare a tratti quella sincopata e saltellante di Mina (“Try to live”).

In un’atmosfera sostanzialmente coerente e ben amalgamata, si incontrano poi trame bucoliche quasi irlandesi in "Sun will shine", diverse cose “freak”, qualche citazione ai Beatles ("Try all day"), fino a che il solco d'uscita non pone fine a questo breve album a mezza via tra gli It's a beautiful day, i Jefferson e i Grateful Dead.

Non certamente memorabile da punto di vista dell’originalità, ma sicuramente interessante per coraggio e novità, “Circus 2000” si pone dunque tra gli apertori di un genere che in capo a due anni sarebbe esploso in tutta la sua coerenza: regalandoci certamente altri cloni, ma anche alcuni tra i momenti più alti della musica italiana contemporanea.


CIRCUS 2000 - Discografia 1970 - 1972:
1970: CIRCUS 2000
1972: AN ESCAPE FROM A BOX

LEGGI L'INTERVISTA ESCLUSIVA A GIANNI BIANCO, BASSISTA DEI Circus 2000

Braen's Machine: Temi ritmici e dinamici (1973)

braen's machine_01Le prime tracce di questo misterioso gruppo da studio risalgono al 1971 quando sugli scaffali di qualche selezionatissimo negozio, comparve il loro primo album dal titolo "Underground", stampato probabilmente in meno di 200 copie e inciso per la micro-etichetta "Liuto" di proprietà del M° Piero Umilani.

Psichedelico, sofisticato e comparabile per qualità ai Blue Phanthom, l'LP palesava una capacità compositiva non comune, contaminando ambienti tipici del Krautrock ("Description", "New experiences") con momenti hard-jazz di grande pregio tecnico ("Fall out", "Obstinacy") e rock classico dei più spinti ("Inphormal").
Il tutto sottolineato da incessanti chitarre distorte che rendevano il sound generale unico e riconoscibile.
Nulla naturalmente di comparabile ai Camel o ai Guru Guru di "Ufo" ma, considerato l'anno ed il luogo di pubblicazione, "Underground" fu un disco davvero straordinario, pur se limitato dalla sua minima conflittualità.
Infelicemente questo gioiellino vendette poco o nulla e il discorso sembrò finire lì.

Invece, due anni dopo, riecco i Braen's Machine in un secondo lavoro dal titolo "Temi ritmici e dinamici" in cui a dispetto del sound primigenio, gli arrangiamenti erano talmente levigati e formali da sembrare più che altro degli spots pubblicitari.
Il nuovo disco interamente strumentale, inanella ben 12 miniature che sviluppano in forma strumentale altrettante sensazioni riconducibili a una gara sportiva: "Movimento", "Competizione", "Allenamento", "Esercizi ginnici", "Gara" e via dicendo.

braen's machine_02L'esecuzione è perfetta ma ilresto è talmente mimimale da far pensare ad un disco dimostrativo o forse destinato al mondo documentaristico o cinematografico.

Come per "Underground" infatti, tutti i brani sono firmati Braen e Gisteri ed è ormai quasi certo che dietro questi pseudonimi si nascondessero lo stesso Piero Umilani (all'epoca quarantasettenne e con all'attivo almeno un centinaio di colonne sonore) e il suo collega Alessandro Alessandroni, anch'egli direttore d'orchestra, compositore e arrangiatore e noto al grande pubblico per aver formato il famoso ensemble corale "I cantori moderni di Alessandroni".

Tra l'altro, lo stesso artista era piuttosto famoso nell'ambito cinematografico per essere un ottimo "fischiatore", al punto che Federico Fellini lo aveva soprannominato appunto, "fischio".
Sue infatti sono le leggendarie parti fischiettate in "Per un pugno di Dollari", "Per qualche dollaro in più" e nel "buono, il brutto e il cattivo" di Morricone.

Comunque, a parte i due Maestri, al momento non ci è dato di sapere quali e quanti musicisti suonassero nei "Braen's Machine". Certo è che all'ascolto risulta chiaramente un insieme formato da batteria, basso, tastiere varie (piano, synth, spinetta ecc) e un flauto.

In "Temi ritmici…", i brani sono tutti brevi (due, tre minuti in media) e in genere molto fluidi, rilassati e largamente intrisi di un formalismo che a tratti è addirittura fastidioso.

braen's machine_03Pur non essendo un disco noioso vista la grande varietà di ambienti proposti, solo poche tracce del lavoro si sottraggono a una complessiva spugnosità generale, restituendo scale e atmosfere soft-jazz di un certo pregio ("Rinuncia", "Esercizi Ginnici" e "Aspetti grotteschi").

Per il resto prevalgono motivetti che pur nella loro simpatia, richiamano senza pietà atmosfere da balere balneari di provincia ("Competizione", "Dilettanti", "Attività all'aperto") o peggio, soluzioni armoniche talmente scontate da rasentare la puerilità ("Dinamica").

In buona sostanza, è davvero sorprendente come lo stesso duo d'autori abbia potuto partorire sotto lo stesso nome due lavori così diversi per struttura e qualità e per giunta, involvendo le loro capacità trasgressive anziché implementarle.

Con ogni probabilità, entrambi i dischi dei Braen's Machine erano stati concepiti come meri esercizi di stile rendendo la loro pubblicazione un fattore quasi secondario.
Il solo "Underground" merita veramente più di un ascolto e solo per quell'album vale la pena occuparsi di questo misterioso gruppo e citarlo con orgoglio negli annali del Pop Italiano.

Garybaldi: Nuda (1972)

Limitandosi all'ascolto del 45 giri "Marta Helmuth", il quartetto genovese dei Garybaldi sarebbe sostanzialmente riconducibile ad una dignitosa copia degli Experience di Jimi Hendrix, col vantaggio di un tastierista in più, che infondeva nel sound un tocco di inedita mediterraneità. 
Fortunatamente, il loro primo lavoro a 33 giri ci riservò altre piacevoli sorprese.

Formalmente "Gleemen" fino al 1971, i quattro musicisti decidono in quell'anno di cambiare rotta passando dal primo beat-psichedelico ad un groove marcatamente più rock, sempre con la stessa formazione e sempre con l'aggressiva chitarra di Pier Nicolò "Bambi" Fossati in primo piano.

garybaldi nudaL'esordio discografico con il nuovo nominativo, è un geniale e selvaggio 45 giri, "Marta Helmuth", in cui si delineano chiaramente le linee del nuovo corso: rock impetuoso e compatto a base di ritmiche polivalenti e armonie magistralmente sfaccettate da basso, tastiera e voce.

Il tutto, sorretto e ricamato dalle mille sonorità della chitarra di Bambi Fossati che, a tratti alterni, si scolloca da Hendrix per dare fuoco e tutta la sua polveriera di stili. 

Per i puristi del Beat, "Marta Helmuth" è praticamente un pugno nello stomaco. Per coloro che aspettavano il nuovo corso dei Gleemen, il nuovo 45 giri è un capolavoro architettonico.
Sulla spinta di un tale apripista e forti della loro incessante attività dal vivo, non passerà molto tempo perché i neonati Garybaldi si ritrovino in sala d'incisione per produrre il loro primo album.

La discografica crede fortemente in loro e li onora di una produzione coi fiocchi, al punto di affidare la copertina ad uno dei più prestigiosi disegnatori Italiani: Guido Crepax.
La fiducia è pienamente ricambiata.

In "Nuda" il quartetto Genovese esprime il meglio della sua fantasia e della sua creatività dando vita ad uno dei più affascinanti album del 1972.
Gli strumentisti, si sente, sono perfettamente a loro agio. Il gruppo restituisce armonia, compattezza ed omogeneità in ogni singolo brano del disco.

Pur nell'evidente prevalenza della chitarra (e della fonte ispirativa) di Fossati, Lio Marchi, Angelo Traverso e Maurizio Cassinelli
iniettano negli arrangiamenti la loro indelebile personalità, anche quando le composizioni paiono pagare l'evidente sudditanza al maestro di Seattle.
Ne risulta un album fantasioso e mai monotono. Gradevole e vario per tutti i palati.

garybaldi nuda 1972 bambi fossatiCerto, "Maya desnuda", "Decomposizione…" e soprattutto "26/2/1700" (che gioca al ricalco di "Angel"), sono brani che pagano un debito enorme a Jimi, ma già "L'ultima graziosa" (brano conclusivo del primo lato) lascia intravedere che qualche spiraglio liberatorio.

La conferma dell'indipendenza totale, arriva con la suite "Moretto da Brescia" che occupa un'intera facciata e disvela quelle doti autoctone del gruppo che purtroppo, non si ripeteranno nel successivo "Astrolabio".

In "Moretto" la varietà timbrica è letteralmente da manuale: il dispiego di sonorità, vocalità, arrangiamenti, solismi e parti orchestrali è talmente organico e personale da far sembrare i Garybaldi un altro gruppo.
Di Hendrix nemmeno l'ombra salvo le consuete tracce del tipico sound Fender. Emergono invece atmosfere bucoliche,
grande senso narrativo, precise sottolineature ritmiche sui passaggi più epici, vocalità articolate e poste nel giusto risalto, calibrati raddoppi di tempo, ampie citazioni classiche in cui tutti gli strumenti risultano ben distinti nel loro rispettivo ruolo. 
 
La vena progressive del gruppo emerge magistralmente da ogni solco del lato cadetto e sembra quasi che i Garybaldi abbiano finalmente trovato una vena compositiva propria e costante. Persino le parti soliste di chitarra magnificano una loro policroma identità sia nell'esecuzione, sia nella scelta dei suoni.

non per niente, l'album "Nuda" sarà uno dei lavori underground più apprezzati del 1972 e lancerà il quartetto genovese in nuove avventure discografiche.
Peccato che l'ombra del Maestro fosse sempre in agguato, a togliere loro un po’ di trasgressività.
I LETTORI DI CLASSIC ROCK HANNO ELETTO "NUDA" COME MIGLIORE COPERTINA DEL PROG ITALIANO!

Garybaldi: Astrolabio (1973)

Garybaldi Astrolabio 01Dopo un buon album d'esordio i Garybaldi attraversano una breve crisi d'identità concretata da un robusto rimpasto di formazione: esce il bassista Angelo Traverso sostituito da Sandro Serra e il tastierista originale Lio Marchi si tira da parte partecipando saltuariamente alle attività del gruppo, ma senza più apparire ufficialmente nella line-up.
Praticamente onnipresente a tutti i più importanti Festival Pop (tra cui citiamo Gualdo Pop, Controcanzonissima e Villa Pamphili), il gruppo gira anche in proprio per la penisola avendo così occasione di fare da opening act a Bee Bees, Santana, Uriah Heep e Van der Graaf Generator e accedendo in fretta ad un nuovo contratto, questa volta per la discografica Fonit.

Purtroppo però, all'interno del gruppo non tutto funziona come dovrebbe. A parte lo scisma di Traverso, iniziano ad emergere delle fratture artistiche tra Fossati (la parte rock) e Cassinelli (la parte classica e Beatlesiana) i che, al di là dell'amicizia personale, avrebbero portato la band allo scioglimento.
In ogni caso, a parte questi piccoli screzzi nel 1973 vede la luce "Astrolabio": il secondo album del quartetto genovese.
Garybaldi Astrolabio 02
Dotato di una veste grafica quasi "liquida" e molto più introspettivo e sperimentale del precedente, il disco si compone di due soli brani molto diversi tra loro.
"Madre di cose perdute" (che occupa da sola tutto il primo lato) è una lunga e raffinata suite di 20 minuti in cui il chitarrista Bambi Fossati da prova di tutta la sua versatilità e "Sette", rivela la dimensione più giocosa e comunitaria del gruppo.


Le differenze con "Nuda" balzano subito all'orecchio sin dall'attacco del primo lato che ci presenta immediatamente una sottile digressione psichedelica ben rappresentativa del successivo sviluppo del brano.

Garybaldi Astrolabio 03
Di fatto, "Madre di cose perdute" è una vera e propria escursione del gruppo in diversi territori armonici che spaziano dall'iniziale blues lento cantato alla maniera di Jimi Hendrix (7 minuti circa), ad un ricco heavy blues in cui Fossati da sfoggio di tutta la sua anima rock, fino a cedere il passo ad ambienti più psichedelici che chiudono il brano lasciandolo quasi sospeso nell'aria.
Pur non rappresentando il massimo dell'originalità, "Madre" ci restituisce comunque una band moderna e ben presente su ogni nota: il lavoro di Fossati è quasi certosino nel variegare le sonorità, mentre il resto del gruppo sembra anch'esso porre molta attenzione a questo nuovo sound.
Infelicemente, non si può dire la stessa cosa di "Sette" che fornisce al contrario una dimensione molto più ruspante dei Garybaldi: cosa che secondo molti crtitici fece di "Astrolabio" un "album riuscito a metà".
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Effettivamente in contrasto con le raffinatezze tecnologiche di "Madre", "Sette" viene registrato dal vivo in sala di incisione ("tra un drink e l'altro", si disse) alla presenza di un gruppo di amici e persino di qualche bambino.
Lo scarto con la facciata precedente è palese sia tecnicamente che musicalmente e, ad essere onesti, infonde anche qualche perplessità.

A parte la musica che si fa smaccatamente Hendrixiana, colpisce il netto calo delle frequenze basse per far posto ad un suono "campanoso" e dilettantesco, tipico delle registrazioni in sala prove.
Senza nulla togliere all'abilità di musicisti ed alla loro professionalità, è innegabile che la scelta di contrapporre due sonorità così distinte non si rivelò felice, tantomeno conflittualmente.
"Astrolabio" non sfiorò nemmeno le vendite di "Nuda"e il gruppo fu costretto a cambiare strada per l'ennesima volta dando vita ai "Bambibanda e Melodie".

Area: 1978 gli dei se ne vanno gli arrabbiati restano! (1978)

area 1978 gli dei se ne vanno gli arrabbiati restanoIl 1977 rappresentò per gli Area un'intensa verifica di cinque lunghi anni di carriera con la release del loro primo album antologico “Anto/logicamente” ed un’omonima tournee iniziata il 29/4/1977 al Teatro Uomo di Milano e proseguita per tutta l’estate.

Tuttavia, malgrado il successo collettivo e i numerosi riconoscimenti individuali, il clima incandescente instauratosi dopo il disastro del Parco Lambro ’76 e la nascita di nuovi attriti artistici nel quintetto, vi provocarono almeno due cambiamenti notevoli: la dipartita di Tofani, desideroso di un nuovo appiglio spirituale e di nuove musicalità e l’abbandono della storica discografica Cramps a vantaggio della Ascolto di Caterina Caselli.

Gli Area perdevano quindi da un lato, il loro geniale malipolatore elettronico e dall’altro, la fraterna collaborazione di Gianni Sassi e, anche se il solo Demetrio continuò a lavorare da solista con la Cramps. Il marchio “Area” però, faceva ormai parte di una nuova scuderia.
Il nuovo ingaggio venne comunque soppesato e accettato con molta attenzione: al quartetto sarebbe stata garantita non solo la massima libertà espressiva ma finalmente, anche una buona retribuzione.

Per contro, il gruppo dovette rapidamente imparare a gestirsi quasi totalmente da solo: musiche, testi e concept e per facilitare questo compito, si avvalse dello scrittore situazionista Gianni Emilio Simonetti, che aveva già ai suoi tempi collaborato con Sassi ed era assistente di Demetrio nelle sue ricerche vocali.

area 1978Arriva così il nuovo disco: “1978; gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano!”, registrato da Allan Goldberg agli Sciascia Sound di Milano, che si rivelò allo stesso tempo l’apertura di una nuova fase artistica e pochi mesi dopo, un inatteso canto del cigno.

Il 30 marzo del 1979 venne diagnosticata a Stratos un'aplasia midollare (o "talassemia mediterranea" come riferirono ai tempi alcuni media).

Il 2 aprile venne ricoverato
al Policlinico di Milano ma, vista l'impossibilità di curarlo, fu trasferito al Memorial Hospital di New York dove morì il 13 giugno, poco prima di quello che avrebbe dovuto essere l'intervento risolutore.
A nulla valse il concerto all’Arena di Milano (14/6/79) organizzato da Gianni Sassi per raccogliere fondi per l’operazione.

L’ultima fatica degli Area però, non è da leggersi con spirito malinconico, anzi: “Gli Dei se ne vanno...” fu l’ennesima dimostrazione che anche senza Sassi, la band fu perfettamente in grado di produrre brani di enorme consapevolezza sociale e musicalmente al passo con i tempi.

Sin dal suo titolo degno di un classico della letteraura, l’album rifletteva perfettamente la storia degli ultimi 10 anni: è vero che il ’68 non aveva mantenuto le sue promesse aprendo l’epopea dell’individualismo ma, anziche disilludersi sul potere delle rivoluzioni, rinnegarne la forza critica e rifugiarsi nell’establishment, occorreva immediatamente trovare una nuova linfa propulsiva attraverso l’impegno e la militanza.

area demetrio stratosEcco che allora il disco ci offre una splendida serie di soggettività dense di umanità ed energia.
Si parla di Shànfara, poeta e fuorilegge dell’Arabia pagana che si muove in mezzo agli sciacalli delle sabbie (“Il bandito del deserto”); della parricida Violette Noziere che i surrealisti elevarono a simbolo dell’antiautoritarismo familiare (“Hommage a Violette Nozieres”); delle pletore di spettatori ingabbiati dalle centinaia di Festival popolari non capendo che “non serve desiderare uno spazio immaginario, ma occorre essere spettatori di se stessi” (“Festa farina e forca”).

Infine, svettano come icebergs le suggestive atmosfere di “Acrostico in memoria di Laio” e soprattutto della struggente e conclusiva “Vodka Cola”.

Acrostico” fu la dimostrazione che l’ironia aveva preso il posto della proverbiale aggessività degli Area, liberandosi così dai rigidi intellettualismi in cui si stava asserragliando la post-controcultura: “una generazione di sconfitti che ha dato i suoi figli in pasto alle belve”. (Fariselli)

Vodka Cola”, tratta dall’omonimo libro di Charles Lewinson, fu invece probabilmente la canzone più moderna dell’album: “una struttura musicale in bilico tra ironia e divertissement, cui fa da controcanto un’idea concettuale che precorre gli attualissimi temi della globalizzazione(cfr. Domenico Coduto :”Il libro degli Area”, Auditorium, Milano, 2005).

Di fatto, è davvero incredibile pensare come nel 1978 un artista rock potesse essere così lungimirante rispetto a certi segnali d’allarme:
1) le banche dell’area liberale hanno filiali nei paesi comunisti. 2) I paesi comunisti affittano i loro lavoratori a bassissimi salari e senza diritto di sciopero alle multinazionali. 3) L'economia liberalcapitalista sorregge quella socialcomunista con un flusso continuo di credito agevolato.
Tutto ciò nel '78... vi rendete conto?
A quel punto gli Area non solo dissero:noi non berremo questo cocktail, ma reagirono con decisione avviando un percorso artistico totalmente rinnovato: jazz, apparizioni televisive e un più libero sviluppo delle proprie personalità individuali a partire dalle singole progettualità.

Poi, la storia ce li ha portati via.


Quel 13 giugno del ’79 in un certo senso me lo aspettavo.
Sapevamo tutti che Demetrio stava male ma, si sa, certi personaggi sono immortali.

Mi diede la notizia un amico la mattina di giovedì 14.
Piansi molto e
quella sera, non so perché, non andai all’Arena Civica.


AREA - Discografia 1973 - 1978:
1973: ARBEIT MACHT FREI
1974: CAUTION
1975: CRAC
1975: ARE(A)ZIONE
1976: MALEDETTI
1978: GLI DEI SE NE VANNO, GLI ARRABBIATI RESTANO

Bambibanda e Melodie: Bambibanda e melodie (1974)

bambibanda e melodie 01Iil primo gioiello di Bambi Fossati dopo l'esperienza Garybaldi ci mette quasi tre minuti per slegarsi dalla sua introduzione,.

Sembra quasi un'eternità, voluta perché l'ascoltatore possa chiedersi: "Cosa farà il nostro Hendrix nazionale in questa nuova formazione con tanto di percussionista Indiano (al secolo: Ramasandiran Somusundaran proveniente dai Maya)?"

La risposta non si fa attendere:
con una micidiale galoppata tribale di un quarto d'ora in "Plan de la Tortilla", il nostro non tarda a farci capire che ha sì tanta stima in Hendrix e Santana, ma anche una personalità artistica indipendente, concreta e creativa.

Rispetto ai Garybaldi le atmosfere si fanno più intime, personali e suggestive, quasi a voler mutuare gli accordi del rock storico con una personale assunzione "geografica" dell'arte.

Sarà che sono vissuto molto a Genova, sarà che Bambi è Genovese, ma mi sembra veramente che il groove di questo suo nuovo progetto riesca ad evocare i vicoli e i camminamenti dello splendido capoluogo ligure.
I casi sono due: o io sono un visionario, o la Bambibanda ha operato una suggestione territoriale che a mio avviso funziona meravigliosamente: specie nel brano "Libera e felice".

bambibanda e melodie 02In "Calabuig" poi, queste atmosfere da "confusione da angiporto" si allargano fino a formare un quadro di persone itineranti: quello straordinario sciame quotidiano che a ogni giorno a Genova si riversa senza sosta da Caricamento a Piazza De Ferraris e viceversa.

Su e giù, come in ogni città di mare che si rispetti, con tanto di cori che richiamano le voci popolari dei venditori e la tensione informale della vecchia aristocrazia mercantile: la stessa che sarebbe stata ripresa esattamente 10 anni dopo da De Andrè in "Creuza de Ma".

Vengono poi i tempi moderni, scherzosi, frenetici di "Piccolo Gitano" ma subito richiamati all'ordine da quel vero spirito Genovese che è "Il mare delle terre medie": il sogno si fa acqua, il mare diventa speranza e la speranza, VITA.

Comprendere l'acqua è il solo modo per sopravvivere.
Far incontrare le diverse culture, è la sola via per elevarsi
, e questa è una cosa in cui i Genovesi (se e quando vogliono) riescono particolarmente bene.

OK, i detrattori vedranno in "Il mare delle terre medie" una sorta di "Hey joe" rimaneggiata, ma io continuo a pensare che esistano nell'arte anche dei "traduttori": dei musicisti onesti e sinceri senza i quali non saremmo mai venuti a conoscenza di mondi lontani e di "spiriti buoni" che aleggiano al di là della rigidità dei localismi.

Ripeto:
"Datemi pure del visionario" ma questo disco, di visioni, è pieno fino all'ultimo solco.

Battisti fascista ? Proviamo a parlarne.

lucio battistiNella metà degli anni ’70, le accuse di fascismo a Lucio Battisti non sortirono affatto dalla pruderie di qualche “estremista malinconico”: furono semmai la logica risultante di un percorso che affondava le sue radici nell’immediato dopoguerra, quando le lotte per la supremazia politica avevano diviso la nazione in due formazioni opposte, DC e PCI, emarginando però un'ampia fetta di militanti, operai ed ex-partigiani (la cosiddetta “resistenza tradita”) che avrebbero voluto proseguire la lotta armata per arrivare a governare il paese.

Considerandosi “la parte sana della società opposta ad una borghesia corrotta e parassitaria”, essi non solo si rifiutarono di riconsegnare le armi una volta terminato il conflitto mondiale, ma nel corso della storia si sarebbero più volte riorganizzati in gruppi operativi (istituzionali e non) che avrebbero profondamente segnato gli anni successivi alla liberazione.

La loro ascesa politica alla fine degli anni ‘60 in pieno clima di “guerra fredda”, provocò sia la reazione dello Stato che vedeva nei “gruppi filocomunisti” un serio pericolo sovversivo, sia la loro definitiva frattura con i due grandi partiti-guida dello Stato italiano.
In particolare, la deriva a sinistra rispetto al PCI avrà l’effetto di radicalizzare la già preesistente incompatibilità con la destra rendendola definitivamente irreversibile.

Chiunque tentò di accostare analiticamente o praticamente i due fronti, venne relegato ai margini del proprio partito (Rauti) o vi causò traumi laceranti (il "compromesso storico" di Berlinguer).


In un simile contesto dunque, definire qualcuno “fascista”, non significava soltanto attribuirgli un colore politico, ma determinarne un preciso status socio-relazionale che abbracciava tanto la sfera ideologica quanto quella comportamentale.

In poche parole, nell’ottica di un comunismo nostrano che malgrado sforzi imponenti non riuscì mai a spiccare il volo, “fascista” era colui che “remava contro la rivoluzione”, che attingeva alle idee più innovative per trasformarle in merce, che anteponeva il privato al collettivo, che svendeva al potere la propria e l’altrui conflittualità.

 
battisti fascista“Fascismo” equivaleva a opportunismo, qualunquismo, massoneria, squadrismo, stragismo, padronato, incontraddittorietà, conservatorismo, falso populismo, ostentazione, servlismo, doppiogiochismo, razzismo, omofobia, sessismo, corruzione, vigliaccheria, violenza, collusione, asservimento e in quest’ottica, non era affatto difficile trovare dei bersagli tra cui Lucio Battisti fu sicuramente tra i più ovvi.
Non a caso, ancora oggi non è raro incappare in dibattiti quali : ”Ma Battisti era fascista?
Certamente, considerando lo scacchiere politico odierno, dare oggi una risposta a questa domanda potrebbe sembrare poco stimolante se non addirittura inutile, ma all’epoca del “personale è politico” fu una questione di primaria rilevanza. Con quale atteggiamento devo pormi rispetto a questo artista?”. “E’ politicamente corretto ascoltare Battisti?”. “Qual’è il valore rivoluzionario (o controrivoluzionario) dei suoi testi?” erano domande che non era infrequente leggere nelle pubblicazioni del movimento e da cui potevano sorgere veri e propri conflitti: il tutto, anche se lo stesso Battisti ammise apertamente di non interessarsi di politica ne tantomeno di andare a votare.

Com’è noto, il dibattito non portò mai a una risposta esaustiva, data anche e soprattutto la ritrosia del cantante reatino di sbilanciarsi su questo punto ma sicuramente, coloro che lo ritennero di destra non mancarono mai farne pesare il qualunquismo politico, cosa inconcepibile negli anni ’70.


Due poi furono le ulteriori accuse altrettanto gravi: l’opportunismo che Battisti dimostrò nelle sue produzioni attingendo di volta in volta ai generi più in voga e la misoginia che traspariva in maniera più o meno lampante dai testi di Mogol, atteggiamento mai perdonato, ad esempio, dal movimento femminista.

 
battistiTre imputazioni dunque sufficienti a definire Battisti fascista? Per l’epoca si, senza dubbio, al punto che molti critici e giornalisti si buttarono a pesce sul fatto gettando benzina sul fuoco. Ricordiamo la celebre fotografia in cui Lucio faceva il saluto romano (in realtà si dice che stesse dando il La all’orchestra, ma ci sono molte altre versioni), i famigerati “campi di braccia tese”, il “mare nero” di "Non è Francesca", i presunti arrangiamenti per un lavoro di Fabrizio Marzi che di destra lo era eccome, fino ai paventati finanziamenti ai gruppi neofascisti di cui qualcuno pare abbia i documenti, ma che però nessuno ha mai visto.
Al di là delle illazioni e di miti comunque, Battisti ebbe sempre un rapporto contraddittorio, o per meglio dire un “curioso non-rapporto” con il movimento e con le avanguardie: non partecipò mai ad alcun festival alternativo, non si sbilanciò e andò dritto per la sua strada.La sua arte contribuì sicuramente ad elevare la musica italiana ma, si badi bene, solo una certa fascia: quella più vicina al mercato e all’airplay.
Non fu quindi un artista Prog e in ogni caso gestì la sua conflittualità sempre in maniera solupsistica, fatto anche questo non condivisibile da una certa parte del movimento.


Anche se a posteriori buona parte della critica si lavò le mani sull'argomento asserendo che “Battisti era semplicemente uno che si faceva i fatti suoi”, c'è chi come Pierangelo Bertoli non ebbe dubbi:

Non c’è bisogno di dimostrare se Battisti fosse un fascista o meno. Lo era e basta.

Voi cosa ne pensate?