1977 - 2010: The long and winding road
La controcultura italiana terminò il suo ciclo conflittuale nel 1976, trascinando via con se i sogni e i miti della generazione nata dopo il beat: quella cioè, che a partire da una primigenia protesta esistenziale e libertaria si trasformò prima in movimento sociale e poi in lotta diffusa e organizzata.
Tuttavia, dopo circa un lustro di rivendicazioni il “grande balzo in avanti” non si era realizzato e le speranze che ciò potesse accadere in futuro si erano drammaticamente affievolite. “Rivoluzione”, “militanza”, “partito-guida” e “operaizzazione” erano ormai istanze che vacillavano sempre di più sotto i colpi del nuovo riassetto socioproduttivo.
In reazione a questo statu quo, emerse a partire dalla metà degli anni ’70 un nuovo pragmatismo che oltre a spazzare via la floreale leggerezza del movimento precedente, la sostituì con nuove strategie più dirette e iconoclaste dando vita a due antagonismi complementari: il Movimento ’77 e il Punk.
Ciò che però questi due moti non riuscirono mai ad arrestare, fu l’inesorabile passaggio dalla fase industriale al terziario avanzato - quello che Polany definì “la grande trasformazione” - le cui caratteristiche minarono inesorabilmente le basi dell’alternativa libertaria: automazione nelle fabbriche, de-sindacalizzazione, ricorso al time shifting, outsourcing , retrocessione del settore secondario a vantaggio di mansioni immateriali, riforma del settore universitario, riconversione urbana e via dicendo.
E se comunque molte oasi autonome sopravvivranno lungo tutto l’arco degli anni '80, sin dai primi tre anni del decennio risulterà evidente che il neonato modello neoliberista non solo non sarebbe stato così facile da sradicare, ma molto più probabilmente sarebbe sopravvissuto al suo naturale ciclo storico sino alla sua autodistruzione (che comunque non è ancora del tutto avvenuta).
In altre parole, se negli anni ’70 l’ideologia rappresentò pelomeno una minaccia reale per il nuovo ordine mondiale, negli anni successivi ci si rassegnò ad aspettare che il mostro capitalista si sgretolasse sotto i colpi delle sue stesse contraddizioni.
Purtroppo però i concetti di destrutturazione, mercificazione, differenziazione, repressione e soprattutto una sopraggiunta oligarchia politico-informativa, si erano talmente radicati nel pensiero comune da superare persino le loro evidenze di illegalità e ciò fu evidente anche negli anni successivi alle inchieste di “mani pulite” e alla fine del craxismo.
Supportato da una potente joint venture transnazionale, questo meccanismo cancerogeno sta attualmente attraversando una forte crisi, ma il suo decorso è stato così influente da provocare crisi e spostamenti difficilmente sanabili in poco tempo: dalla riemersione dei fenomeni razziali alla confusa gestione delle fonti energetiche, dalla sciagurata gestione dei crediti ai superpoteri concessi al mercato orientale.
E come spesso accade in un regime del genere, i settori che soffrono di più sono sempre quelli “no profit”: quelli cioè la cui natura non è strettamente legata a movimenti di denaro: per esempio, le arti applicate.
Se ci facciamo caso infatti, a partire dagli anni ’80 esse cominciarono a spostarsi dalla tradizione “sperimentale post-romantica” del primo 900 a una concezione “post-warholiana” sacrificando molta della loro genuinità ai meccanismi del mercato.
Nelle arti plastiche, la figura del “critico-mentore” si affermerà non più come filtro tra pubblico e artista, bensì come vero e proprio protagonista, costruttore e timoniere di mode e correnti artistiche.
In musica, il processo di multinazionalizzazione che limiterà a cinque le grandi compagnie discografiche, ormai padrone delle radio commerciali, asservirà qualunque parto dell'ingegno umano a criteri di mercato sovvertendo un trend in uso da decenni: non più cinque musicisti che scelgono tra cento discografiche in base alla loro proposta, ma cinque multinazionali che selezioneranno due o tre artisti da traformare in mito con criteri commerciali o peggio clientelari. Il tutto, concentrando gli investimenti su pochissimi eletti e condannando alla sopravvivenza le pur numerose intelligenze sommerse.
E’ vero che verso la fine del secolo, Internet riaprirà le porte a una maggiore democrazia culturale e informativa, ma è altrettanto vero che a tutt’oggi, una consapevole gestione delle risorse umane resta ancora circoscritta a pochi privilegiati.
La strada è ancora lunga e ventosa, ma dal vento ci si può sempre riparare.
Nella maggior parte dei casi, basterebbe soltanto volerlo.
6 commenti :
Insomma per farla breve il "movimento" che portò il prog in Italia è morto l'anno che sono nato io... ovvero io per coerenza dovrei essere punk :-D!!!
E oggi c'è qualche movimento degno di questo nome?
Ciao John,
quello che dici sulle "arti applicate" è interessante, ma non mi pare chiaro. Le arti applicate è un termine un po' ambiguo, e in generale non necessariamente quello che non è "dominato" da una logica commerciale è "no profit".
Anzi, credo sia legittimo aspettarsi una restribuzione da qualsiasi attività artistica, pure se non la facciamo come lavoro.
Ma forse ho inteso male, perché poi mi ritrovo in quello che scrivi, riguardo alla male intesa concezione dell’arte in epoca post-moderna. L'arte soffre dello spostamento centrico verso l'ego. Lo slittamento nel soggettivismo ha penalizzato ogni cosa, ma l'arte ne risente in modo particolare.
Sul resto non sono in grado di commentare, ma ho dei dubbi sull'idea di imputare tutto al capitalismo: mi pare una astrazione, anche se non so argomentare questa considerazione.
E sulla fine: chi sono i "pochi privilegiati"? Huh?
E giusto ciò che dici, ma è proprio sul termine "retribuzione" che insistono le principali contraddizioni.
Il capitale, ad esempio, pretenderebbe ancora di creare "l'arte per l'arte", ma non è in grado di scinderla dal profitto provocando disastri che, credo, siano assai evidenti.
Non so nemmeno io "quanto" le falle del nostro sistema siano "tutta" colpa del neoliberismo, ma è comunque il "nostro" sistema e non vedo dove altro andarci a trovare difetti o terapie.
Per "pochi privilegiati" ho inteso coloro che possiedono valide alternative ma non hanno ancora la conflittualità necessaria per renderle patrimonio comune.
Aspetta il 14 dicembre però: poi vediamo se almeno in Italia saranno ancora così pochi :-)
@ Dario:
Yes! You were born a true Punk :-)))
Risposta 2: No, dal Punk in poi non c'è stato più nulla.
O forse ero io che stavo dormendo.
Secondo me l'autodistruzione del sistema neoliberista non è nemmeno in pieno corso, forse è appena cominciata. Dopotutto la crisi epocale che stiamo vivendo non ha cambiato nulla, anzi ha fatto sì che gli Stati dovessero mettere le toppe ai disastri causati dagli speculatori a suon di miliardi, solo per far ripartire la macchina esattamente come prima, senza alcuna riparazione. La mia paura è che il sistema nel suo crollo si tiri appresso anche il destino dell'umanità e non credo sia un'ipotesi così inverosimile. Anche se tutti preferiscono non pensarci.
Mani Pulite invece credo sia stato solo un passaggio di testimone dalla vecchia oligarchia socialista-democristiana, affarista e corrotta, all'asse Berlusconi-excomunisti, dovuto più a un cambiamento dell'assetto politico internazionale che a una reale spinta verso la legalità che questo Paese non ha mai conosciuto.
Infine nell'industria discografica esistono da anni una miriade di etichette indipendenti, soprattutto negli Stati Uniti, anche se naturalmente fanno più fatica ad offrire la stessa visibilità delle cinque grandi major, che sono un po' come le cinque famiglie mafiose di New York.
"La mia paura è che il sistema nel suo crollo si tiri appresso anche il destino dell'umanità".
Lo sta già facendo Daniel.
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